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sabato 16 maggio 2015

Sacro e profano - ritratti, nudi e copie d'autore - mostra personale di Agnes

Prolungata fino al 21 maggio

 

Intervista a Roberto Casiraghi


Roberto Casiraghi (ROMA CONTEPORARY)



















Quale è stata la sua formazione?
Ho studiato a Genova fino alle superiori, per concludere a  Torino dove la mia famiglia si trasferì alla fine degli anni '60. Ho iniziato a lavorare molto presto per rendermi indipendente dai miei genitori, per questioni economiche e non certamente affettive, e mi sono occupato di una rivista di management che era la pubblicazione che affiancava la scuola di amministrazione aziendale fondata da Ferrer Pacces e successivamente venduta al Gruppo Sole 24 ore e ho costituito una piccola concessionaria di pubblicità che vendeva spazi per riviste specializzate e per tutti i cataloghi ex Bolaffi, in seguito passati a Giorgio Mondadori

Ci può fare un breve percorso del suo vivere nel mondo dell'arte e di come ci è arrivato?
Nel mondo dell'arte sono arrivato da una porta di servizio, molto distante dall'ingresso principale: avevo l'incarico di raccogliere il materiale fotografico degli antiquari milanesi per il catalogo della mostra che annualmente si teneva alla permanente di Milano e da semplice "postino" mi sono trovato a dover compilare le schede, scattare le foto e, talvolta, scegliere gli oggetti da pubblicare. Il mio primo impatto è stato con l'arte antica e gli antiquari: ho rischiato il trauma psicologico ma ho superato la prova e ho iniziato con l'aiuto, il sostegno e la stima di alcuni grandi antiquari dell'epoca a occuparmi di mostre, a curare i percorsi, e gli allestimenti, la comunicazione, i cataloghi e l'ufficio stampa. Il passaggio dall'antico al contemporaneo è stata una naturale evoluzione dell'interesse per l'arte che nel frattempo e inevitabilmente si è sviluppata lavorando a contatto con le opere.

Quali opere troviamo alle pareti della sua stanza di rappresentanza?
Mi piacerebbe avere una stanza di rappresentanza, vorrebbe dire che sono "arrivato" e che rappresento qualcuno o qualcosa. Il mio mestiere non da soddisfazioni economiche tali da potersi permettere chissà che cosa e quelle poche opere che conservo prevalentemente in ufficio a Torino e a Roma sono acquisti emotivi che suscitano sensazioni di benessere, non rispondono a logiche di speculazione o investimento anche se in taluni casi sono stati degli ottimi investimenti; ma sempre a posteriori e sorprendentemente, non organizzati scientificamente.

















E come mai da Torino è poi approdato a Roma?
Roma era l'unica grande capitale a non avere una fiera d'arte contemporanea e avevo affinato un progetto che ci sembrava tagliato su misura per la città eterna

Un breve consuntivo di queste prime edizioni di "Roma contemporary"?
La culla, poi il nido, l'asilo e finalmente quest'anno 2013 ROMA va a scuola, compie sei anni. E' stato un percorso difficile e travagliato, come del resto il parto e la nascita del progetto. Roma è una città la cui indifferenza ha ispirato grandi autori e letterati e non è certo una fiera d'arte che può sovvertire una tradizione ultra millenaria ma nonostante ciò, con piccoli passi, il percorso ipotizzato per la fiera si sta compiendo e la prossima edizione darà un segnale evidente di quanta strada sia stata fatta da 2008 ad oggi. E questo grazie alla costanza ed alla collaborazione di molti, galleristi e collezionisti assieme agli Enti Locali e tante altre istituzioni artistiche.

