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sabato 24 giugno 2017

All the BeSt. Stefano Bergamo in mostra alla Fondazione Palmieri di Lecce, 8-30 luglio


ALL THE BeSt: la mostra di Stefano Bergamo alla Fondazione Palmieri Lecce


La mostra

Sabato 8 luglio 2017, alle ore 19, inaugura ALL THE BeSt, la mostra di Stefano Bergamo, meglio noto con l'acronimo BeSt con il quale firma i lavori di street art

Il progetto allestito presso la Fondazione Palmieri Lecce, in via dei Sotterranei 24, curato da Barbara Pavan e Michele Martina, con il patrocinio del Comune di Lecce, presenta e documenta dieci anni di opere dell'artista: un percorso di pop art che si snoda attraverso lavori su tela, installazioni, street art e digital work.

Un allestimento 'fluido' e mutevole consentirà al visitatore di leggere le diverse fasi creative di un artista eclettico e costantemente alla ricerca di nuovi canoni espressivi. 

Seguendo il fil rouge dell'anomalia come elemento scatenante del cambiamento e della creazione che caratterizza tutto il lavoro di Bergamo, la mostra ci conduce dal caos delle sue strade su tela, ai lavori digitali degli eroi quotidiani – improbabile rivisitazione in chiave dissacratoria dei più famosi supereroi – fino agli ultimi lavori che, attingendo all'arte classica, trovano nell'intervento digitale nuova forma e significato. 

In mezzo, una nutrita collezione di sperimentazioni con materiali e media del tutto inaspettati: legno, tappeti, manichini. 

Il risultato è un vortice in cui il pubblico, lungi dal perdersi, ritrova e ripercorre le diverse anime artistiche di Bergamo, tutte egualmente ironiche e tutte coerentemente differenti.


L'artista
Nato a Leverano (Lecce) nel 1970, laureato in Economia con Master in Gestione del Patrimonio Artistico, Stefano Bergamo, in arte BeSt, ha all'attivo numerose opere di street art ed installazioni site specific nonché interventi in collaborazione con istituzioni pubbliche e private, didattiche ed educative. 

Dal 2013 il suo progetto Incroci lo porta ad effettuare interventi di street art su tutto il territorio nazionale italiano. 

Dal 2014 una sua opera fa parte della collezione permanente del Templum Pacis

Nel 2015 realizza un'opera permanente per il percorso d'arte a cielo aperto di Rivodutri nell'ambito del progetto Rivodutri Contemporanea. 

Tra le principali partecipazioni segnaliamo a Milano, Ferite, lacerazioni, crepe,  a cura di Lorenzo Argentino e Sonia Patrizia Catena; a Newcastle Upon Tyne (United Kingdom), Nasty Women Newcastle UK, a cura di Lady Kitt e Aly Smith; a Samara (Russia),  Food as a social machine, Central Volga Branch of the National Centre for Contemporary Arts; a Roma, UrbanHuman, Studio Architettura Francesco Cerroni; a Rieti, Studio7 Arte Contemporanea, Figlia della notte, a cura di Francesco Santaniello; a Bologna, Spazio San Giorgio, StreetView; a Todi (Perugia), Palazzo Landi Corradi, One Planet, a cura di Barbara Pavan, patrocinata da Ministro della Gioventù, Regione Umbria; a Locarno (Svizzera), 36Mazal Contemporary, Downtown, a cura di Barbara Pavan; a Roma, Galleria Minima, One Planet, a cura di Barbara Pavan; a Piacenza, Jelmoni Studio Gallery, One Way, a cura di Elena Jelmoni.

