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venerdì 23 marzo 2012

Mostra Surface in Volume a cura di Margherita Artoni, inaugurazione martedì 3 aprile p.v. ore 18.30 Luce Gallery Torino.

LUCE GALLERY

SURFACE IN VOLUME

A cura di Margherita Artoni

Jonathan Binet

Sarah Crowner

Julian Hoeber

Oliver Laric

William J. O'Brien

Angel Otero

Mika Tajima

Opening Martedì 3 Aprile 2012 ore 18.30

In mostra 3Aprile – 16 Giugno 2012

Luce Gallery è lieta di ospitare la nuova produzione artistica di sette giovani e influenti protagonisti del dipinto contemporaneo. La mostra collettiva, a cura di Margherita Artoni, si propone di scandagliare la componente scultorea del medium pittorico mettendo radicalmente in questione la tradizionale raison d'être dell'arte a due dimensioni, senza tuttavia escludere la possibilità di un'inedita e più complessa coerenza stilistica. L'ipotesi tridimensionale del dipinto viene esplorata dagli artisti con materiali alternativi, tecniche d'avanguardia, insolite geometrie, trasparenze e giustapposizioni cromatiche al fine di inaugurare un linguaggio dall'impronta marcatamente provvisoria attraverso cui la superficie pittorica rompe il margine che la disgiunge dalla scultura occupando un territorio ibrido e proprio per questo così affascinante. Non si tratta dunque di una mera sperimentazione manierista portata all'estremo, ma di una necessità consapevole e latente al tempo stesso che obbliga il pensiero dell'autore a cercare nel filtro gnoseologico del dipinto un'inesauribile strumento di prassi creativa.

Jonathan Binet sovverte la concezione classica dell'opera su tela maturando un'indagine approfondita intorno alle componenti performative del puro processo pittorico, ricondotto al "grado zero" grazie ad importanti accorgimenti tecnici tra cui l'uso iterato dello spray. Nel corpo di lavoro dell'artista francese il gioco oppositivo tra intenzione e caso sposa la centralità instabile del movimento dando vita ad una vera e propria poetica del gesto che suggerisce, di riflesso, un incontro paradossalmente equilibrato tra la sfera temporale del ritmo e quella spaziale del dipinto. Jonathan Binet è nato nel 1984 a Saint-Priest, vive e lavora a Parigi. Mostre selezionate: Gaudel de Stampa (Paris), Treize (Paris), Galeries d'exposition Beaux-Arts (Paris), Chert (Berlin), Galerie Art Concept (Paris), Espace Lohmond (Paris), Maison d'Art Contemporain de Chailloux (Fresnes), Galerie Passage de Retz (Paris). L'artista è rappresentato da Gaudel de Stampa (Paris).

Sarah Crowner si interroga sul ruolo attanziale del dipinto ereditando dalla storia dell'arte (Dada, Bauhaus, Modernismo) e dallo studio dei fondali teatrali un'evidente predisposizione alla pratica artigianale. Forbici, stoffa, macchina da cucito, sono gli strumenti privilegiati dalla Crowner per tessere il collage delle molteplici sfumature che distinguono l'arte dalla messa in scena, la musica dalla poesia, in un fertile dialogo tra osservante e osservato volto a trasformare l'opera pittorica in oggetto spontaneo; il solo mutamento davvero necessario qualora si ambisca a restituire al dipinto un'autentica vitalità plastica.

Sarah Crowner è nata nel 1974 a Philadelphia, vive e lavora a New York. Mostre selezionate: Galerie Nordenhake (Stockholm), Nicelle Beauchene Gallery (New York), Catherine Bastide (Brussels), Helena Papadopoulos (Athens), University Art Museum, University at Albany (New York), Martos Gallery (New York), Eleven Rivington (New York), Kunstverein (Amsterdam), Glenn Horowitz Bookseller (East Hampton), Nordenhake (Berlin), The Whitney Museum of American Art (New York), White Columns (New York).

