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venerdì 13 aprile 2012

Stefano Curto partecipa a "Germinazioni e Sinestesie". Casa dei Carraresi, Treviso

Nuovo appuntamento espositivo per l’artista della luce, Stefano Curto che, dopo un anno davvero intenso - Padiglione veneto della 54ma Biennale, Boswall House e Saatchi Gallery di Londra, per citare alcune delle mostre a cui ha partecipato - fa ritorno sulla scena italiana, proprio nella sua città, Treviso, nella prestigiosa sede di Casa dei Carraresi, in occasione della mostra Germinazioni e Sinestesie che aprirà i battenti il prossimo 15 aprile. Curata dalla critica veneta Marica Rossi, la mostra pone l’accento sulle contaminazioni fra le percezioni sensoriali in arte proponendo una selezione di lavori di sei artisti tra cui spiccano i quadri di luce di Stefano Curto che si inseriscono perfettamente nell’humus della mostra perché il suo universo immaginifico cattura l’osservatore e lo coinvolge in una condivisione creativa per mezzo di un linguaggio affascinante.
L’artista del cosmo e della tradizione alchemica torna in questa occasione a indagare la dimensione sensoriale con diversi lavori che nascono da una tavolozza rara e preziosa che costituisce il tratto distintivo dell’artista. Curto "dipinge" utilizzando cristalli, pietre e minerali dalle tinte naturali, declinati in una vastissima varietà di forme, dove ogni singola gemma viene scelta come fosse una pennellata sulla tela e disposta nella cornice da lui designata per raccontare storie lontane.
Viaggiatore curioso, spinto dal desiderio di conoscenza, nella mostra Curto ci accompagna nel suo mondo emozionale, multiforme e sfaccettato, con la Sindone Nera. Un'opera di grande suggestione, nata dopo un lungo soggiorno in India nel corso del quale l'artista ha saputo immergersi nell'intensità della dimensione religiosa che pervade la vita quotidiana della popolazione. Composta su un grande pannello di plexiglass con circa 18 mila cristalli, l'immagine del Cristo è realizzata con innumerevoli gemme bianche rettangolari disposte in verticale, "in caduta", per creare un volto che appare da una tetra pioggia nera.
Oltre a questo lavoro intriso di forte misticismo, nella mostra spiccano altre opere di Curto fra cui The Marvellous Flight of Coexistence, un "tappeto volante" che, attraverso una sorprendente tavolozza di colori composta da migliaia di pietre dalle forme più svariate, allude all'indissolubile legame e alla coesistenza fra i popoli rivelando la dimensione filosofica ed esoterica dell'artista.
Quelli usati da Curto sono materiali di grande fascino che, uniti alla perfezione esecutiva e un grande senso estetico, determinano l’esplosione creativa e consentono di entrare in un mondo parallelo di infinita immaginazione e di grande valenza simbolica. “I segni e i segnali del suo linguaggio inconfondibile - afferma il critico Stefano Cecchetto - restano, nell’opera di Stefano Curto, la dichiarazione di un’identità svelata, ogni sua opera è l’incessante biografia di un autoritratto; perché svolgere un tema per l’artista significa coinvolgere/portare dentro al proprio mondo anche gli altri e renderli partecipi di un emozione che travalica il personale per diventare universale

Nato a Segusino in provincia di Treviso nel 1966, Stefano Curto, insieme alla passione per la musica, che compone fin dall’età di quindici anni, e per i lunghi viaggi intorno al mondo, sviluppa la passione per le gemme. Apre giovanissimo un laboratorio in cui svolge con successo il lavoro di incastonatore di cristalli su diversi materiali disegnando ed eseguendo complessi disegni per le più importanti griffe della moda. La parte alchemica del suo lavoro, quel mettere insieme gli elementi materici nella composizione di un’opera singolare e irripetibile, lo spinge a consolidare nuove esperienze visive che poi utilizza per la realizzazione dei suoi manufatti. Intraprende numerosi viaggi soprattutto nei Paesi asiatici per la scoperta di nuovi linguaggi e differenti culture, che aprono i suoi orizzonti e lo mettono in relazione con l’universo infinito e misterioso delle filosofie orientali. Stefano Curto vive e lavora nella sua casa studio di Valdobbiadene.


