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venerdì 9 settembre 2016

Perché fai l’artista? Ecco cosa risponde Pino Boresta

Luca Rossi intervista Pino Boresta




















Luca Rossi:  Perché fai l’artista? E come hai cominciato?
Pino Boresta:  Faccio l’artista perché credo di avere qualcosa di diverso da dire rispetto a quello che stanno dicendo altri artisti.

L:R: Che cosa rispondi a chi dice che, al di là delle facce, il tuo lavoro non si conosce e non si sa quale sia?
P:B:  Certo, forse dovrei fare qualche mostra in più, ma io non sono il tipo d’artista che si sbatte a destra a sinistra e in ogni dove alla spasmodica ricerca di una particina in qualche esposizione, e tanto meno aderisco a quelle formule per mostre personali o collettive dove, anche da gallerie insospettabili, viene chiesto all’artista l’immancabile contributo alle spese. Detto questo, a chi dice che non conosce il mio lavoro rispondo che è poco informato, o che desidera essere poco informato, non tanto perché io sia famoso, ma perché su Internet si possono trovare molte informazioni riguardanti quello che ho fatto: per esempio sul mio sito, dove ci sono info, foto e tre progetti di WEBArt, o sul mio blog, “Il Situazionauta”, dove c'è una sezione che riporta e spiega più di trenta miei progetti.  http://pinoboresta.blogspot.it/2007_10_01_archive.html

L:R: Si! Ho visto da qualche parte tutta una serie di nomi in colonna, cosa sono?
P:B:  Se ti fossi preso la briga di leggere, avresti capito che era un’operazione artistica: il progetto consisteva in una petizione per essere invitato alla Biennale di Venezia.  http://pinoboresta.blogspot.it/2008/10/firma-boresta.html

L:R: Si! Ricordo quando andavi in giro alle fiere a raccogliere le firme...
P:B:  Tu hai firmato?




L:R: Forse sì, forse no, chissà... Com’è finita poi la storia?
P:B:  È finita che hanno aderito alla petizione circa mille persone (997 per la precisione). Tutte le firme, insieme a una vasta documentazione, sono state spedite in Germania a Daniel Birnbaum, che era il direttore della 53° edizione della Biennale di Venezia.

L:R: E come mai non ti ha invitato?
P:B:  Potrei risponderti come nel box pubblicitario uscito su Juliet nel 2014: “Birnbaum perché non mi hai Invitato? Pane e vin non ti mancava. L’insalata era nell’orto. E un artista avevi in più”. Mah! Che dirti? Io so di certo che ha ricevuto il pacco, ed era quanto meno curioso di conoscermi e forse di invitarmi, ma nulla di ciò è avvenuto e tu sai meglio di me come vanno queste cose.

L:R: Io ero presente quando hai urlato in faccia a Massimiliano Gioni e, devo dirti la verità, mi sono un po’ vergognato per te, cosa pensi di ottenere facendo queste azioni?  https://www.youtube.com/watch?v=gDxYnZFyx_0
P:B: Se tu non hai il coraggio di fare certe cose, e questo è palese visto che continui a nasconderti dietro uno pseudonimo, non è detto che altri non possano averlo. Ma non ti biasimo, ognuno è fatto a modo suo e tu avrai le tue buone ragioni se continui nel tuo ostinato anonimato. Io ho iniziato a fare questa serie di interventi, che ho chiamato “ArtBlitz”, per protestare contro le storture del sistema dell’arte; è una forma di reazione nata istintivamente e trasformatasi quasi immediatamente in un’operazione artistica meditata e ben ponderata.  Ho capito subito che quella era una nuova forma d’arte a me congeniale, con la quale potevo esprimere, comunicare, raccontare, tutto quello che ho dentro e che ha urgenza di uscire per essere condiviso con voi.


L:R: Ora è un bel po’ che non fai più queste tue performance, come le hai chiamate, ArtBlitz? Hai forse chiuso con queste azioni?
P:B: Questo lo scoprirai solo vivendo.