Scheda tecnica
Stefano Bergamo BeSt
All the BeSt
Mostra personale antologica
A cura di Barbara Pavan e Michele Martina

Fondazione Palmieri, Lecce
Via dei Sotterranei 24

Date: 8 – 30 luglio 2017
Inaugurazione sabato 8 luglio 2017, ore 19

Con il Patrocinio del Comune di Lecce
Ingresso libero
Orari: tutti i giorni 11-13 e 19-22.30

Info 
studio7artecont@gmail.com
mob.+39 320 4571689
fb Stefano Bergamo BeSt
www.stefanobergamobest.jimdo.com
www.stefanobergamo.it

venerdì 23 giugno 2017

Mostra a Ibiza > WITHOUT LIGHT THERE IS NO SPACE di Raluca Andreea Hartea > Hangar 8289

 WITHOUT LIGHT THERE IS NO SPACE
 
di Raluca Andreea Hartea 
 
 HANGAR 8289
 
INAUGURAZIONE 28 GIUGNO 2017
ore 20
 
IBIZA
Carrer de Cas Dominguets 17 B-C 
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In questa mostra l'artista Raluca Andreea Hartea continua la sua ricerca sul colore che nel tempo l'ha portata ad approfondire campi come la genetica, l'anatomia, la psicologia, la neurologia, la fisica e l'astronomia.
 
Hartea è affascinata dall'idea che la luce percepita da una fonte sia strettamente collegata alla visione, cioè al fatto che l'essere umano abbia la capacità di "vedere", e che scomparirebbe se scomparissimo, ma la luce in quanto fenomeno fisico continuerebbe ad esistere anche se non ci fossero più gli esseri viventi… perché in fondo ciò che percepiamo come realtà non è che un prodotto della coscienza e la sensazione del colore esiste (nel nostro mondo interiore) perché (nel mondo fisico esterno) esiste la luce.
 
Nel suo immaginario si mischiano regole di fisica quantistica a deduzioni e pensieri intimi. La forte correlazione che c'è tra noi e l'intero Universo, tra la nostra capacità di interpretare la realtà e la realtà stessa, tra il risultato estetico, fatto di forme e proporzioni, intrinseco in ogni cosa, e il "respiro" dell'Universo, la porta a creare un gioco di contrasti tra il visibile e l'invisibile.
 
In questa serie di lavori, che nasce dall'interpretazione personale di alcune leggi fisiche di James Maxwell, Max Plank e Albert Einstein, tratta la materia come fotoni, fasce d'informazioni, codici a barre dell'identità di alcune galassie che compongono il nostro Universo e viaggiano fino ad arrivare a prendere forma nei nostri occhi. Le linee rette lasciano intuire il tempo che queste informazioni trascorrono nello spazio. Le forme morbide raccontano la complessità delle matrici, meravigliose composizioni, inimmaginabili senza le più moderne attrezzature.
 
Le galassie come un'occasione per indagare le infinite analogie che ci sono tra noi e ogni cosa nell'Universo, un modo per guardare "indietro", alle origini delle nostre radici per ricordarci che, per dirla con le parole di Segan: "noi siamo un mezzo per il cosmo di conoscere sé stesso".

 
 
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giovedì 22 giugno 2017

Lo stile realistico di Roberto Buttazzo reinventa l'arte sacra


Tre opere dedicate alle Storie di San Vito tra iconografia, storia e invenzione...La presentazione in anteprima a Lequile Palazzo Andrioli il 23 giugno in occasione dei festeggiamenti del Santo Patrono. 

Introdurrà alle ore 20 il prof. Lucio Galante che firma il testo critico nel catalogo in cui, oltre ad analizzare da un punto di vista stilistico e iconografico le opere, ne sintetizza la storia. 

Storia che inizia nel 2005, su incarico dell’amministrazione comunale, con lo scopo di riempire gli spazi vuoti del presbiterio della Chiesa Madre con tele che abbiano per soggetto episodi della vita di San Vito, Santo Patrono del comune salentino. 

La prima, Traslazione delle Reliquie di San Vito, è collocata provvisoriamente nella Sagrestia della Chiesa, la seconda e la terza, rispettivamente San Vito fra la gente di Lequile (2015) e Il miracolo del terremoto (2017), sono per il momento a casa dell’autore in attesa che si risolva l’alterna vicenda che impedisce tuttora che le opere vengano collocate nel Presbiterio dove erano state destinate. 

Queste ultime pale per la prima volta verranno esposte nel Chiostro di Palazzo Andrioli e dal 24 al 26 giugno (con orario 18-22) nei locali di via Trieste, n4. 

