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Frate con breviario di Salvatore Marchesi - Acquerello 32 x 24 cm |
Un angolo della galleria Parma per le Arti |
Trionfo dei putti di Ettore Tito - Olio su tavola 65 x 34 cm |
Lorenzelli Arte propone un’esaustiva retrospettiva di Arturo Bonfanti, uno dei protagonisti del secondo dopoguerra, fra i più interessanti astrattisti per l’autonomia della ricerca e lo sviluppo del lavoro. L’artista- che dagli anni Cinquanta sino alla sua scomparsa, avvenuta nel 1978, ha avuto un rapporto esclusivo con i Lorenzelli che nel corso degli anni gli hanno dedicato più di quindici mostre personali- evidenzia un ideale e rigoroso percorso di ricerca estetica che coniuga la grande tradizione italiana ad un astrattismo internazionale dando luogo ad un linguaggio molto personale, radicato nelle nostre tradizioni e aperto alle influenze del mondo, che si evolve in una ricerca ancora attuale e significativa.
La mostra, allestita nelle tre sale, costituisce una vera e propria antologica e in ogni caso la prima, così completa, in uno spazio privato. Sono infatti presentate circa 100 opere tra oli, rilievi, pavatex, minipitture e alcune sculture, tutti lavori che documentano il suo percorso a partire dal 1946, anno in cui si può collocare il suo definitivo passaggio all’astrattismo fino al 1978. A completamento della rassegna è indagato anche il periodo iniziale con alcune nature morte degli anni ’30-40, scelte per documentare come il percorso verso l’astrazione avesse origini ben precise.
Significative per lo sviluppo del suo lavoro sono state le amicizie con Magnelli, Schneider, Charchoune e Arp a Parigi, Max Bill a Zurigo, con Baumeister e Fruhtrunk a Monaco e con Nicholson e Pasmore a Londra. Bonfanti, che non aderì mai a nessuno dei movimenti che si costituirono negli anni del dopoguerra, trovò un proprio linguaggio individuale, definito in modo chiaro ed elegante da alcuni grandi critici che ne hanno seguito il percorso, solo per citarne alcuni: Willy Rotzler, che lo definisce "un lavoratore silenzioso ed accurato che ha svolto il proprio compito con un senso di composta gioia nel sentirsi pittore, attento, preciso, diffidente verso ogni soluzione che si presentasse troppo facile (...) Non tanto badando all’oggetto in sé, quanto all’immagine interna della cosa che sta facendo.
Luigi Lambertini, a cui si deve il titolo della mostra, in poche raffinate parole racchiude l’essere di Arturo Bonfanti: "Tutto è come ripensato, sognato, filtrato attraverso una memoria che decanta lo spazio come possibilità di avvenimenti, di situazioni, coincide allora con il tempo e in questo silenzio di colori luminosi tutto trova il suo misterioso equilibrio, un suo modo di esistere e di apparire (...) Egli continua ad indagare un mistero in cui si identifica sia come uomo sia come pittore. Insomma abbiamo un colore che palpita nel silenzio dello spazio.
Marco Valsecchi, così riassume il dialogo tra geometria e colore: "E allo stesso modo l’apparire del colore somiglia alla crescita di una risonanza verso il suo diapason più armonico…la geometria allora non è più soltanto assolutezza di ordini matematicamente costruiti: diventa l’immagine più spontanea di un ordine spirituale".
Klaus Wolbert, nel suo testo per la retrospettiva del 2001 all’Institut Mathildenhöle di Darmstadt, “felice sintesi tra una rappresentazione puristicamente precisionista dell’oggetto, nel senso della Nuova Oggettività, ed un linguaggio delle cose tra magico e surreale, nello spirito della Pittura Metafisica. Con queste sorprendenti prove della sua maestria Bonfanti ha gettato le basi del proprio successivo sviluppo, poiché i passi venuti dopo, che lo condurranno all’arte concreta, si ricollegano conseguentemente a questo suo primo periodo”.
Numerose sono state le esposizioni sia personali che collettive a cui ha partecipato in musei internazionali tra le quali segnaliamo le ultime: Kunsthaus Zurich, Peggy Guggenheim (2009), Moderna Museet Stockholm (2008), Palazzo Reale Milano (2007), Kunsthaus Zug, Institut Mathildenhöle Darmstadt, Kunstverein Ludwigshafen, Musée Jenish Vevey, Musée Municipal de Cholet.
Le sue opere si trovano nei più importanti musei e collezioni.
Arturo Bonfanti nasce a Bergamo nel 1905. Nel 1926 si trasferisce a Milano dove si dedica all'arte grafica e applicata. La sua prima personale si tiene a Bergamo nel 1927. Nel 1930 sposa Luisa Ferravilla, figlia del celebre attore, e due anni dopo nasce Adriana. Il 1947 è l'anno in cui perviene all'astrazione geometrica. Nel 1952, interessandosi attivamente ad esperienze cinematografiche e realizzando cortometraggi che presenta all’ VIII Festival d'Amateurs di Cannes dove ottiene nel 1954 con "La chiave di Calandrino" il Prix du Film des Marionettes. È sua la scenografia della Panchina di Sergio Liberovici al Teatro Donizetti di Bergamo nel 1956.