Julian Hoeber elabora un codice visivo e concettuale che trova le sue radici nell'Op Art e nel tromp l'oeil per evolvere in una sintassi compositiva dal linguaggio altamente multiprospettico le cui principali influenze sono legate alla cultura visiva del cinema, della fotografia e del disegno. Nei dipinti dell'artista le medesime unità modulari vengono riconfigurate in un gran numero di risultanti uniche tramite indicatori alfanumerici che tuttavia rivelano un intrinseco germe di irregolarità pittorica, eliminando in tal modo ogni possibile distinzione tra verità fattuale e illusione sensoriale. L'impiego rigoroso di un determinato sistema matematico diventa quindi il presupposto teorico per la riscoperta del valore artigianale dell'opera e delle implicazioni psicologiche ad essa connesse. Julian Hoeber è nato nel 1974 a Philadelphia, vive e lavora a Los Angeles. Mostre selezionate: Rubell Family Collection (Miami), Western Bridge (Seattle), Silverman Gallery (San Francisco), Blum & Poe (Los Angeles), Hammer Museum (Los Angeles), Praz-Delavallade (Paris), Circus Gallery (Los Angeles), Kavi Gupta (Chicago), Pixel Gallery (Toronto), Rental Gallery (New York).

Oliver Laric governa uno spazio simulacrale al cui interno icone culturalmente condivise vengono manipolate distanziandosi dalla propria connotazione classica. Il lavoro in mostra si compone di diversi strati sovrapposti di piccoli ologrammi circolari, commissionati dall'artista alle fabbriche cinesi di Shenzhen e recanti sulla superficie simboli ben radicati nell'immaginario comune - basti pensare al Pensatore di Rodin, al Discobolo di Fidia e al dio romano Giano. Qui, l'influenza della tecnologia digitale che insiste sull'opera di Laric si palesa nello stile decorativo che origina l'immagine; il "guillochè", comunemente usato per conferire tono originale a prodotti e documenti. Oliver Laric è nato nel 1981 a Innsbruck, vive e lavora a Berlino. Mostre selezionate: Tanya Leighton, (Berlin), Seventeen Gallery, (London), Western Front, (Vancouver), Nordic Biennial, (Norway), Massachusetts Museum of Contemporary Art, (North Adams), Kunsthaus (Graz), New Museum of Contemporary Art (New York).

William J. O'Brien prende in esame la dimensione caotica del vivere contemporaneo servendosi di un'estetica multimediale che tra le diverse possibilità espressive comprende la tecnica del dipinto, naturalmente rivisitata in senso sperimentale. Le tele di O'Brien raccontano l'incessante dialettica tra ordine e caos con un lessico che rifiuta il timido disvelamento del contenuto per favorire una carica formale esplosiva in grado di stimolare la reazione immediata da parte dell'osservatore; vittima e giudice nel contempo di un mondo ermetico in cui l'uomo contempla la propria crisi interiore mentre viene ceduta la parola al potere esperienziale della materia.

William J. O'Brien è nato nel 1975 a Cleveland, vive e lavora a Chicago. Mostre selezionate: Marianne Boesky Gallery (New York), World Class Boxing, (Miami), Acme (Los Angeles), Lisa Cooley Gallery (New York), Espacio 1414 (Santurce), Loyola University Museum of Art (Chicago), The Green Gallery (Milwaukee), The Renaissance Society at The University of Chicago (Chicago), Shane Campbell Gallery (Oak Park IL), Susanne Hilberry Gallery (Detroit).

Angel Otero indaga la sostanza costitutiva dell'opera pittorica delineando una narrativa sospesa tra la diacronia della memoria e la natura sincronica dell'opera d'arte attraverso una chiave interpretativa echeggiante molteplici influenze (l'enfasi materica di David Hammons, l'espressionismo astratto di William De Kooning, o ancora l'energia cromatica di Joan Mitchell) la cui sintesi ultima si estrinseca in un approccio del tutto personale. Nei lavori dell'artista portoricano la "pelle" del dipinto (oil skin) nasce e prende forma indipendentemente dalla tela, che solo al termine dell'intero processo ospita sul proprio "corpo" infinite lenzuola di pittura.

Angel Otero è nato nel 1981 a San Juan, vive e lavora a Brooklyn. Mostre selezionate: Galerie Isa (Mumbai), Istanbul'74 (Istambul), Lehmann Maupin (New York), Chicago Cultural Center (Chicago), Kavi Gupta (Chicago), El Museo del Barrio, (New York), Museum of Contemporary Art (Chicago), Prism (West Hollywood).