Anticipazioni o pronostici per l'edizione 2013?
Il progetto si evolve e la fiera del 2013 pone esclusivamente al centro dei propri interessi e delle proprie analisi i paesi del mediterraneo e del medio oriente; gallerie e artisti di quell'area o che a quella parte di mondo si ispirano, offriranno al pubblico una rappresentazione geograficamente molto precisa, qualitativamente interessante per paesi che si stanno dimostrando in questi ultimi anni particolarmente attivi e dinamici. Cristiana Perrella è stata chiamata a dettare le scelte scientifiche e sua è la maternità del progetto in questa declinazione nuova. Dal 27 al 29 settembre 2013 al MACRO Testaccio (e anche "altrove" in città) si terrà la sesta edizione di ROMA CONTEPORARY - The Mediterranean and Middle East Art Fair.

La crisi economica e la morsa inesorabile del fisco porteranno a un ulteriore prosciugamento del mercato dell'arte oppure le opere di arte contemporanea sono destinate a diventare l'unico bene rifugio assieme all'oro e ai gioielli?
Io credo che vedere l'arte unicamente come bene rifugio sia un errore che spersonalizza le scelte e priva il mercato del suo fondamento estetico. Ciò premesso occorre attuare tutti i provvedimenti necessari a rendere l'acquisto di opere d'arte meno penalizzante rispetto agli altri paesi sia per quanto riguarda l'iva che per quanto riguarda una certa attitudine a considerare i collezionisti come prototipi di evasori e quindi perseguitati d'ufficio.


















Pensa di poter dare un suggerimento a ministri e assessori per poter migliorare la nostra stagnante situazione culturale?
Ministri ed assessori ascoltano troppo i consigli di chi sta loro vicino. Al nostro paese manca la cultura della cultura; è da questa consapevolezza che bisogna incominciare e i primi che dovrebbero porsi il problema sono i nostri Presidenti del Consiglio che, viceversa, fanno occupare la poltrona a persone che non hanno per l'argomento alcun interesse. Pensavo che Facchiano e Bono Parrino fossero il punto più basso della storia del nostro patrimonio e mi sbagliavo.

Ultimamente si parla molto di meritocrazia, lei pensa che nel mondo dell'arte, in Italia, questo parametro viene applicato?
Ma no, certamente no. E del resto non si capisce per quale motivo il mondo dell'arte dovrebbe vivere in una sorta di ambiente protetto; è parte del sistema e basta leggere i bandi di reclutamento dei direttori dei musei d’arte contemporanea o i bandi per i servizi aggiuntivi del Ministero MICAB o cercare di penetrare nella rete di protezione di società, associazioni e fondazioni per comprendere che il merito non è neppure un optional,  compare proprio nel listino prezzi...

Interviw by  PINO BORESTA
artista eclettico e controcorrente. Da alcuni
anni tiene una rubrica fissa per la rivista
“Juliet”. Vive nei sobborghi di Roma ed è
un viaggiatore impenitente.


Pubblicato su; ("Juliet" n. 162  April - May  2013)


In foto:
Una mia opera di fotocomposizione del ritratto Roberto Casiraghi .
Due mie foto di ROMA CONTEPORARY al MACRO Testaccio del 2012.

venerdì 15 maggio 2015

Amy-d Arte Spazio, Milano: mostra "Backies di Ago Panini"

Backies 
di Ago Panini
Inaugura il 21 maggio alle ore 18.30 presso la galleria AMY-D Arte Spazio, Via Lovanio 6, Milano
Dal 22 maggio all'11 giugno 2015
a cura di Denis Curti
un evento Photofestival


Divenuto il nuovo lemma della lingua italiana – a testimoniarlo è lo Zingarelli –, il selfie è un fenomeno di moda che accompagna la giornata di grandi e piccoli, di capi di governo e first lady, di compassati prelati e divi del rock, di banchieri in doppio petto e star del cinema.

Il rischio, per chi, negandosi, non si professa in un atto partecipativo, è l'etichetta del dissociato, del disadattato, del deviante (rispetto alle mode e alle nuove socialità).

Esasperato nella pratica, compulsivo e ossessivo nel consumo, il selfie è assunto a simbolo dei tempi, a cartina tornasole di una società ipercomunicativa, sempre in movimento, votata alla rincorsa di rinnovate formule espressive e linguistiche – sempre facili e divertenti –.