Germinazioni e sinestesie
a cura di Marica Rossi

Casa dei Carraresi, Treviso

15 aprile | 10 maggio 2012

dal martedì alla domenica dalle ore 10.00 alle ore 19.00 - chiuso il lunedì

Carlotta del Belgio a Miramare. Gli anni della felicità

13 Aprile 2012
Carlotta del Belgio a Miramare
Gli anni della felicità

19 aprile - 10 giugno 2012
Musée BELvue, Bruxelles, Belgio

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COMUNICATO STAMPA

Dal 19 aprile al 10 giugno 2012 il Musée BELvue di Bruxelles ospiterà la mostra Carlotta del Belgio a Miramare. Gli anni della felicità.

Un'esposizione dedicata alla figura della principessa Carlotta, figlia di Leopoldo I Re del Belgio, nata a Laeken nel 1840 e giunta in Italia a seguito del matrimonio con l'arciduca Massimiliano D'Asburgo-Lorena. La coppia trascorse i suoi anni più felici, tra il 1860 e il 1864, nel Castello di Miramare, nobile residenza a picco sul mare cinta da un esteso giardino, sorta tra il 1856 e il 1860 proprio per volontà di Massimiliano d'Asburgo.

La mostra presenta circa quaranta opere tra dipinti, litografie, fotografie d'epoca, documenti storici e oggetti personali della Principessa provenienti dalla collezione del Museo Storico del Castello di Miramare di Trieste e dal Museo BELvue: una liaison tra Italia e Belgio che, ripercorrendo la vita personale e artistica di Carlotta, unisce, per la prima volta, le opere di questi due prestigiosi Musei.

Il percorso espositivo si articola in tre sezioni che si snodano in tre sale situate al pianoterra del Museo BELvue. La prima sezione è dedicata ai ritratti di Carlotta che ripercorrono i momenti salienti della sua vita fin dalla sua giovane età come il dipinto La principessa Carlotta da bambina (1842 ca.) di Franz Xaver Winterhalter oppure Ritratto di Carlotta del Belgio in mantiglia (1866) di Tiburcio Sanchez, insieme a una serie di fotografie d'epoca che ritraggono la principessa con la sua famiglia.

La seconda sezione presenta, invece, una serie di oggetti e documenti personali della principessa tra cui la palette di acquarelli che utilizzava per dipingere le sue opere, il suo portafortuna e la sua cassetta personale contenente tutto il nécessaire per scrivere.
In questa sezione è presente anche il prezioso Journal di Adrien Goffinet. Il documento racconta il ritorno di Carlotta in Belgio ed è stato oggetto di uno studio approfondito da parte di Olivier de France, storico e scrittore. Lo studio è stato inoltre pubblicato dal Fonds du Patrimoine della Fondation Roi Baudouin, con il titolo Riportare Carlotta in Belgio. La missione del barone Adrien Goffinet a Vienna e a Miramare - luglio 1867.

Nell'ultima sezione il visitatore potrà ammirare le opere realizzate dalla principessa intorno alla metà del XIX secolo. Dalle tavole emergono le spiccate attitudini artistiche di Carlotta molto apprezzate anche da Massimiliano D'Asburgo, destinatario di diverse opere della consorte, che in parte teneva esposte proprio nel suo studio. Il disegno e la pittura risultano infatti attività congeniali alla sua sensibilità, come testimonia il bellissimo gruppo di piccoli paesaggi ad olio che costituisce la prova più significativa dell'opera pittorica di Carlotta, la quale dalla nativa Fiandra porta in retaggio abilità e passione di disegnatrice e coloritrice.
Accanto alle opere della principessa si trovano anche alcuni dipinti di importanti artisti dell'Ottocento, spesso fonti ispiratrici dei suoi lavori, come il bellissimo olio di Jean-Baptiste Van Moer L'isola di San Giorgio Maggiore a Venezia (1859), da cui Carlotta prese spunto per realizzare La chiesa di S. Giorgio Maggiore a Venezia (1859), che ne dimostra l'abilità nel riprodurre complessi scorci prospettici.
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Sede
Musée BELvue
Place de Palais – 1000 Bruxelles, Belgio

Orari
Da lunedì a venerdì: 10.00 – 17.00
Sabato e domenica: 10.00 – 18.00

Ingresso libero

Catalogo
Silvana Editoriale

giovedì 12 aprile 2012

GABRIELE VIA legge EUGENIO MONTALE


Venerdì 20 aprile 2012 alle ore 21.30 il poeta Gabriele Via legge e recita Eugenio Montale al Teatro San Salvatore, Via Volto Santo 1 a Bologna.
La rassegna giunta al suo terzo appuntamento è dedicata ai grandi poeti italiani del Novecento.