Mika Tajima presenta una configurazione geometrica di pannelli in plexiglass densi di sfumature e spesso arricchiti da una ben calibrata trama serigrafica, inaugurando un'universo di significati in cui l'architettura e il pattern strutturale degli oggetti plasmano le attività dell'uomo entro un processo performante quasi inaccessibile dal punto di vista razionale. In particolare, la disposizione a griglia dei pannelli evidenzia il carattere iterativo dell'opera e celebra il superamento del dipinto nell' "altro da sé"; un oggetto la cui superficie nasconde o tradisce l'implicita struttura a guscio. La serie Furniture Art fa riferimento alla Furniture Music di Erik Satie (Musique d'ameublement), caratterizzata da ripetizioni sonore studiate ed eseguite per dare luogo ad una musica di sottofondo funzionale all'accompagnamento emotivo di molteplici occasioni (aural decor).

Mika Tajima è nata nel 1975 a Los Angeles, vive e lavora a Brooklyn. Mostre selezionate: Aspen Art Museum (Aspen), Tensta Konsthall (Stockholm), UT Visual Art Center (Austin), DeCordova Museum (Lincoln), Massimo De Carlo (Milan), Rachel Uffner Gallery (New York), South London Gallery (London), Seattle Art Museum (Seattle), Elizabeth Dee Gallery (New York), The Kitchen (New York), San Francisco Museum of Modern Art (San Francisco).

Orario Galleria: dal Mercoledì al Sabato 15.30 - 19.30

LUCE GALLERY

Corso San Maurizio 25, 10124 Torino

Tel. +39 011 8141011

www.lucegallery.com

lunedì 19 marzo 2012

TRIESTE Matthew Day Jackson, Jessica Jackson Hutchins, Jay Heikes, Karthik Pandian, Erin Shirreff

TRIESTE

MATTHEW DAY JACKSON
JESSICA JACKSON HUTCHINS
JAY HEIKES
KARTHIK PANDIAN
ERIN SHIRREFF


OPENING SABATO 31 MARZO, 13.00 - 19.00
31 MARZO - 26 MAGGIO 2012

FEDERICA SCHIAVO GALLERY
PIAZZA MONTEVECCHIO 16 ROMA





Federica Schiavo Gallery è lieta di presentare la mostra TRIESTE che riunisce nuovi lavori, realizzati appositamente per la mostra, degli artisti internazionali Matthew Day Jackson, Jessica Jackson Hutchins, Jay Heikes, Karthik Pandian ed Erin Shirreff.
Trieste è il nome del batiscafo di costruzione italiana che nel 1960, con un equipaggio di sole due persone, stabilì un record di immersione, tuttora imbattuto, nelle acque dell’Oceano Pacifico, raggiungendo il punto di maggior profondità del pianeta: la fossa delle Marianne. Trieste è anche la piccola città portuale dell’Adriatico, situata al confine con la Slovenia, conosciuta per il suo fascino mitteleuropeo e un’insolita atmosfera malinconica che, citando Jan Morris, “porta le persone che la abitano a porsi tristi domande. A che scopo sono qui? Dove sto andando?“ (Trieste and the Meaning of Nowhere, Simon & Schuster, 2001). La mostra è metaforicamente ispirata da queste due realtà ‘borderline’ e richiama l’idea di una forza misteriosa che spinge inevitabilmente l’uomo a varcare la soglia dell’ignoto e dell’impossibile. Gli artisti in mostra, legati tra loro da rapporti di amicizia e stima reciproca, negli anni hanno dedicato frequenti e intense conversazioni a questi temi.