L:R: Tu fai questo perché hai in odio il sistema dell’arte e tutti coloro che lo rappresentano?
P:B: Io non odio nessuno, io non odio il sistema dell’arte né, tanto meno, odio Massimiliano Gioni, verso il quale non ho niente di personale. L’ArtBlitz è il frutto maturo della mia frustrazione artistica, che dipinge e mostra a tutti il malcontento esistenziale presente in me e in ognuno di noi, quell’inquietudine che a un certo punto esplode e diventa qualcosa di bello, anche se non tutti forse la vedono così, ma non è successo già altre volte che qualcuno non abbia saputo riconoscere il bello lì dove si trovava?  

L:R: Allora tu ami il sistema dell’arte e tutti coloro che ne fanno parte?
P:B: Io amo l’arte, vivo per l’arte e, come tutti quelli che credono fortemente in qualcosa, sto male quando vedo o mi accorgo di ingiustizie e di storture all’interno di questo sistema. Io odio il sistema dell’arte quando sbaglia, quando è corrotto, lo odio quando è cieco, sordo, muto; io odio il sistema dell’arte quando dimostra di non saper amare e si nutre di quello per il quale è nato ed esiste. Io odio il sistema dell’arte quando il sistema cade nelle mani sbagliate e questo, ahimè, succede spesso, troppo spesso. Dice una canzone “…tu parli da uomo ferito…” . Si! È  vero io sono ferito e vengo ferito ogni giorno, ma non venite a dirmi che non devo lamentarmi, questa soddisfazione da me non l’avrete mai, perché io amo quello che faccio e lo faccio con amore. Io amo il sistema dell’arte quando il sistema dell’arte funziona bene, io amo il sistema dell’arte quando il sistema dell’arte è giusto, io amo il sistema dell’arte quando il sistema dell’arte è onesto, io amo il sistema dell’arte quando il sistema dell’arte premia chi lo merita. Ma non potete chiedermi di far finta di niente quando il sistema dell’arte agisce in maniera malata come il nostro sistema politico, come il nostro sistema finanziario, come il nostro sistema istituzionale. Io non solo devo avere la libertà di segnalarlo, ma il dovere di denunciarlo e, se per fare questo il prezzo da pagare è il disprezzo da parte di coloro che di queste storture sono i responsabili, i beneficiari e i complici, me ne frego e vado avanti orgoglioso di quei pochi, ma buoni, che dentro e fuori il sistema dell’arte mi apprezzano, accontentandomi della loro pacca sulla spalla, anche se potrebbero fare qualcosa di più. Del resto nella vita ognuno fa quello che ha il coraggio e la forza di fare e ormai non biasimo più nessuno per quello che non ha fatto ma che poteva fare. Ormai credo di aver imparato a riconoscere quando una persona è sincera, onesta e corretta nei miei confronti e se il prezzo pagato per aver imparato è stato alto, se le rate da liquidare prima di estinguere questo mutuo con la vita sono ancora molte, comunque sono sicuro che alla fine ne sarà valsa la pena.

















L:R: Allora “odi et amo" come ribadisci in questa tua nuova filippica?
P:B: Io ho spesso difeso con i miei articoli questo bistrattato mondo dell’arte contemporanea, e per questo vengo descritto come l’utile idiota, che difende il sistema che l’ha sempre rifiutato, a volte anche vantandosene. Angela Vettese una volta ha cercato di spiegarmelo dicendomi: “…che ti aspetti?  Tu combatti il sistema e il sistema ti rifiuta…”.  Allora, il mio pensiero non va a me stesso ma a chi, pur meritandolo, non trova spazio lì dove ha investito tutta la sua vita, perché non posso e non voglio credere che per essere accettati ci si debba comportare come abili lacchè.

L:R: E allora perché continui, giacché hai trovato pure chi ha provato a darti qualche consiglio?
P:B: Continuo perché gli artisti che sono più astuti di me, e che riescono a imporsi per vie diplomatiche, non hanno un lavoro migliore del mio. Continuo perché credo nel mio lavoro e, non essendo particolarmente abile nelle PR sottotraccia, né tanto meno in quelle alla luce del sole, ho deciso di sperimentare, forse sbagliando, altre strade.

