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mercoledì 25 novembre 2009

tracce di iconografia e iconologia di Onorina Collaceto


I tre filosofi”, oggi a Vienna, è una delle opere più sicure di Giorgione. Fu dipinto forse per il gentiluomo veneziano Taddeo Contarini, nella cui casa lo registrò, nel 1525, Marcantonio Michiel. Ad ogni passaggio di proprietà del quadro, annotazioni di catalogo accompagnano l’opera: i tre personaggi vengono via via identificati con i “phylosophi”, “astronomi e geometri che contemplano e misurano”, “matematici che misurano l’altezza del cielo”, fino a precisare che i tre personaggi della tela sono “i Saggi dell’Oriente”, i “Re Magi”.

Queste più antiche interpretazioni mettono in evidenza due punti: l’abbigliamento esotico e l’attitudine contemplativa, però armata di “strumenti per misurare”.

Nel 1886, in una lettera riportata nel volume di Carl von Lutrow sulla Galleria imperiale e Regia di Vienna, il quadro veniva letto come “le tre età del sapere umano”:

il vecchio, la filosofia antica (forse Aristotele);

il personaggio di mezzo, la filosofia medievale (forse Avicenna o Averroé);

il più giovane, la filosofia del Rinascimento



Pochi anni dopo, Franz Wickoff annunciava di aver trovato il tema dell’opera, una storia antica: Evandro e Pallante portano Enea davanti alla nuda roccia dove sorgerà il Campidoglio (Virgilio).

La Filosofia
Cesare Ripa, Iconologia,
(Perugia, 1764-67)


Nella radiografia del 1931 a “I tre filosofi”, si scopriva una prima versione dell’opera, diversa dalla redazione finale in alcuni particolari del paesaggio e nei volti dei tre protagonisti: il “filosofo” più giovane in attitudine più di sorpresa che di contemplazione, il più vecchio vòlto decisamente verso la grotta e con un “copricapo” orientale; il terzo, non più un “orientale” ma un nero.

Quest’ultimo personaggio non lascia dubbi sull’identificare i tre personaggi con i “Magi”.

Nel 1953, una nuova scoperta: sull’orlo della caverna discendono un tralcio d’edera e un fico; lì accanto, una sorgente.



PRIMA VERSIONE DEL QUADRO


Una volta identificati i protagonisti come “Magi”, rimane il problema del “significato” del resto del quadro (rapporto Magi - grotta ?).

L’edera e il fico ricorrono spesso nel primo Rinascimento, nei temi della Natività e della Passione.
Essi alludono, anteticamente, al Peccato e alla Salvezza.

I Magi, sono rappresentati come astrologi; dietro di loro, il contrasto tra gli alberi nudi e quelli coperti di fronde, evoca l’Albero del Paradiso che si è disseccato dopo il Peccato Originale e l’Albero della Vita che annuncia rigoglioso la salvezza attraverso la Passione di Cristo.

Importante, la presenza della luce nel quadro: mentre il sole al tramonto arrossa appena all’orizzonte, un’altra luce, che viene dalla parte opposta, illumina appena il ventre scosceso della roccia; la spegazione potrebbe essere, secondo Michiel Auner: la luce che rischiara il fondo della caverna è la Stella.

Il primo Mago, seduto, scopre la Stella, il terzo tiene in mano il testo di astrologia che fornisce l’interpretazione; al secondo, immobile, si può credere spetti la citazione della Profezia.


...i tre Magi rappresentano i tre momenti della scoperta ...


Sulla grotta, il fico allude all’Albero del Peccato, l’acqua della sorgente alla Grazia rinnovata attraverso il Battesimo; l’edera alla Redenzione.

La Stella, rivela che Cristo è in terra: ma è la scienza degli uomini che la scopre; Giorgione ha mostrato l’uomo che esplora il mondo coi propri strumenti e vi scopre la presenza di Dio.

Nel 1400 era molto accesa la discussione tra i sostenitori dell’astrologia e coloro che la rifiutavano; scoprendo la luce della Stella e decifrandone il senso coi loro compassi, le loro squadre, i Magi di Giorgione dichiarano il potere dell’uomo sulla natura, sugli astri.

La fede negli strumenti della scienza è posta nelle loro mani di astrologi.


SECONDA VERSIONE DEL QUADRO

Secondo il Wilde, Giorgione ne ha voluto fare i rappresentanti delle Tre Età della vita e insieme delle tre forme della Vita Contemplativa ( ricerca - meditazione - insegnamento).
Il “moro” ha cambiato razza, ma è rimasto un orientale e perciò spesso interpretato come un filosofo o un astronomo arabo; il “vecchio” ha perduto il suo diadema di piume e non si volge più così nettamente verso la grotta; nel più giovane, seduto, è meno evidente lo stupore della scoperta.

E’ rimasta la caverna; il brillare della Stella nel suo fondo scuro; sul bordo, lìedera e il fico, più in là la sorgente. Sono rimasti, nelle mani dei filosofi, i compassi e il rotulo.
La prima versione de “I tre filosofi” “attenua” alcuni aspetti del soggeto: mette in mano ai Magi strumenti e libri di astrologia e non la profezia di Balaam.



Nella seconda versione, uno dei tre è un orientale, non un moro.
In entrambe, manca la Stella, guida dei Magi: la sostituisce la luce in fondo alla grotta.

E’ possibile che Giorgione abbia di proposito voluto cancellare ogni umana testimonianza, affidando alla sola luce pittorica la manifestazione di un evento soprannaturale.

Secondo Salvatore Settis, i personaggi del quadro sono resi “umani” e contemporanei e in essi si può riconoscere specialmente il genere umano che investigando e studiando, raggiunge con la scienza e la filosofia la cognizione del divino.

E’ in questo senso che il soggetto dei “Magi” non viene cancellato ma superato e condotto su un livello più alto e moderno.



Onorina Collaceto
La pagina è visibile sul sito:
http://digilander.libero.it/viaggi.arte/viaggiarte/Esposizioni_e_Luoghi/Voci/2009/4/27_Tracce_di_iconografia_-_iconologia.html



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