Questo terzo appuntamento della rassegna è dedicato a Eugenio Montale, poeta che più di ogni altro ha rappresentato la coscienza critica di una difficile epoca di transito nel cuore del secolo scorso.
Tramite i versi scelti e proposti, Gabriele Via presenterà il suo Montale, raccontando come la lingua del poeta, per motivi generazionali e di percorso esistenziale, operi continuamente, in forma più o meno mimetica, entro il movimento del proprio pensiero. Sarà quindi un tributo, una confessione e un dono. Sarà col cuore, come sempre, dice Via.

Sarà un evento autentico all’interno di una piccola perla cinquecentesca, forse poco conosciuta, ma che respira arte e poesia e, come un tempo, incanta. Il Teatro San Salvatore risalente al 1520 e con appena cento posti a sedere, mantiene ancora gli affreschi del Bagnacavallo, il soffitto a cassettoni ed un pesante sipario rosso tipicamente bolognese.

I primi due appuntamenti della rassegna, il primo a novembre e il successivo nel mese di gennaio, sono stati dedicati a Pier Paolo Pasolini e Dino Campana.



Info Utili:


• Evento: Gabriele Via legge Eugenio Montale – terzo appuntamento della rassegna dedicata ai grandi poeti italiani del Novecento

• Autore: Gabriele Via

• Regia: Gabriele Via – Eugenio Maria Bortolini

• Cast: Gabriele Via

• In collaborazione con: Associazione Culturale “Icaro Like Us”
Via Olindo Guerrini 22 b, Bologna
e-mail: info@like-us.eu


• Data: Venerdì 20 aprile 2012 alle ore 21.30

• Sede: Teatro San Salvatore – Via Volto Santo, 1 a Bologna
e-mail: teatrosansalvatore@libero.it
sito: www.enigmadellatela.it

• Ingresso: 13 euro

• Info e prenotazioni: +39 334 3440177

• Agenzia di Comunicazione:

Culturalia - Bologna, Vicolo Bolognetti 11
Tel. 051 6569105 fax 051 29 14955,
info@culturaliart.com www.culturaliart.com

PERCORSI DI IDENTITA: Alessandro Calizza, Claudio Di Carlo, Giusy Lauriola, Nicola Mette

COMUNICATO STAMPA

PERCORSI DI IDENTITA': Alessandro Calizza, Claudio Di Carlo, Giusy Lauriola, Nicola Mette

Giovedì 19 aprile ore 20.30 – wine-bar Camponeschi

Presentazione di Takeawaygallery

Giovedì 19 aprile si rinnovano gli appuntamenti dell'Electronicartcafè_Aperitivo d'arte a cura di Achille Bonito Oliva ed Umberto Scrocca in collaborazione con Takeawaygallery, presso il wine-bar Camponeschi di Roma. Invitati ad esporre quattro artisti della galleria: Alessandro Calizza, Claudio Di Carlo, Giusy Lauriola e Nicola Mette; una ricognizione trasversale che mette a confronto due generazioni di artefici, vicini tanto nella figurazione neopop quanto nelle tematiche affrontate, che, pur sperimentando i linguaggi della performance, dell'avanguardia teatrale e musicale e del video, privilegiano la pittura come mezzo d'espressione.

Nella mostra viene presentata una riflessione sul concetto ed il significato di identità, spesso approfondita nei loro quadri. Partendo dall'analisi del contesto politico e sociale in cui siamo immersi, caratterizzato da una crescente fluidità, mobilità ed indeterminatezza, gli artisti indagano problematiche ed urgenze scaturite da confini identitari costantemente più labili e confusi, dalla continua mancanza di punti di riferimento comunitari e dalla progressiva omogeneizzazione culturale, rinnovando, fronteggiando o esorcizzando incertezze, inquietudini, ma anche tutte le opportunità originate da questa realtà sempre più sfuggente e mutevole.

Tematiche rese attraverso un linguaggio figurativo colorato ed accattivante, dove fascino, erotismo e bellezza superficiali divengono veicolo di messaggi pungenti e radicali, quasi un dolce-amaro che irrita e seduce. La tecnica pittorica precisa ed avvolgente, le atmosfere stranianti e sospese, i riferimenti iconografici che spaziano dai fumetti, al cinema, alla pubblicità, "saccheggiando" tutta la cultura di massa e popolare da cui siamo sempre stati avvolti, cercano di dar senso all'assurdità ed incoerenza che ci circondano.