L:R: Se pensi di aver sbagliato non sei stato molto furbo, potevi pensarci prima.
P:B:  Attenzione, ho detto “forse sbagliando”, ma forse no. Del resto se mi fossi comportato diversamente avrei avuto più successo? Ci ho riflettuto e comincio a dubitarne fortemente, visto la fine che hanno fatto molti degli artisti che hanno cominciato con me, ma anche quelli che hanno cominciato dopo di me e che, inizialmente, per alcuni anni, sembrava dovessero raggiungere le più alte vette della notorietà. Insomma, sì è vero, io forse sono uno sfigato come pensa qualcuno, ma non smetterò di far valere le mie ragioni. Continuerò a fare la mia onesta battaglia (contro gli altri e contro me stesso) come hanno fatto in passato tanti altri artisti. E se a volte ho dovuto fare qualcosa sopra le righe o al di là dell’etichetta per farmi sentire l’ho fatto, tutto qui.

















L:R: Qualcuno ha ravvisato in queste tue azioni clandestine una certa vicinanza con il teatro, non hai mai pensato di sfruttare questa tua naturale predisposizione per fare l’attore?
P:B: No! È capitato che alcuni amici mi esortassero a frequentare corsi di recitazione ma io ho troppo rispetto per l’arte altrui e non è sufficiente avere una semplice predisposizione per intraprendere una forma d’arte complessa e importante come quella dell’attore. Fare l’attore richiede un impegno costante e una disciplina rigorosa se vuoi ottenere buoni risultati, ed io sono fuori tempo massimo per tutto questo. Non si può fare tutto se si vuole fare bene. E poi, io non conosco il Metodo Stanislavskij, anche se Russell Crowe ha detto che non serve.

L:R: Ti sei pentito di qualcosa che hai fatto nel mondo dell’arte? E se tornassi indietro, rifaresti tutto quello che hai fatto?
P:B: C’è sempre qualcosa di cui pentirsi nella propria vita professionale. Una volta gli artisti, consapevoli del proprio narcisismo, dovevano rivaleggiare e guardarsi solo dai propri simili in virtù dell'innata concorrenza che sorge tra esseri umani che praticano la stessa disciplina. Ora sono parecchi anni che si deve fare i conti anche con i curatori, i critici, i galleristi, i collezionisti e tutti quelli che una volta erano i più fidati alleati degli artisti. Ora anche loro sono in preda a questa sfrenata smania di protagonismo che in questa società dello spettacolo ha contagiato ormai tutti. Insomma è sempre più ampia la platea di concorrenti con la quale l'artista si deve confrontare ogni giorno, è così che spesso soccombe o viene messo in secondo piano o, in alcuni casi, è lui stesso che si defila e si tira fuori. Perciò, tenendo conto di questo per rispondere alla tua domanda ti dico che, tornando indietro, si potrebbe essere tentati di calibrare la propria esistenza diversamente ma, allo stesso tempo, si correrebbe il rischio di commettere errori, forse più grossi, quindi in definitiva meglio tenersi stretto quello che si è raggiunto con fatica e dolore e andare avanti fino che morte non ti separi.


L:R: Ho visto quel video, dove hai fatto arrabbiare molti galleristi con le tue dichiarazioni. In pratica sostieni che loro direbbero un sacco di frottole pur di vendere le opere dei loro artisti. Perché lo fai? Perché ti piace tanto farti odiare? Lo fai per catturare la loro attenzione? Lo fai per avere un pretesto per poi lamentarti? Lo sai che così facendo nessuno t’inviterà mai a partecipare alle loro mostre?
P:B:  E no! Caro Luca non mi aspettavo questa domanda proprio da te, anche perché tu sai bene (ed io ho incominciato prima di te) che ci deve pur essere qualcuno che dica e racconti come stanno realmente le cose. Qualcuno che abbia il coraggio di dire quello che veramente pensa, questo è un requisito sempre più raro tra gli artisti. Ci sono troppi silenzi sopravalutati nel mondo dell’arte.

L:R: Visitando il tuo Diario di Facebook ho notato che sei piuttosto apprezzato dagli street artisti perché non ti dedichi di più a loro?
P:B:  Non devi certo dirmi tu cosa devo fare. Chi ti dice che non curi le mie relazioni lì dove buona parte della mia ricerca artistica ha sperimentato il suo fare, quando la Street Art non era ancora una moda?  