Parte di un rituale globalizzante che coinvolge tutti e in ogni momento, privato o intimo che sia – basta una breve ricerca e si scoprono anche quelli con il caro estinto –, esso assurge a prova, testimonianza, appartenenza, certificazione: io esisto. L'autoscatto si rivolge ovunque e a chiunque, un pressing che confonde a tal punto da non riuscire a distinguere con chiarezza chi sia la preda e chi il predatore.

Ago Panini, regista, musicista, pubblicitario e scrittore – è suo il romanzo "L'erba cattiva" (Indiana editore) – a questo dictat risponde scegliendo lo stesso terreno, quello della comunicazione, e l'energia di un progetto che è ascolto e riflessione, ricerca e conoscenza. Con l'opera fotografica "Backies", egli guarda all'uomo e all'altro volto della luna, quello opposto al mondo smile, smart e friendly di un quotidiano più o meno verosimile.

Se il viso è l'arma mediatica del selfie, il foglio bianco sul quale si compone il mosaico di un linguaggio non verbale sempre ammiccante, divertente e teatrale, il backie documenta chi, di spalle, è colto nel guardare il mondo che si apre ai suoi occhi; chi, assorbito dallo spazio, ritrova nell'atto del vedere il tentativo di mettere in luce, come significato, il proprio rapporto con il mondo.

Nella presenza umana delle immagini firmate da Ago Panini risuona l'invito rivolto allo spettatore a inventare una storia, a rapportarsi con il protagonista e con ciò che è lì, all'orizzonte. Come dinanzi al quadro "Monaco davanti al mare" (1810) di Caspar David Friedrich si è chiamati a immedesimarsi nella figura, a sentire l'altro e l'emozione del momento, l'abisso del mare e del cielo nebbioso, a vivere in empatia con ciò che ci è prossimo, così, posti di fronte alla scena fotografata, non si può non entrare nell'immagine, contemplare la realtà e avvicinare un'espressione del mondo.

La posizione di spalle del soggetto, colto in solitudine, coinvolge l'osservatore, divenuto co-protagonista e viaggiatore, e lo proietta nella stessa meditazione. È un ponte gettato, quello prodotto dall'autore, tra lo spettatore reale, il soggetto fotografato e il paesaggio rivelato.

È un corto circuito tra la realtà interna all'opera e ciò che emerge dallo sguardo indagatore. I trentotto scatti realizzati da Ago Panini nel mondo sono tutte voci che concorrono a un unico invito: fermarsi per un istante e raccogliere questa piccola sfida investigativa – l'ascolto della propria presenza –, in silenzio. Attendere quei pochi secondi che il mondo venga a noi e coglierlo in un momento di sospensione. Nel contatto, nel gioco della partecipazione, non rimane che intrattenersi lasciandosi scoprire. Con leggerezza e ironia, con gioco e fantasia.


 

Immagini di Ago Panini 

A cura di Denis Curti 


Produzione PIANO B


PAN_Mostra Marco Bolognesi_5-28 giugno 2015_Napoli



PAN | Palazzo delle Arti Napoli
 5 – 28 giugno 2015
Marco Bolognesi
"Sendai City. Alla fine del futuro"

Conferenza stampa: mercoledì 3 giugno ore 11.00 alla presenza dell'artista e dell'Assessore alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli Nino Daniele

A Napoli la terza tappa della mostra "Sendai City. Alla fine del futuro" di Marco Bolognesi, curata da Valerio Dehò e Massimo Sgroi, promossa dall'Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli. Dopo il successo riscosso a Merano e Bologna, arriva al Pan Palazzo delle Arti Napoli, la città-mondo, cyberpunk e visionaria, creata dall'artista emiliano attivo tra l'Italia e l'Inghilterra. 