Le tre opere di Alessandro Calizza, quasi un ideale trittico, prevedono una doppia analisi, interrogandosi sulla genesi di identità soggettiva ed oggettiva e sul funzionamento dei meccanismi di riconoscimento, mettendo in scena un confronto-incontro tanto con il proprio "gruppo di appartenenza" ("Who am I?") che con l'altro da sé ("Who is him?"). Il protagonista, un essere/avatar viola di nome SNUB, ed i paesaggi da girone dantesco o prelevati da dipinti rinascimentali, disseminati di oggetti emblematici, divengono paradossali ed ironiche chiavi di lettura della realtà quotidiana, attraverso un linguaggio ascrivibile ad un ambito pop surrealista.

Claudio Di Carlo presenta le sue icone della società massmediatica, con due tele dalla serie dei "Rebus". Donne bellissime immortalate con un taglio fotografico che predilige posizioni forzate ed innaturali e pone l'accento su minuti dettagli e particolari evocativi. Una potente carica erotica, i colori sensuali, un gioco costante tra esplicito ed allusivo celano una corrosiva critica a limitazioni e forzature cui veniamo costantemente sottoposti, trasformandoci in vittime di modelli standard di comportamento; gettano uno sguardo sui concetti di diversità ed esclusione; sfondano porte per poter sfuggire da uniformità ed omologazione.

Protagonisti delle tele di Giusy Lauriola donne e uomini di cui non si scorge il volto. La caratterizzazione avviene attraverso l'abito, quindi il corpo, mezzo primario di relazione con il mondo, specchio di personalità e strumento di identificazione. Se le resine che usa divengono un filtro attraverso il quale creare distanza e guardare dentro di noi, la riflessione che Lauriola ci induce a compiere riguarda la costante ricerca di appartenenza ad un'identità sociale, l'incessante necessità di essere approvati dall'altro: il bisogno di accettazione diviene impulso più potente, anche a scapito della propria individualità.

Nicola Mette propone quattro piccoli acrilici, realizzati con una particolare tecnica che l'artista stesso definisce "pittura liquida", fatti di sgocciolature, sovrapposizioni ed improvvisi vuoti, appartenenti ad un ciclo del 2011 intitolato appunto "ID.entity". Sfila nei suoi quadri un'umanità disumanizzata: volti delineati da un tratto fermo ma evanescente, lo sguardo assente, nessun accenno ad un'emozione o espressione. Bianchi come in un'immagine in negativo, fantasmi anziché "esseri" reali, i suoi uomini, donne o divinità, prigionieri di una società sempre più folle ed avvilente, hanno perso ogni connotazione identitaria, hanno perso se stessi, non più in grado di riconoscersi né di essere riconosciuti.

Info:

Collettiva di pittura

Artisti: Alessandro Calizza, Claudio Di Carlo, Giusy Lauriola, Nicola Mette

Inaugurazione: giovedì 19 aprile ore 20.30 fino a tarda serata

Dal 19 aprile al 2 maggio 2012

Orari: lunedì – sabato 17.00-23.30

Wine-bar Camponeschi

Piazza Farnese 50, Roma

+39 066874927

martedì 10 aprile 2012

DARK ISLAND DI GUY LYDSTER


a cura di Lodovico Pignatti Morano

21 aprile – 9 giugno 2012

Galleria B4 | Via Vinazzetti, 4B | Bologna


Sabato 21 aprile 2012 sarà inaugurata alla Galleria B4 di Bologna “Dark Island”, grande personale dello scultore neozelandese Guy Lydster, a cura di Lodovico Pignatti Morano. Dopo il successo ottenuto in occasione di Arte Fiera OFF 2012, che l’ha visto protagonista di importanti spazi espositivi come lo Spazio Fabrizio Cocchi, la splendida cornice di Villa Hercolani, dimora cinquecentesca appena fuori le mura medievali di Bologna e la Galleria Art to Design, tappe che l’hanno reso ancor più noto a livello nazionale, Lydster rinnova l’unicità intrinseca e figurativa della sua opera con gli Headscapes inediti di Dark Island.

Dark Island, evoluzione naturale del lavoro dell’artista e delle sue continue sperimentazioni, si compone di una ventina di Headscapes - unione di Head e Landscapes (teste-paesaggi) - che evocano un viaggio metaforico verso la riscoperta di quel terreno oscuro chiamato infanzia.

La mostra si articola negli spazi della galleria che scandiscono i tre momenti del viaggio verso: la ricerca di un luogo, l’approdo alla meta e la separazione. L’esposizione è da considerarsi percorso completo nell’opera di Lydster; sono rappresentati tutti i momenti di produzione dell’opera, dalla fase iniziale più espressionista e abbozzata, che grazie all’uso della creta cruda giunge ad effetti sorprendenti, attraverso quella più dura e ricca di dettagli, fino alla fase ultima, in cui primeggia la linea compiuta del bassorilievo. Compare per la prima volta la colorazione, realizzata con pigmenti rossi, gialli e verdi, che mescolati alla creta ancora cruda stimolano in maniera sorprendente l’espressività.