L:R: Volevo solo dire che ho avuto modo di constatare che sei in qualche modo stimato da questa categoria di artisti.
P:B:  Si lo so e anche io ammiro loro. Quando ho iniziato io, circa trent'anni fa non esistevano ancora nelle città questi enormi murales, alcuni molto belli, tutto era fatto abusivamente e illegalmente e se ti beccavano erano cacchi tuoi. Spesso molti writers hanno pagato cara questa clandestinità. A me è successo due o tre volte di essere stato pizzicato dalle cosiddette forze dell’ordine mentre attaccavo i miei adesivi e, quando mi hanno chiesto cosa fosse ciò che attaccavo, ho risposto loro esattamente come rispondo ai passanti quando mi scorgono in azione: “Pubblicità! Sono adesivi pubblicitari”. Questo è quello che dico e, se mi domandano "pubblicità di cosa?", ogni volta invento una storia diversa: di una libreria, di lezioni di yoga, di una marca di abbigliamento, di una marca di liquore oppure di una ditta di caramelle. È successo poi, con mio grande stupore, che quest’ultima storia poi si sia realmente avverata. Per un periodo, infatti, una marca di caramelle ha pubblicizzato il suo prodotto con il viso di un uomo che mi somigliava mentre fa una smorfia simile alle mie. Alcuni miei amici sostenevano che avrei dovuto fargli causa per plagio. Figurati se io, che operavo illegalmente, avrei mai potuto fare causa a una ditta che promuoveva legalmente i suoi prodotti, me ne sono guardato bene.

L:R: Ma ti sei informato forse avresti potuto fare qualcosa?
P:B:  Sono più di 25 anni che subisco tentativi di imitazione, le prime volte la cosa mi faceva incazzare ma poi, osservando gli scarsi vantaggi che ne traevano gli imitatori, ho smesso di curarmene. Ho ben presto constatato che il tentativo di plagio non mi cagionava nessun danno d’immagine, ma rendeva, anzi, più forte e valido il mio lavoro. Vi è però un clamoroso tentativo d’imitazione che ho scoperto casualmente durante un viaggio di piacere in Olanda, a Maastricht, dove ho trovato degli stickers che non solo erano copiati dai miei, ma ricalcavano pari pari le mie tipiche smorfie, proprio quelle da me utilizzate. In un primo momento devo confessare che mi sono molto irritato ma poi è diventata una sorta di divertente caccia al tesoro per scovarli e fotografarli.

L:R: Però in molti non ti considerano uno street artista puro?
P:B:  Ma chi è lo street artista puro? Com’è fatto lo street artista puro? Non esiste uno street artista più autentico di un altro, esiste la Street Art ed esistono degli artisti che la fanno, punto.

L:R: Qual è stato il tuo primo lavoro di Street Art e com’è nato?
P:B: Questo non te lo dico lo leggerai un giorno da qualche parte quando avrò voglia di raccontare tanti piccoli interessanti particolari e curiosità. Ma ti posso dire quale mio lavoro di Street Art spaventa più di ogni altro gli addetti ai lavori.














L:R: E quale sarebbe?
P:B: Ogni volta che ho proposto il mio progetto M.E.R.D.A. a dei galleristi o ad altri addetti ai lavori sono sempre scappati a gambe levate, per poi lamentarsi che la politica sta distruggendo questo paese. Ma di che stiamo parlando? Questi sarebbero i nostri promotori culturali? Perché nessuno ha il coraggio di sostenere una vera critica sociale nei confronti dei poteri forti?

L:R: Non lo so dimmelo tu.
P:B: No! Te lo faccio spiegare da Andrea Bruciati, che cosi ha risposto a Luciano Marucci in un'intervista, perché meglio io non lo potrei fare:
D: Il potere politico fa sentire il suo peso?
R: In Italia è un dato naturale perché si vive in una sorta di perenne campagna elettorale in cui la bilancia pende dalla parte di chi aiuta ad attrarre voti, ad aver consenso. E l'arte contemporanea, per sua stessa definizione, non dovrebbe perseguire il consenso. Interpreta criticamente la realtà, quindi diventa scomoda. In una tale situazione mi chiedo quanti siano i partiti o gli esponenti politici che vogliono investire su qualcosa che, invece di essere addensante di voti, mina all'interno le certezze dell'elettore. Perciò viene evitata. Invece si deve capire che l'arte contemporanea di per sé è una specie di meccanismo sano della democrazia, di critica interna al sistema. Quando un politico capirà questo, ci sarà un reale investimento nei confronti della cultura e non solo occasionale. Al contrario, se viene vista come una specie di vetrina per attrarre gli elettori, sicuramente non si investirà in essa se non in modo sporadico.



