Jay Heikes, il cui ruolo è stato centrale nell’elaborazione della mostra, racconta: “Posso vedere in ciascun artista coinvolto nel progetto TRIESTE il desiderio di sfruttare la potenza di qualsiasi cosa abbia attraversato le loro menti per concretizzarsi materialmente nelle loro opere. In ciascuno riesco a scorgere un appiglio alla storia e alla cultura, soprattutto in riferimento a quelle strade senza uscita, meno battute e ormai andate perdute. Come ‘esploratori‘ - una parola sciocca ma efficace - ci spingiamo ad indagare proprio in quegli spazi normalmente trascurabili e misteriosi, gli unici in cui giacciono ancora nuove possibilità. Trovo che nel lavoro di Matthew la concentrazione di oggetti storici è sempre severa e disorientante. E’ come se la Storia fosse visibile come un’unica catena montuosa per poi accorgerci che i nostri occhi non sono sufficientemente forti per vedere al di là del nostro orizzonte visivo. Nel lavoro di Erin il rigore è interpretato a un altro livello, dove le lacune formali non sono macchine del tempo ma parametri di rivendicazione. Sono spazi dove il linguaggio appare obsoleto ma è in realtà in costante e continuo cambiamento per descrivere se stesso.
Gli strumenti e le ‘reliquie’ di una cultura possono essere tanto malleabili quanto i materiali che li costituiscono e Jessica è sempre consapevole del potere degli oggetti, in quali non solo ci inquadrano come figure in uno spazio ma anche come menti disordinate impegnate a categorizzare le ‘cose’. Penso che sia questo il motivo per cui il suo lavoro sembra essere una collisione di domesticità e surrealismo. Un po’ come sognare ad occhi aperti il più proibito dei sogni aspettando che il nostro toast salti fuori dal tostapane. Poi ci siamo Karthik ed io, entrambi dedicati a forme di ricerca che tentano di connettere quei collegamenti che la storia ha disperso naturalmente. Così Trieste, nel suo doppio, forse triplo, significato, è metaforicamente il fulcro della mostra come idea di un luogo o di uno spazio. In qualsiasi mostra collettiva è davvero impossibile dichiarare a priori il risultato che si raggiungerà, ma si possono discutere e decidere i presupposti da cui possa scaturire qualcosa di speciale. Questo è Trieste.”

L’arte di Matthew Day Jackson si confronta con grandi idee come l’evoluzione del pensiero, l’attrazione fatale della frontiera e la fede che l’uomo pone nel progresso tecnologico. Il suo lavoro si rivolge in particolare al mito del ‘sogno americano’, di cui ne esplora le forze di creazione, crescita, trascendenza e morte tramite le visioni della sua utopia fallita. Le sue opere recenti si sviluppano dalle idee di fondo insite nella mitologia americana e si concentrano sulla pluralità di significati che questa mitologia possiede, specie nelle declinazioni scaturite al di fuori della cultura americana. Jackson raffigura queste idee attraverso il mondo che lo circonda. I diversi materiali richiamano il simbolismo e combinano elementi apocalittici con i risultati delle nuove tecnologie, immagini storiche con ingredienti contemporanei. Nella sua arte viene concessa forma fisica alle idee ed è proprio dallo scontro di queste due realtà, dall’impatto materiale del pensiero idealista, che l’arte di Jackson deriva la sua forza. Nel suo lavoro l’artista esplora un concetto che definisce ‘Horriful’ incentrato sulla convinzione che ogni nuova creazione è in grado di portare sia bellezza che orrore.
Jessica Jackson Hutchins opera attraverso l’utilizzo di diversi media artistici quali la scultura, la ceramica, la stampa e il disegno. I suoi lavori presentano una curiosa combinazione di pura fisicità temperata da un forte senso di fragilità e racchiudono un’ampia varietà di tematiche, sia intime che collettive, malinconiche e divertenti, costantemente legate alla confusione delle relazioni umane. La sua concezione estetica del collage s’infonde nei suoi oggetti astratti in diversi modi, come quando. ad esempio, l’artista annida strani vasi smaltati su logore poltrone, divani e tavoli, oppure quando li posa su plinti snelli ed eccentrici di sua ideazione. Nel suo lavoro si fa costante riferimento al corpo umano, in tutto il suo fascino muto così come nelle sue gioiose abitudini. L’artista è sempre in grado di trasformare i dati della vita quotidiana in forme e immagini che le consentono di produrre un’urgenza intima.
Jay Heikes è noto per la sua pratica artistica eterogenea. L’artista è in grado di fondere pittura astratta, video, installazione, performance e scultura attraverso un comune approccio romantico e un’atmosfera grottesca e divertita che ricorre in tutto il suo linguaggio. Il suo lavoro mette in scena la natura precaria di ogni allusione al reale, in particolare quei continui mutamenti e spostamenti di valore rivolti ai nostri riferimenti culturali, visivi ed esperienziali. Le sue stesse opere testimoniano, nel tempo, mutamenti di stato legati all’uso di materiali che, una volta in relazione, interagiscono fra loro, soprattutto dopo una trasformazione chimica. La pura materialità dei lavori recenti di Heikes riflette la sua insoddisfazione per la deriva performativa e partecipativa dell’arte contemporanea e il suo desiderio di riportare l’attenzione sulla pittura, scultura e installazione.
La pratica artistica di Karthik Pandian intende sovvertire le contraddizioni al centro della comune idea di monumento. L’universale e il contingente, il sacro e il profano, la dimensione ravvicinata e quella distante si confrontano regolarmente nel suo lavoro. Pandian è interessato in particolare al modo in cui la storia si annida nella materia e spesso utilizza la pellicola 16 mm per creare ‘siti’ in cui lasciar depositare frammenti di particolare intensità politica. Le opere scultoree che supportano, avvolgono e talvolta oscurano le sue proiezioni sono prodotte con materiali legati alla sua ricerca e spesso assumono la forma di costruzioni architettoniche. Attraverso l’immagine in movimento, la scultura e la sintesi di questi due linguaggi, il suo lavoro raffigura la libertà posta in relazione alle imposizioni dell’architettura.
Diplomata in scultura, Erin Shirreff opera attraverso diversi media, tra cui la fotografia e il video. Il suo lavoro suggerisce evocazioni diverse come la catalogazione archeologica di strumenti antichi, l’osservazione dei pianeti attraverso dispositivi telescopici e la massiccia presenza di sculture minimaliste nel paesaggio. Le sue sculture si rivolgono a ciò che è assente: sagome di forme astratte e geometriche o forme bidimensionali si librano intorno a una zona temporalmente ambigua che le fa sembrare allo stesso tempo manufatti di nuova realizzazione o oggetti trovati. L’efficacia degli interessi concettuali della Shirreff dipende dalla sua selezione di soggetti che sono tanto familiari al punto da diventare enigmatici, lasciando allo spettatore il compito di confrontarsi con le modalità di creazione di significato entro un paesaggio visivo anonimo.


