A cosa serve altra arte?
Ho conosciuto Emilio Prini e ogni volta che lo incontravo il discutere con lui mi forniva spunti di riflessione illuminanti e singolari che elaboravo sempre in un secondo tempo, e che ho verificato essermi stati utili per approcciarmi nella giusta maniera nei confronti dell'arte contemporanea, ma allo stesso tempo, potrebbero anche essere stati la mia rovina, un giorno riuscirò a capire anche questo, forse. Ricordo bene uno di questi che ho descritto in uno dei miei pizzini su Juliet. Ciao! Grande Emilio, che hai insediato, inserito, incastrato nella mia mente una di quelle domande alle quali è diventato, ormai, quasi impossibile rispondere, ma alla quale è forse, ora come ora, anche inutile provare a rispondere. Rimane comunque innegabile che questo interrogativo mi ha accompagnato per un lungo tratto del mio percorso artistico, e continua a farmi compagnia nel bene e nel male. Qui sotto quel famoso pizzino del 2008 pubblicato su "Juliet" n.134:
"Qualche anno fa a via del Corso a Roma ho fatto un incontro e la riflessione che n’è scaturita mi pare tutt’oggi più che mai valida, e per questo motivo ve la racconto. Appena fuori al portone della famosa galleria ero sul punto di incamminarmi quando ho incontrato Emilio Prini. Andava anche lui all’inaugurazione e dopo avermi salutato mi ha fatto immediatamente notare una vetrina nella quale erano accuratamente esposti capi di abbigliamento a suo parere orribili. Effettivamente era così: quel negozio d’abbigliamento per uomo (che si trovava proprio di fianco al portone in questione) esponeva cardigan antiestetici, maglie con fantasie stantie, camicie con colletti improbabili. L’insieme aveva delle tinte improponibili, ed i completi erano di un taglio, né vecchi al punto tale da far tendenza, né tanto meno conformi alla moda più becera. In seguito ho ripensato a quella serata e mi sono reso conto di essere stato più stimolato dalla riflessione nata da quell’incontro davanti all’improbabile vetrina che non dal vernissage. Forse, la vera mostra era proprio lì, accanto a quel portone, ma chissà perché tutti si ostinavano a oltrepassarlo per poi salire in galleria. E se gli artisti invece di fare solo mostre riflettessero di più sulle cose quotidiane? A che cosa serve produrre altra arte quando ce n’è già tanta? Creare uno stato di pensiero su quello esistente non potrebbe forse essere più utile? Non ditelo a Robert Storr lui di riflessione filosofica, sociologica o politica non è dato sapere quanto ne capisca.* Ma sarà vero? O l’ha detto per evitare le critiche dei così detti "Artisti impegnati", che sono da sempre quelli più rognosi e polemici, e bravi a creare solo problemi?"
pino boresta
* sono parole sue
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