L:R: Ma cos’è il progetto M.E.R.D.A.?
P:B: Come ho già spiegato da qualche parte, il progetto M.E.R.D.A. ossia (Manifesti Elettorali Rettificati Da Asporto) è la versione espositiva del mio intervento urbano, denominato M.E.R. - Manifesti Elettorali Rettificati, che eseguo sui manifesti elettorali fin dal 1996. Il progetto M.E.R. è una derivazione del progetto D.U.R. (Documenti Urbani Rettificati), iniziato qualche anno prima, dove a essere modificati con le facce sono: manifesti, volantini, locandine, multe, avvisi, pieghevoli, ecc. Tutto viene poi lasciato sul posto per detournare il passante (solo alcuni documenti vengono a volte prelevati a documentazione dell'evento). Il progetto M.E.R. è stato particolarmente notato quando l’ho realizzato a Venezia nel 1999 durante la biennale, quando sono intervenuto sul faccione di un politico rettificando gli occhiali di un allora ex sottosegretario ai beni culturali. A ogni campagna elettorale compio questo tipo d'intervento urbano, non solo a Roma. Ti racconto un fatto: Un giorno, andando a un’inaugurazione, passai davanti a una nota galleria dove incontrai sull’uscio a rimirar tra le rossastre nubi non il Carducci ma il gallerista che parlava con un noto artista. Avevo sotto il braccio, un paio di manifesti elettorali che avevo appena strappato dal muro per portarmeli a studio e, poiché avevo con lui una certa confidenza, gli ho proposto di comprarseli (chiaramente rettificati in MER), ma lui ha cordialmente rifiutato la proposta nonostante il prezzo stracciato che gli facevo. Ora questa galleria ha chiuso, ma la cosa divertente di tutta la faccenda è che poi, sempre lo stesso giorno, vi è stato chi, più lungimirante del gallerista, quei due MER se lì è comprati. Infatti, appena entrato dove si teneva il vernissage, incontro un noto critico che parlava con il direttore di uno di questi premi... beh, insomma, per fartela breve, dopo aver scambiato qualche parola il curatore dice “Ma lo sai chi è lui? Dai, tira fuori una tua faccia”.  Io invece ho aperto uno dei manifesti che avevo e l'ho rettificato lì per lì, creando una festosa azione estemporanea, una sorta di performance non prevista nella galleria dove si stava svolgendo la mostra di altri artisti. Invece di cacciarmi via a pedate, tutti (gallerista, curatrici, organizzatori e artisti compresi) si sono avvicinati facendo domande e scattando foto, poi il critico, mio amico, ha voluto pagarmi il MER anche se io in realtà volevo donarglielo (in passato mi aveva invitato a importanti mostre) e allora l'ho firmato. Poi anche il direttore ne ha voluto comprare uno, allora siamo andati sul pianerottolo all'entrata della galleria e lì ho performato, creato e incassato. Sono piccole soddisfazioni lo so, ma sono quelle che mi hanno dato la forza per continuare in questo sporco lavoro, che qualcuno dovrà pur fare, e che io amo troppo per lasciare che lo faccia qualcun altro.

L:R: E quegli adesivi con la scritta intorno alla tua faccia cosa sono?
P:B: Anche questo l’ho già spiegato più volte, sono la versione interattiva degli sticker del progetto C.U.S. – Cerca ed Usa la Smorfia e sono composte da una foto-smorfia circondata dalla seguente dicitura: “Contribuite a contaminare la città con una vostra opinione sul fenomeno ‘Pubblicità’ oppure scrivete ciò che volete.”. Realizzati in diversi formati, questi adesivi si possono tuttora trovare attaccati qua e là per le città ma, a differenza dei numerosi tentativi di imitazione subiti nel corso degli anni dalle grosse facce ovali, queste nessuno ha mai pensato di imitarli, chissà perché?
