L’evento è realizzato in collaborazione con Il Raggio Verde eventi d’arte. 

«I tre dipinti – scrive il prof. Lucio Galante nell’introduzione al catalogo – gli sono stati commissionati nell’ormai lontano 2005 dall’Amministrazione Comunale per essere sistemati nella locale Chiesa Matrice. Non sono per lui le prime opere di soggetto religioso, avendo già realizzato il Cenacolo per la Chiesa Madre di Tricase, Il sogno di Giuseppe e Giuseppe artigiano per la Chiesa di San Giuseppe Patriarca a Copertino e L’elemosina del Beato Egidio per il convento francescano di Lequile. (…). 
Partendo dall’inizio, ciò che è ormai noto della loro storia è che ha visto tre attori principali, l’Amministrazione Comunale di Lequile, che ha deliberato di finanziare le opere, l’artista al quale è stato affidato il compito di realizzarle, e il parroco del tempo della chiesa alla quale erano destinate, che ha concordato con l’artista i soggetti da raffigurare. 
Si è, insomma, verificata nel presente la tipica congiuntura, come accadeva nel passato, che dava origine alle opere d’arte, costituita, appunto, dal committente finanziatore, dall’artista, ritenuto all’altezza del compito, e dal consulente di turno, competente in materia di dottrina, per dare suggerimenti sul relativo soggetto e sull’iconografia, trattandosi appunto di arte sacra. 
Inutile dire che rispetto al passato, il ruolo del terzo è certamente cambiato, essendo l’artista relativamente più libero di documentarsi».

Il Trittico 
Il trittico doveva completare l’arredo pittorico della chiesa e comprende tre grandi tele, cm 107x225, dipinte ad olio: La traslazione della reliquia di San Vito, realizzata dall’artista nel 2005 e custodita nella sagrestia della Chiesa dell’Assunta, rappresenta l’arrivo dell’ampolla del Sangue di San Vito Martire nella cittadina il 6 aprile 1722 così come riportato nell’atto del notaio apostolico Vito Giancane, riferimento fondamentale per l’iconografia della composizione realizzata da Buttazzo con inquadrature ravvicinate per mettere in risalto i soggetti raffigurati proprio come accade davanti ad un quadro antico. 

«Il suo è uno stile pittorico - scrive Lucio Galante – che fonda sulla conoscenza e sulla padronanza delle tecniche classiche e delle regole compositive proprie dell’arte sacra e che si può definire “realistico” ». 

Non è un caso che l’artista per definire le fisionomie dei personaggi si sia avvalso di modelli veri. San Vito incontra la comunità di Lequile è invece il tema del secondo dipinto, puramente celebrativo, che non si riferisce ad un fatto storico ma traduce il sentimento di devozione che lega nel tempo i Lequilesi al suo Santo. 

Nella terza tela, Il miracolo del terremoto, la resa drammatica dell’evento sismico che sconvolse il Salento è sviluppata ripartendo le azioni su diversi piani prospettici: una soluzione che risolve come per le altre pale «il problema condizionante del formato verticale della tela». Le foto delle opere sono state scattate dal fotografo Oronzo Fari.

Cenni biografici 
Nato a Lequile (Lecce) nel 1945, Roberto Buttazzo si diploma presso l'Istituto d'arte “Giuseppe Pellegrino” di Lecce. Dopo aver insegnato Educazione Artistica per 23 anni, lascia il mondo della scuola per dedicarsi completamente alla pittura e alla scultura nel suo atelier a Lequile (Lecce), in Largo San Vito 5. Lunga e costellata di successi la sua carriera artistica che lo ha visto esporre in numerose mostre personali e collettive in Italia e all’estero. 

Che siano nature morte, ritratti, sculture o pannelli iperrealisti l’inconfondibile stile pittorico di Roberto Buttazzo si fonda sulla conoscenza e sulla padronanza delle tecniche classiche. Sorprendenti sono gli esiti della sua ricerca artistica sulla figura umana e sulla plasticità della materia pittorica che spesso tende a superare la superficie della tela producendo effetti spiazzanti nel fruitore che, osservando le sue opere, non può far a meno di interrogarsi sul rapporto realtà, finzione e illusione e constatare l’altissimo livello qualitativo della sua pittura che sa tradurre in visioni simboliche la quotidianità così come narrazioni di carattere sacro. 

