"Per quanto tempo sarà ancora possibile dipingere una crocifissione come atto politico? È il dilemma su cui si è arrovellato Gabriele Arruzzo mentre preparava questa sua nuova mostra personale, stretto nella morsa che vede contrapporsi il "mistero" dell'immagine e un empito iconoclasta di antichissima memoria (prima bizantino, poi calvinista, ora jihadista). L'artista si è inoltre chiesto se esista una pittura che non sia una forma di religione per il pittore, vale a dire un'immacolata immaginazione che non ha valore religioso di per sé, ma in quanto verità assoluta per l'autore stesso. Arruzzo è così giunto a formulare un proprio sillogismo: se il Figlio di Dio si è fatto carne ed è stato possibile rappresentarlo, allora Egli stesso è Natura della rappresentazione, origine stessa dell'Opera come quadro crocefisso al muro.
Nei "quadri devozionali" di Arruzzo troviamo figure oranti che alludono all'insegnamento, alla devozione e al patimento. Lo stesso dicasi per le effigi stereotipate di alcuni pittori che stazionano davanti ai loro sacri rettangoli. Come i martiri, l'autore-testimone è anche la vittima designata dei patimenti e delle estasi che comporta l'ars picta, concepita dall'artista come una gabbia-superficie da cui non è possibile uscire. L'identità bidimensionale dell'immagine – antirealista proprio perché piatta – trova nei solidi platonici un aggravio: le geometrie prospettiche avverano uno spazio tridimensionale che però non consente di spingersi al di fuori dal quadro. Quella di Arruzzo è però una gabbia dorata, un'ideale di bellezza che sollecita i nostri desideri e piaceri.
Intrinsecamente promiscua, la pittura di Gabriele Arruzzo spazia da Holbein ai prontuari per la gioventù hitleriana, dai Preraffaelliti ai vecchi manuali di catechismo. Le sue opere possono essere paragonate a degli ipertesti in cui ci è data l'opportunità di assistere al frenetico stratificarsi di segni, simboli, significati. Filosofeggiando con i pennelli in mano, l'artista si sforza di combattere i regimi totalitari che avversano l'arte figurativa e le dittature imposte dalla stessa pittura. Resistendo e sopravvivendo a queste tirannie, i quadri si convertono in atti di fede, ossia in una visione personale. Questa "rivelazione di cose tenute nascoste" ha un nome preciso: Apocalisse (in questo caso è un'Apocalisse "cum figuris" che prende spunto dall'opera grafica di Albrecht Dürer). Arruzzo è infatti convinto del fatto che i pittori come i profeti siano destinatari di rivelazioni che li connaturano nel rango dei veggenti, di "coloro che vedono".
Accompagna la mostra un catalogo che è stato pensato alla maniera di un libro d'artista, ove il lettore potrà scoprire le variegate fonti iconografiche e comprendere il denso e complesso immaginario dell'artista."
Gabriele Arruzzo: Apocalisse con figure
catalogo con saggio di Alberto Zanchetta
Inaugurazione giovedì 24 settembre ore 18
25 settembre - 31 ottobre 2015
Galleria Giuseppe Pero Via Porro Lambertenghi, 3 20159 Milano
Da lunedi a venerdì dalle 14 alle 18.30, mattina e sabato su appuntamento
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