L:R: Forse perché in genere a nessuno piace fare domande sapendo che non saprai mai la risposta?
P:B: Quando ho ideato quest'adesivo non era mia intenzione recuperali.
Ma poi ho cominciato con quelli dove trovavo delle scritte e che era possibile tirare via sostituendoli con degli stickers vergini. In seguito ho iniziato a recuperare anche quelli solo con la faccia (gli adesivi ovali) deturpati dal tempo.

L:R: Così fai l’occhiolino al mercato dell’arte, recuperi, confezioni e poi vendi?
P:B: Io non faccio l’occhiolino a nessuno, io faccio il mio mestiere d’artista e come tale mi preoccupo che il mio lavoro venga in qualche modo valorizzato e conservato. Se poi ci scappa qualcosa per comprarsi un panino con la mortadella non vedo cosa ci sia di male, dai miei studi mi risulta che anche Michelangelo Buonarroti si concedesse qualche buon pasto e non solo, e dalle parti mie ci sono anche cinque bocche da sfamare.

L:R: Questo per ciò che concerne la Sticker Art, ma parlando di Street Art, fatta con Graffiti e Murales, cosa pensi di questa storia di Blu che a Bologna ha deciso di cancellare tutti i suoi pezzi?
P:B: Come ho già commentato da qualche parte, penso che ne avesse tutto il diritto. In questo paese bisogna smetterla con tutta questa gente che specula e vuole guadagnare con la fatica, il sudore e il culo degli altri, ci vuole più “Onestà! Onestà! Onestà!”, e non solo onestà istituzionale, ma anche e soprattutto onestà intellettuale.






















L:R: Tu hai mai fatto un Murales o un Graffito?
P:B: No!

L:R: Perché?
P:B: Perché bisogna seguire e tenere conto delle predisposizioni soggettive adottando la pratica artistica più confacente alle personali disponibilità economiche, nonché alle capacità e abilità che si possiede. Ma soprattutto bisogna seguire le proprie attitudini e il proprio intuito, perché l’intuito è indispensabile e fondamentale ai fini di una buona riuscita di ciò che s’intraprende, come ha teorizzato e spiegato il filosofo Henri Bergson.

L:R: In sostanza non ne saresti capace.
P:B: Esatto! Se vuoi puoi pensarla così. In realtà ero un pittore niente male (e forse lo sono ancora, ma qui lascio larga sentenza ai posteri) e sarei potuto diventare ancora più bravo ma a che pro? In un mondo dove i pittori eccellenti sono già tantissimi? Ho capito ben presto che la mia missione nell’arte era un'altra e non s’incentrava sulla pittura, che comunque non ho mai abbandonato del tutto e che anzi fa spesso capolino nella mia produzione.

L:R: Qualcuno pensa che tutti gli artisti di strada siano dei vandali, tu cosa rispondi?
P:B: È vero siamo dei sovversivi, dei ribelli, dei contestatori, dei rivoluzionari, degli agitatori, degli innovatori, dei promotori, degli oppositori, degli antagonisti, dei partigiani, dei vandali che a volte fanno delle magie, ma non siamo dei terroristi.

L:R: Si dice che ognuno di noi ha necessità di sentirsi parte di un progetto più grande, qual è il tuo?
P:B: Non lo so. Non so se esiste un grande progetto che contenga anche quello mio, che comprenda anche quello che faccio io. Non so se quello che tu dici sia vero, in sostanza non so nulla, forse a questa domanda non so risponderti, ma io credo che si possa vivere anche senza necessariamente sposare o appiattirsi su grandi ideali, specialmente se questi ideali sono costruiti da altri. Del resto non è quello che facciamo giorno dopo giorno? Andiamo avanti o andiamo indietro senza nessuna certezza. Però alla fine si finisce sempre per credere in qualche cosa, ma in qualcosa che hai creato dentro di te. Ma pure questo potrebbe essere sbagliato. In sostanza credo di poter dire che gli artisti di strada vogliano solo avere la possibilità di esprimersi, di dire e fare quello che gli passa per la testa. Rita Pavone diceva “datemi un martello, lo voglio dare in testa a chi non mi va” noi diciamo “datemi un muro lo voglio far vedere a chi dico io”. E la finisco qui, perché, per uno che inizialmente non sapeva cosa rispondere, mi pare di aver detto anche qualche stronzata di troppo.






