L'esposizione è un percorso articolato e interattivo, in cui il visitatore entra fisicamente in Sendai City, la città postmoderna dove vivono organismi cibernetici, mutanti, valchirie aggressive e poco vestite, numerose schiere di robot e un ridottissimo esercito di umani prodotti in laboratorio. 

La megalopoli ipertecnologica creata da Bolognesi in dieci anni di ricerca e sperimentazione (il nome Senday City è un omaggio allo scrittore cyberpunk William Gibson), è un mondo metafisico alternativo, governato da un'intelligenza artificiale e sospeso tra passato e futuro, in cui l'artista racconta le contraddizioni del nostro presente in un mix psichedelico. 

Lungo il percorso espositivo al Pan, si incontra l'astronave "Mock up", una selezione di fotografie tratte dalle serie "C.O.D.E.X. blue" (2008), "Geiko" (2008) e "Babylon Federation" (2008 e 2014), due opere della serie "Mutantia", una serie di pastelli su carta realizzati con un collage di ritagli tratti da vecchi film di fantascienza.                                                                                                                                                                                
Il Bomar Universe, ovvero l'Universo di Bo(lognesi) Mar(co), pone il visitatore davanti a un interrogativo sociale ed esistenziale sulle trasformazioni quotidiane dovute al progresso. Bolognesi si chiede in cosa l'umanità si stia trasformando e di quale futuro stiamo parlando. 

 L'esposizione delle opere, attraverso un percorso che si snoda tra installazioni, video, fotografie, disegni, collage, si trasforma in questo modo in uno studio sul potere della tecnologia e sull'impatto che la stessa ha sulla globalizzazione. 

Sendai City è la città del futuro, un futuro in cui stiamo vedendo la fine. E' il futuro di Marco Bolognesi, in cui le multinazionali governano il mondo, la macchina vince sull'uomo, e non si distingue più cosa è reale da cosa non lo è, in cui si aprono grandi interrogativi sul ruolo della tecnologia e della manipolazione genetica.

 "La macchina è il nostro presente, i peacemaker, le protesi, le telecamere che ci visitano, ci controllano" spiega Marco Bolognesi. "Si sta realizzando quella strada che gli scrittori cyberpunk avevano profetizzato: il controllo dell'energia, dell'acqua, le multinazionali e il mercato dei dati".

Scrive Valerio Dehò, curatore della mostra: "Il progetto di Sendai City ci restituisce un'utopia ed un incubo: "il sogno dell'uomo di liberarsi dalla sua carnalità e dalla morsa del tempo e la paura di non poter più usare la coscienza per distinguerci dai robot e dalle macchine in genere. Ma per saperlo davvero, per capire veramente se le briciole di queste storie diventeranno la nostra storia, bisognerà attendere la fine del futuro. Solo allora, forse, comincerà il presente".

"La concezione estetica della Sendai Corporation – aggiunge Massimo Sgroi – dimostra la capacità visionaria di Marco Bolognesi. […] Un mondo di spettacolo, sesso e morte. […] È show puro elevato all'ennesima potenza dell'immagine Fake laddove la fascinazione si trasforma in orrore e l'orrore nell'estrema forma di seduzione […]".

La mostra è accompagnata da un volume NFC edizioni con intervista di Valerio Dehò a Marco Bolognesi e interventi di Massimo Sgroi, Roberto Terrosi, Pierluigi Molteni e Nicola Dusi.

BIOGRAFIA: Marco Bolognesi, artista e film-maker, nasce nel 1974 a Bologna, dove si laurea al DAMS. Del 1994 e 1996 sono le sue prime opere video, realizzate per la RAI e presentate al Giffoni Film Festival e alla Biennale di Venezia. Nel 2002 si trasferisce a Londra, dove vince "The Artist in Residence Award" all'Istituto Culturale Italiano (2003) e realizza la mostra "Woodland", da cui due anni dopo nasce l'omonimo libro fotografico e la prima personale alla Cyntia Corbett Gallery di Londra. 