Sue opere sono presenti in collezioni pubbliche e private: numerose le tele collocate nelle Chiese salentine tra le quali spicca il Cenacolo per la Chiesa Madre di Tricase (1992) il Sant’Egidio da Taranto per il Convento dei Frati Minori di Lequile e due grandi tele, Il sogno di Giuseppe e Giuseppe falegname, per la chiesa di S. Giuseppe Patriarca a Copertino (1999 ). 

Il Comune di Alessano nel 2001 gli dedica una mostra antologica, presentata dal prof. Lucio Galante, seguita nel 2003 dalla mostra omaggio che gli tributa il Comune di Lequile con la curatela di Toti Carpentieri. Nel 2013 è tra gli artisti di “Lavori in corso. Corpo 1” la rassegna curata dallo stesso Carpentieri al Must Museo Storico Città di Lecce e nel 2016 presenta nel frantoio ipogeo di Castrì le sue sculture nella collettiva d’arte Dialoghi di scultura curata da Marinilde Giannandrea. 

Opere presenti in collezioni pubbliche e spazi museali Cenacolo - Chiesa Madre - Tricase(Lecce) Giuseppe artigiano - Chiesa di San Giuseppe Patriarca - Copertino(Lecce) Il sogno di San Giuseppe - Chiesa di San Giuseppe Patriarca - Copertino(Lecce) San Francesco e il lupo - Convento S. Francesco - Lequile(LE) Ritratto del Maestro Sufi Dullah Khan - Fondazione Dullah Khan – Muunmbra (India) Omaggio all'Uomo - Pinacoteca Convento S. Antonio dei Frati Minori - Lecce(Lecce) S. Egidio da Taranto - Convento S. Francesco - Lequile(Lecce) Spirituale Pinacoteca d'arte Sacra - Monteroni(Lecce) Ho sentito gli uccelli volare - Convento degli Olivetani –Lecce (Lecce) Interno fuori - Pinacoteca d'arte Sacra - Monteroni (Lecce) Traslazione delle reliquie di San Vito Martire a Lequile - Sagrestia della Chiesa Matrice San Vito incontra la comunità di Lequile; Il miracolo del terremoto - in attesa di collocazione

mercoledì 21 giugno 2017

Inaugura oggi la mostra BAGUTTA, IL PATRIMONIO RECUPERATO > Fondazione Pasquinelli, Milano > Fino al 14 luglio


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BAGUTTA
IL PATRIMONIO RECUPERATO

Mostra a cura di Daniela Volpi

22 giugno – 14 luglio 2017

Fondazione Pasquinelli
Corso Magenta 42, Milano

INAUGURAZIONE 21 GIUGNO 2017 ORE 18
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La Fondazione Pasquinelli ospita dal 22 giugno al 14 agosto, la mostra Bagutta, il patrimonio recuperato, esponendo una parte di quadri - nello specifico i celebri ritratti di Mario Vellani Marchi – esposti fino a poco tempo fa nella storica trattoria Bagutta, che dà il nome e a cui si lega indissolubilmente dal 1926 il primo e più 'vecchio' premio letterario italiano.

Fin dalla sua apertura, nel 1924, la trattoria Bagutta è stato uno dei luoghi preferiti dagli artisti milanesi; una scelta determinata dalla posizione centrale, dal cibo semplice a un costo contenuto e dalla bonomia innata del fondatore, il "sor Pepori", che vedeva di buon grado quel gruppetto di giovani squattrinati, ma indubbiamente non privi di talento.

Furono proprio quegli artisti che la notte di San Martino del 1926 ebbero l'idea di fondare, alla trattoria Bagutta il primo premio letterario italiano, dandogli proprio il nome del locale.
Fu così che nel corso degli anni, il premio acquistò importanza e valore grazie a giurie composte dai letterati più importanti della città – da Montale a Soldati solo per citarne due – e ad uno scrupoloso segretario quale fu Orio Vergani e poi suo figlio Guido che accolse l'eredità di suo padre quando scomparve nel 1960.