L:R: Che cosa pensi di Luca Rossi?
P:B: Trovo interessante quello che dici e importante quello che scrivi e sono totalmente d’accordo con quello che sostiene Fabio Cavalucci su di te. Se tu non fossi esistito il panorama dell’arte italiana (e forse non solo italiana) sarebbe stato sicuramente più povero, meno appassionante e sicuramente meno divertente.

L:R: Divertente? Trovi che sia comico? Non ci trovo niente di umoristico in quello faccio, la mia è una critica aperta al sistema dell’arte.
P:B: Divertente è stato da me usato in accezione positiva. Quello che voglio dire è che la tua vera forza sta in quello che dici e come lo fai, è questo il tuo vero lavoro, e non penso dovrebbe essere diversamente. Tu! Tu sei il vero lavoro, tu in quanto “Luca Rossi” in quanto “te stesso” in quanto esistenza anomala e spina nel fianco nel sistema dell’arte, ed è in questo senso e su questo piano che dovresti secondo me continuare a lavorare.






L:R: Che cosa pensi del mio lavoro “My Duchamp”? Ti fa ridere?
P:B: No! Lo trovo un po’ deboluccio, come lo è stato “Talent Show”, finito in nulla di fatto. E come tu ben sai io ci sono rimasto molto male, perché ero sicuro di vincere.  

L:R: Che fai sfotti?
P:B: No! Qualcuno dice invece che ho messo una pezza lì dove il tuo progetto è fallito. E comunque è vero quando dici che la tua è una critica aperta al sistema, e se il tuo intento è di smascherare il marcio del sistema dell’arte contemporanea con l’arte stessa, trovo tutto questo molto coraggioso. Ma i tuoi lavori sono spesso chiusi in se stessi, poco efficaci e di debole impatto. Come ti ho detto, secondo me, dovresti lavorare su altri registri. Ho l’impressione che nei tuoi lavori ci siano delle forzature  dovute al fatto che tenti ogni volta di farti accettare come artista. Non è necessario che tu debba per forza di cosa realizzare delle opere d’arte per dimostrare quello che teorizzi e dici, fare questo conferisce, secondo me, debolezza a tutto il tuo progetto totale che è ben più importante. Non aver paura di non esistere, questa è la tua forza, tu sei più di un artista e se vuoi essere vincente devi superare il concetto di opera concreta, addirittura di opera in quanto tale. Del resto stiamo andando o no sempre più verso la sparizione dell’opera materiale? Avrei tanti esempi da farti, ma li conosci bene anche tu, e tu che hai già il vantaggio di non esistere come entità concreta che bisogno hai d’esistere per mezzo di un’opera materiale? Lascia che di te rimanga solo l’idea, solo così potrai conquistarti l’immortalità che meriti.




L:R: Continui a sfottere, ma potresti aver ragione per cui evito di risponderti a tono come hai fatto tu, dicendoti che non devi certo dirmi tu cosa devo o dovrei fare. Anche perché il mio lavoro ha bisogno di tutti, anche di te, e tutti hanno bisogno del mio lavoro.
P:B: Suscettibile e permaloso eh? Lo sono anch’io, non saremo mica la stessa persona?

L:R: Qualcuno lo pensa, tu come rispondi quando te lo chiedono?
P:B: Rispondo che sì, è vero, io sono il Luca Rossi, ma il  L.R. che ci ha messo la faccia, la sua faccia fin dall’inizio. Ma il tuo lavoro è un’operazione diversa e ha una storia diversa, per questo, forse, è giusto che tu rimanga nell’anonimato, altrimenti saresti un doppione del “Boresta Parlate”, anche se ti senti più importante di lui e probabilmente lo sei. È  quello che volevi sentirti dire?

L:R: No!
P:B: Allora qual è il problema, perché sei così curioso di sapere cosa rispondo a chi mi chiede se sono te? Forse a te dispiace?

L:R: No! La mia opera è anche questa.
P:B: Concordo in pieno.




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