Nel 2008 realizza il cortometraggio "Black Hole", che vince il premio miglior film fantascientifico all'Indie Short Film Competition in Florida ed esce il libro monografico "Dark Star". Nel 2009 viene pubblicato per Einaudi "Protocollo" il primo volume di una graphic novel nata dalla collaborazione con Carlo Lucarelli e nello stesso anno presenta nella londinese Olyvia Fine Art "Z Generation: Realm of Ambiguity" e alla Fondazione Solares delle arti di Parma il progetto "Genesis". Nel 2011 realizza l'installazione "Mock-up" esposta allo IED di Milano all'interno del festival Invideo e partecipa alla collettiva londinese "What made us famous" a fianco di artisti quali Damien Hirst, Helmut Newton, Sarah Lucas. 

Nel maggio 2012 il festival Fotografia Europea di Reggio Emilia presenta "Humanescape": una mostra e un libro che vede la partecipazione di Bruce Sterling e Jasmina Tešanovic. Nel 2014 inaugura a Merano Arte il primo capitolo della personale "Sendai City. Alla fine del futuro" in cui viene presentato il Bomar Universe, universo in continua espansione, tra cyberpunk e fantascienza sociale. 

Il secondo capitolo viene proposto nel 2015 a Bologna, presso ABC e SetUp Art Fair. Partecipa alla collettiva "Orlando Furioso. Incantamenti, passioni e follie", in occasione del 540° anniversari. Quindici anni di ricerca artistica che hanno rappresentato il viaggio di Bolognesi verso Sendai City sono stati recentemente oggetto di approfondimento in uno speciale di SKY Arte.



INFORMAZIONI PER LA STAMPA
Conferenza stampa: mercoledì 3 giugno ore 11:00; Inaugurazione mostra: giovedì 4 giugno ore 18.00; Sede espositiva: PAN – Palazzo Arti Napoli, via dei Mille 60, Napoli; Periodo di apertura al pubblico: 5 – 28 giugno 2015; Orario di apertura: lunedì, mercoledì-sabato ore 9.30-19.30, domenica 9.30-14.30. Ingresso: gratuito

Inaugura domani a Reggio Emilia la mostra “NOI – Storie di comunità, idee, prodotti e terre reggiane” (Palazzo dei Musei, ore 18)


 

NOI Storie di comunità, idee, prodotti e terre reggiane  L'operosità in divenire racconta secoli di storie e getta un ponte verso il futuro


Inaugura domani alle 18 al Palazzo dei Musei di Reggio Emilia la mostra "NOI – Storie di comunità, idee, prodotti e terre reggiane", che rimarrà aperta per dodici mesi, fino a maggio 2016. La mostra è inserita nel programma di WE A. RE \ Reggio Emilia per Expo 2015, che si propone di offrire un percorso di scoperta del territorio reggiano ai visitatori di Expo Milano 2015, condividendo i temi della grande esposizione milanese e focalizzandosi sul rispetto della terra, sull'alimentazione, sull'arte del lavorare e del produrre in un'ottica di consapevolezza di come il mangiar bene sia necessario per vivere meglio. Dalle tradizioni secolari che hanno fatto nascere "miti" come il parmigiano reggiano, l'aceto balsamico, la filiera del maiale e del lambrusco, all'accelerazione continua dell'innovazione, conservando la fedeltà al territorio e ai principi del vivere e del mangiare sano.

IL SIGNIFICATO DELLA MOSTRA
Curata da Luca Molinari e suddivisa in sei percorsi – Noi governiamo l'acqua, Noi lavoriamo la terra, Noi alleviamo gli animali, Noi produciamo futuro, Noi costruiamo comunità, Noi amiamo mangiar bene – la mostra coinvolge l'intera struttura del Palazzo dei Musei (le Gallerie centrali e laterali, fino al terzo piano) e ne rafforza la percezione non solo come luogo di raccolta del passato ma anche come un laboratorio continuo, in cui il passato interagisce con il presente e il futuro. Una sinergia rafforzata anche attraverso il rapporto con l'Officucina, un laboratorio su strada all'esterno del palazzo e curato da Food Innovation Program (il Master universitario sulla food innovation promosso da Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Institute for The Future di Palo Alto e Future Food Institute di Bologna), dove si produrranno ulteriori materiali da inserire nell'allestimento interno.