Dal 1960 al 1975 allestisce mostre personali e collettive in varie città italiane, d'Europa e d'America; partecipa con sale personali alla IX Quadriennale di Roma (1965), alla XXXIV Biennale Internazionale di Venezia (1968) e alla X Biennale di San Paolo del Brasile (1969).
Ritrova e frequenta in Canton Ticino gli amici Arp e Nicholson e sempre in Ticino, presso l'Atelier Lafranca di Locarno, realizza buona parte della sua produzione grafica.
Nel 1975 si sottopone ad un grave intervento chirurgico che lo obbliga a ridurre notevolmente la sua attività creativa.
Muore a Bergamo nel 1978 per un improvviso malore.
In imminente uscita il Catalogo generale dell’opera di Arturo Bonfanti curato da Luca Massimo Barbero (Ed. Electa).
Il catalogo verrà presentato alla stampa nel mese di dicembre.
Lorenzelli Arte - Milano, corso Buenos Aires, 2
dal I dicembre 2011 al 25 febbraio 2012
inaugurazione giovedì I dicembre 2011, ore 18.30
martedì - sabato, ore 10.00/13.00 - 15.00/19.00 lunedì su appuntamento. Festivi chiuso
ingresso libero
Per info:
Judith van Vliet: judith@lorenzelliarte.com
+39.02.201914 www.lorenzelliarte.com
Metropolitana 1 (rossa), fermata Porta Venezia
Tram: 9, 29, 30, fermata p.zza Oberdan
Passante ferroviario: Porta Venezia
Galleria di Architettura “come se”
Gernot Riether
Coded surfaces
- Lecture e Mostra: martedì 25 maggio ore 20.00
- Sarà possibile vedere la mostra a partire da: venerdì 21 maggio ore 20.00
- Galleria di Architettura “come se”: via dei Bruzi 4/6, Roma (San Lorenzo)
- Durata della mostra: dal 21 maggio al 4 giugno
- Orari della galleria:
lun-giov_11.00-19.30
ven._11.00-23.00
sab._15.00-23.00
L’installazione dal nome “Coded surfaces” esplora sistemi basati su moduli che formano superfici complesse, cercando di intensificare l’interazione tra ciò che avvolge le aperture-fessure e la forma. La mostra sarà incentrata su due grandi aggregati-composizioni che sono costruiti attraverso l’utilizzo di superfici piegate.
Introduzione:
Gernot Riether, suggerisce un'architettura flessibile di strutture interne parallele che
emergono dall’ interazione e dagli intensi rapporti tra sistemi naturali e artificiali.
Riether, sostiene un pensiero progettuale che è il risultato dell’interazione di sistemi e della manipolazione di regole all'interno di queste interazioni. La progettazione architettonica non è il risultato guidato da idee concettuali che vengono estratte ed isolate dal nostro ambiente, si tratta piuttosto della ricerca della massima integrazione di queste idee con l’ambiente.
L’associazione di questo pensiero con una comprensione sistemica del nostro
ambiente naturale ed artificiale, genera una ricerca rivolta a nuove strategie che
aumentino il livello d’interazione tra sistemi architettonici come struttura e forma e tra l’edificio costruito ed i sistemi sociali e naturali.
Riether, concentra la sua ricerca sull’elaborazione di una progettazione informatica con un particolare interesse verso l’utilizzo di metodi di calcolo e la fabbricazione digitale che sono, i suoi strumenti-strategie di progettazione.
Gernot Riether come artista e architetto, sta lavorando su installazioni e progetti
a livello internazionale. Mostre in corso includono "MA" Disposizioni in bianco,
Atlanta, Stati Uniti nel maggio 2010 e "Caos" a G.A.S. - Stazione, Berlino, Germania nel febbraio 2010. Gernot Riether è un assistente professore presso la Georgia Institute of Technology. Ha insegnato in diverse Università in Europa
e gli Stati Uniti compresi NYIT e Barnard College della Columbia e alla Columbia
University, New York. E’ spesso invitato come critico scientifico a molte scuole di architettura come la Cooper Union, Princeton University e Pratt Institute.
Grazie per l’attenzione,
arch. Rosetta Angelini
Galleria di Architettura "come se"
Via dei Bruzi 4/6, 00185 Roma
Rosetta Angelini, direttrice
e-mail: info@comese.me.it
web-site: www.comese.me.it
f. +39 06-44.36.02.48
JACQUELINE DEVREUX
a cura di Attilio Fermo – Testo di Alessandra Redaelli
L’Immagine Art Gallery, via Fiori Chiari 12, 20121 Milano.