In tutti questi anni il premio si è ritagliato un posto importante nel panorama letterario italiano, rivelandosi anomalo e unico nel suo genere: un premio che non fa parlare di sé e non anticipa, come è uso comune, le candidature decise dalla giuria e che comunica il vincitore solo a verdetto avvenuto.

La Trattoria Bagutta non fu solo la sede del premio, ma prese le sembianze nel corso degli anni di una vera e propria galleria d'arte. Prese il via infatti la consuetudine di celebrare i più illustri avventori con un ritratto, affidandolo al talento e al tratto rapido e incisivo di Mario Vellani Marchi che li riproduceva nel retro dei menù. E quei ritratti, in artistico disordine, venivano lasciati all'oste, che provvedeva ad appenderli in file serrate dal soffitto al pavimento, come in una quadreria dei secoli andati. Col tempo, poi, sulle pareti di via Bagutta si sono accumulate altre opere, che tanti altri artisti, prevalentemente milanesi, hanno voluto donare al locale.

L'anno scorso però la trattoria è fallita; e mentre il premio, che gode di ottima salute sotto la guida della presidente Isabella Bossi Fedrigotti e del segretario Andrea Kerbaker, ha continuato a operare autonomamente, le opere d'arte hanno perso la loro casa e sono state ingloriosamente mandate all'asta giudiziaria conseguente alla disavventura finanziaria. Il resto della storia è noto a chi segue le vicende milanesi: una fiduciaria, composta da concittadini attenti all'arte e alla storia di Milano, ha voluto acquistare il blocco per rimetterlo a disposizione della città e, in attesa di trovare una collocazione degna a questo pezzo di storia milanese, la Fondazione Pasquinelli espone nei suoi spazi le opere più note - i ritratti di Vellani Marchi - rispettando e riproducendo nell'allestimento quel disordine che i milanesi, nei 90 anni di frequentazione della trattoria, avevano imparato ad apprezzare. 
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Trame: la mostra del graphic artist Scarabottolo apre la 7° edizione del Festival dei libri sulle mafie

SI APRE CON UNA MOSTRA DEL GRAPHIC ARTIST GUIDO SCARABOTTOLO LA SETTIMA EDIZIONE DI TRAME, IL FESTIVAL DEI LIBRI SULLE MAFIE


Si è aperta a Lamezia Terme, con una mostra dell'architetto illustratore e grafico Guido Scarabottolo, la settima edizione di Trame, cinque giornate di incontri aperti al pubblico, discussioni e confronti sui libri dedicati alla mafia, con appuntamenti che saranno l'occasione per approfondire tematiche e raccogliere testimonianze dirette di chi ogni giorno combatte contro la criminalità organizzata.

Noto per le sue copertine delle edizioni Guanda e per le prestigiose collaborazioni con New York Times e New Yorker, Scarabottolo è il creatore della mano che è diventata, fin dalla prima edizione, il simbolo del Festival contro la mafia, quest'anno intitolato 'Io non ho paura'.

La mostra di Scarabottolo 'Trame e me', curata da Giuseppe Prode e allestita nel Chiostro San Domenico, rivela il mondo dell'artista con racconti apparentemente semplici, resi potenti da un tratto che richiama atmosfere jazz. 

La mano di Trame, spiega l'artista, «è nata per la copertina di un romanzo di Gianni Biondillo, dal titolo 'Il giovane sbirro', in cui si ripercorreva la vita del protagonista dei suoi gialli. Una mano da leggere mi era sembrata la soluzione giusta. Qualche anno dopo, infittita la trama delle linee del palmo per accrescere il senso di oscurità, mi è sembrata l'idea giusta per il marchio di Trame, e credo di non essermi sbagliato. La stessa mano, senza segni, è poi diventata, da un anno, anche il mio contributo a una campagna per l'accoglienza: ottanta manifesti -conclude Scarabottolo- di una cinquantina di illustratori e grafici a disposizione delle scuole di italiano per stranieri».


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