Lo spirito che guida la mostra è il simposio culturale: un incontro fra persone di epoche diverse, prodotti tipici e aziende - storiche e innovative – le bellezze e le sfide del territorio, le sue modificazioni. L'obiettivo? Offrire al visitatore uno speciale viaggio nel tempo che unisce e giustappone rimandi al passato delle tradizioni e sguardi precorritori sul futuro, raccontando una terra, delle comunità e dei processi produttivi che hanno nel dinamismo e nella ricerca dell'eccellenza la loro cifra identificativa. Gli ambienti e le sezioni della mostra, necessariamente suddivisi in aree tematiche per dar conto dei tanti mondi che vivono all'interno del territorio reggiano, sono popolati di oggetti antichi e avveniristici, di testimonianze private e ricordi collettivi, perché qui la Storia è stata sempre partecipata da tutti, ciascuno con il proprio talento, uniti nel produrre futuro innestandolo come coltivatori esperti nelle radici della propria identità.

ALLA SCOPERTA DEI PERCORSI
All'ingresso si viene accolti da una maestosa pittura a olio che rappresenta l'opera di bonifica del territorio di Reggio Emilia e introduce al fondamentale rapporto con l'acqua. L'elemento naturale che forse più di tutti simboleggia la vitalità, per questo dà il via al percorso espositivo: storie d'acqua, un bene troppo spesso dato per scontato, che presentano al visitatore la relazione dell'uomo con questa risorsa il modo in cui essa nei secoli ha scolpito il territorio. Tappe simboliche di queste storie sono alcuni oggetti-chiave che richiamano epoche ed esperienze. Come il pezzo di acquedotto romano, accostato ad un modernissimo contatore idrico, o le mappe sei-settecentesche accostate a fotografie attuali della zona, un "come eravamo" ancora riconoscibile nell'oggi. Da questa prima "immersione" si passa ad un ambiente diverso ma complementare a quello naturale: la vita più propria dell'uomo in questo territorio, fatta di imprenditori, lavoratori, intelligenze.

Al centro della stanza, pezzi di design industriale (come un motore che ha vinto il premio come migliore diesel) al confine tra funzionalità e arte, macchine e prodotti di eccellenza, sulla parete di fronte una narrazione fotografica della vita sociale e politica reggiana – dalle lotte operaie a Reggio Children, dalla vita delle cooperative alla nuova imprenditoria. Una storia che intreccia attaccamento alla terra, consapevolezza e investimento sul futuro. All'inizio e alla fine del corridoio alcuni oggetti molto diversi fra loro rimandano ad altre storie di comunità, di idee e talenti, e si guardano da un capo all'altro come in uno specchiodimensione molto utilizzata negli ambienti per restituire il senso di tanti volti che si riflettono nel medesimo specchio e compongono un'unica immagine, NOI. Un plurale sentito come assai individuale, ovvero che riguarda tutti e ciascuno, un tutt'uno, un collettivo.

Gli oggetti protagonisti di questo ambiente non seguono alcuna cronologia, sono esempi di progettualità e tecnologie da epoche diverse: stanno lì, di fronte al visitatore, per incuriosirlo e richiamare alla sua mente immagini di vita quotidiana o di esperienze condivise, fargli scoprire come l'industria agroalimentare interagisce con la meccanica o come la meccatronica può migliorare i processi produttivi. Sono simboli, opere d'arte: come la prima e accanto la  più progredita macchina per la mungitura automatica, o il frigo tricolore della Smeg, lucido di fabbrica, e una vecchia cucina Bertazzoni, esemplare di design degli anni Trenta, e ancora il primo prototipo di orto casalingo e, poco lontano, tutto l'occorrente per un erbolario.