DAL 10 NOVEMBRE AL 10 DICEMBRE 2009
Orari Mostra: da Martedì a Sabato ore: 10,00-13,00 / 15,00-19,00
Il volto emerge dalla nebbia come una visione. I contorni sfuocati come in un ricordo che lentamente si fa strada attraverso la coscienza. Ombre soffici modellano l’ovale del viso, accarezzano l’affossamento dell’orbita e i volumi del naso, danno forma alla piccola bocca, appena distesa in un sorriso leonardesco, e poi si perdono nello sfondo a suggerire i capelli. E’ una bambina, Gisela. Tuttavia è impossibile darle un’età. La pienezza del viso fa pensare che l’adolescenza sia ancora lontana, ma lo sguardo fermo, dritto negli occhi dello spettatore, sembra contraddire questa ipotesi. Perché è uno sguardo saggio. Adulto senza essere ammiccante. Lo sguardo di chi sa.
La galleria di ritratti che Jacqueline Devreux fa vivere sulla tela è gremita di queste donne-bambine. Esseri eterei la cui bellezza non ha nulla a che fare con la perfezione delle forme né con i canoni stereotipati delle riviste. E’ una bellezza forte e violenta, che sgorga da dentro.
Sarà questa la galleria di immagini che lo spettatore potrà assaporare nella prima personale italiana dell’ Artista Belga Jacqueline Devreux (Brusselles 1963) presso L’IMMAGINE ART GALLERY di Milano.
Saranno in mostra circa una ventina di dipinti.
Catalogo in galleria, a cura di Attilio Fermo con testo di Alessandra Redaelli
Info@gallerialimmagine.com
Alla Galleria Merliani 137 di Napoli
Personale di Giampaolo Cono
presentazione critica di Gianni Nappa
dal 10 al 20 ottobre 2008
inaugurazione 10 ottobre ore 18,30
Trenta opere dell’ultima produzione di Cono, giovane artista napoletano alla sua prima esperienza espositiva, ma con un bagaglio di vita intenso, nonostante la giovane età, formato dagli anni in Inghilterra ed in giro per l’Italia, prima di stabilirsi di nuovo a Napoli. Persona volitiva e piena di iniziative, si inizia all’arte con la grafica, disegnando inviti per molte discoteche e locali di Napoli e dintorni negli anni novanta, ancora ragazzo, riscuotendo consensi e continue richieste.
In Inghilterra, a Londra si reinventa grossista di scarpe e vive a stretto contato con le gallerie e i locali di tendenza della capitale inglese. Nelle sue opere si racconta di una umanità senza pulizia e chiarezza, di uno stato di cose generali che pongono l’uomo come oggetto in mezzo ai suoi oggetti, nel caos della quotidianità, oramai mostri in mezzo ai rifiuti di una civiltà che si calpesta.
Opere dall’impatto emozionale forte, dove confrontarsi con la rappresentazione di tali mostruosità ci rende nervosi, ci fa catapultare in un rifiuto di quello che siamo e nella retorica di quello che non c’è più. Istintive ed immediate, le opere di Giampaolo Cono sono l’apoteosi del nichilismo, di un uomo ormai stretto nella sua gabbia, lontano dalla collettività e intento ad abbrutirsi sui suoi mezzi di trasporto. In questa prima personale, l’artista propone una decina di tele in cui la rete come elemento e come metafora di un’impossibilità di relazioni, dove l’accavallarsi delle strutture eliminano la natura, diventano giungle di linee e intersezioni, dove l’uomo non è più parte, e non può esserne parte perché la tecnologia e la globalizzazione ci regalano strutture di potere. Linguaggio semplice e non mediato da precedenti esperienze scolastiche specifiche, e si coglie d’impatto la naturalezza e l’istintiva forza che Cono utilizza per le sue opere, contrapponendo i colori e le forme per strutture fatte di sole linee che affascinano per la ripetitività quasi ossessiva che però è sempre in divenire come nuove e diverse dalle precedenti in un gioco di spazi e profondità che si rivelano dopo uno sguardo attento.
La sua figurazione è figlia di linguaggi contemporanei, che si mischiano e creano una nuova e diversa figurazione che attinge alle esperienze dei graffitari e delle arcaiche figurazioni rupestri in un mix dove la bellezza lascia il passo ad un bisogno pressante di racconto della società e delle sue malattie; sono in fondo un grido contro il degrado, contro la violenza, contro una condizione da non accettare.
Nuovo linguaggio metropolitano da sondare ed interpretare per una maggiore comprensione di una nuova visione che serpeggia tra i giovani del mondo alla ricerca di una vera identità, quasi ad esorcizzare il brutto-questa mostra di Giampaolo Cono, sarà uno stimolo ad immaginare un nuovo ambito, una nuova umanità che sappia essere protagonista nuda e senza sovrastrutture che la ingabbiano.
Siamo un’ umanità in rete, persa nel solco del potere economico è tempo di ritrovare un sistema condivisibile e Cono ci prova con la forza dell’istinto e con l’esperienza del vissuto.
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