Nella prima sala, il viaggiatore-spettatore è accolto da un gruppo di Headscapes che indicano un percorso da navigare.
Sono raffigurate diverse isole, rappresentazioni di possibili mete da raggiungere, tra cui un’opera fondamentale dal titolo Land of the Long White Cloud, (terra dalla lunga nuvola bianca), traduzione della parola in lingua maori “Aotearoa”, termine che indica la Nuova Zelanda. In contrasto con tali immagini di mare e isole sparse, realizzati in creta bianca, si erge centrale l’opera Dark Island, approdo del viaggiatore. Circondata da un mare mosso e verdastro, l’isola scura esercita una forza di attrazione sullo spettatore come se fosse lui stesso un nuotatore che attraversa torbide acque. Accanto, disposte a terra, un arcipelago di teste/isole si stende sul mare del pavimento.

Nella seconda sala il viaggio continua verso il cuore del terreno raggiunto. L’occhio del viaggiatore esplora la riva e si muove verso le forme organiche e i colori che fioriscono all’interno dell’isola. In questa dimensione originaria l’artista stabilisce un rapporto pacifico con i luoghi della memoria, la presenza della barriera naturale, il dolore nell’asprezza del paesaggio, e perfino la morte (è significativa la simbolica presenza di un gatto nero in agguato, bello, ma inquietante).


Il percorso si chiude nello spazio esterno della Galleria con gli Headscapes che simboleggiano gli emigranti, la partenza verso l’ignoto, in cui i viaggiatori sono muniti solamente di nostalgia e di proprie memorie. Incisi sui volti di un grappolo di grandi teste, vari squarci naturali dell’isola vengono conservati e spediti verso l’orizzonte e forse verso un’altra isola. L’esperienza straziante dell’emigrante è la metafora della difficile separazione fisica e spirituale dal viaggio ed emblema del forte legame uomo-natura. L’artista ci invita a scoprire quanto la natura sia una forza non solamente più grande di noi, ma anche una forza che cresce in noi.

A completare il percorso, una decina di disegni dell’artista che esprimono la percezione dell’ambiente visto dal mare; ossia la rigida geometria dell’immenso paesaggio, risultato delle diverse congiunzioni naturali e marine.

La mostra segna anche il percorso della vita che ci vede protagonisti di un viaggio interiore in cui la natura è il mezzo che ci conduce all’essenza e invita ad una riflessione sulla nostra presenza nel mondo.




Guy Lydster scultore neozelandese nasce a Auckland nell’aprile del 1955, ma si trasferisce con la famiglia a Vancouver molto presto.
Già da bambino scopre l’amore per l’arte, inizia a studiare teatro, poi si dedica alla pittura e infine arriva alla forma simbolica a lui più congeniale: la scultura.
Nei primi anni 80 si trasferisce a Bologna per studiare all’Accademia delle Belle Arti e finito il suo percorso universitario decide di rimanere a vivere e lavorare nel capoluogo emiliano.

Per Guy Lydster sono stati di fondamentale importanza per lo sviluppo del suo percorso di scultore il riferimento e lo studio di Henry Moore, Constantin Brancusi e Alberto Giacometti entrambi, come lui, intrisi di naturalismo e essenzialità; ma ancora di più si nota la forte ispirazione primitiva che ha trovato nei suoi luoghi di origine. L’arte eschimese, quella indiana e quella imponente e spirituale dell’Isola di Pasqua trovano nella scultura di Guy un importante sviluppo.

Inizia il suo lavoro cercando una pietra che possa fargli da bozzetto per l’opera, quando l’idea è chiara crea una base sulla quale innalza un asse verticale e alla quale aggiungerà materiale fino a creare una testa. Quando la forma è finita inizia a svuotarne il cranio, tagliandola con piccole e controllate incisioni da neurochirurgo. Lo svuotamento collabora anch’esso alla creazione della forma che si plasma dall’interno non seguendo un canonico modellamento anatomico. Le parti del cranio vengono poi ricomposte; aggiungendo materiale per la memorizzazione del paesaggio, lo scultore procederà ad un secondo svuotamento fino al raggiungimento della giusto equilibrio tra mente e corpo.
I materiali utilizzati sono creta, argilla, marmo, pietra e travertino.



Agenzia di Comunicazione:

Culturalia di Norma Waltmann
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