All'altro capo del corridoio, spicca la base di uno splendido carro di legno ottocentesco, tipico delle famiglie reggiane fino all'Ottocento: coloratissimo, veniva utilizzato per il trasporto di merci e di persone, come pure per i funerali e i matrimoni, ed era talmente parte della quotidianità delle persone che sull'asse centrale era dotato di spuntoni in ferro battuto dalle forme di foglie o spuntoni, chiamati "maledizioni" e pensati per tener lontano il malocchio. Tutt'intorno, planimetrie a rilievo e fotografie della zona, a ribadire la passione per la cura del territorio e una sua gestione sostenibile – oggi temi alla ribalta del dibattito ambientalista ma qui, a Reggio Emilia, di casa da sempre.

Una casa senza pareti, che accoglie uomini e animali: questo il messaggio di armonia e radicamento che si percepisce attraversando le sale dedicate agli animali. Se per un verso infatti questo percorso vuole illustrare la ricchezza faunistica del territorio, per l'altro mostra come l'uomo ha saputo utilizzarlo, con rispetto e profitto. Il grande protagonista è, senza dubbio, il maiale, seguito da mucche, cavalli, cacciagione. E poi gli esseri fantastici che hanno abitato le rime dell'Ariosto, i mosaici delle antiche chiese e gli esperimenti impossibili di Spallanzani, che continuano a rivivere nei sogni concreti dei laboratori didattici di Reggio Children.

La grande sorpresa arriva di fronte ai bachi da seta: pochi sanno che in queste zone fino al Sette-Ottocento si producevano le migliori sete italiane, ed erano impiegate nel settore circa cinquemila persone, molte delle quali contadini, con un doppio lavoro che quindi, ancora una volta, testimonia del dinamismo di queste comunità.

E poiché la tavola è il luogo ideale per radunarsi e crescere insieme, in una sezione della mostra sono i consorzi a fare gli onori di casa: introdotti da squisite ricette tradizionali – specialità domestiche come i cappelletti e le paste fresche, i bolliti con le loro salse, la spongata e la zuppa inglese, depositari di un sapere orale tramandato di generazione in generazione – e attraversati da un altro lungo corridoio arredato con immagini di brulicante vita produttiva, vengono presentati al visitatore i consorzi del maiale, del Lambrusco, dell'Aceto balsamico e naturalmente del Parmigiano Reggiano, tutti accomunati da lunghissima storia, risultati di una lenta  sperimentazione, figli di questa terra e delle sue materie elementari. Ciascuno di essi ha una stanza dedicata, dove è raccontato con un ampio corredo di numeri, dati, infografiche, e si presenta al visitatore anche "di persona", come le forme di Parmigiano esposte nella stanza del consorzio.

Dal volto dei prodotti a quello di chi oggi vive a Reggio Emilia la distanza che corre è solo quella di due rampe di scale: al terzo piano ecco una galleria di ritratti di alcuni abitanti della città, a sottolineare l'importanza della componente umana nella gestione delle ricchezze del territorio nello sviluppo del tessuto produttivo, economico, culturale e sociale. Commissionati al fotografo tedesco Kai Uwe Schulte, ciascun ritratto si rispecchia, di fronte, in una breve narrazione scritta dalla giornalista Marta Dore, che dà voce a questi volti e alla passione che trasmettono.

È la contemporaneità che prende voce, ti guarda negli occhi e parla del domani, significativamente poggiando su due piani di tradizioni, storie, scommesse. Con questo mosaico della comunità reggiana contemporanea, si conclude in modo suggestivo la mostra "NOI", che non solo espone, narra, fa rivivere, proietta nel futuro: alla fine del suo percorso, proprio all'uscita, si intuisce l'invito a visitare questa terra, ad incontrare i suoi protagonisti, per vivere insieme a loro un'avventura che ormai sentiamo anche nostra.

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