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Matthew Day Jackson è nato a Panorama City, CA nel 1974, vive e lavora a Brooklyn, NY. Tra le sue mostre recenti: In Search of?, Gemeentemuseum, The Hague, Olanda 2012; Kunstmuseum Luzern, Lucerne, Svizzera 2011; MAMbo Museo d’Arte Moderna di Bologna, Italia 2011; Everything Leads to Another, Hauser & Wirth, Londra, 2011; The Immeasurable Distance, MIT List Visual Art Center, Cambridge MA, poi portata al Contemporary Art Museum, Houston TX, 2009. Ha partecipato a numerose mostre collettive internazionali: Ullens Center for Contemporary Art, Pechino, Cina 2010; Louisiana Museum of Modern Art, Humlebæk, Danimarca 2009; Hayward Gallery, Londra, 2009; Punta della Dogana, Venezia, Italia, 2009; Van Abbemuseum, Eindhoven, Olanda 2008; Contemporary Arts Museum Houston, TX, 2008; Whitney Biennial, New York, NY, 2006; P.S.1 Contemporary Art Center, New York, NY, 2005.

Jessica Jackson Hutchins è nata a Chicago, Illinois, nel 1971; vive e lavora tra Berlino e Portland, Oregon. Dopo la laurea conseguita alla School of the Art Institute of Chicago nel 1999, il suo lavoro è stato esposto regolarmente in numerose mostre personali e collettive a livello internazionale. Tra le sue mostre recenti: Objectified: Sculpture Today, The Saatchi Gallery, Londra 2012; ICA-Institute of Contemporary Art, Boston, 2011; The Important Thing About a Chair, Atlanta Center for Contemporary Art, 2011; A Terrible Beauty is Born: 11e Biennale de Lyon, Lione, Francia, 2011; Reclaimed: Nature and Place Through Contemporary Eyes, Seattle Art Museum, Seattle, 2011; Children of the Sunshine, Portland Institute of Contemporary Art, Portland, 2010; The Whitney Biennial, Whitney Museum of American Art, New York, 2010; Dirt on Delight, ICA-Institute of Contemporary Art, Philadelphia and The Walker Art Center, Minneapolis, 2009; An Expanded Field of Possibilities, Santa Barbara Contemporary Arts Forum, 2009; The Mood Back Home, Momenta Art, New York, 2009.

Jay Heikes è nato a Princeton, New Jersey, nel 1975; vive e lavora a Minneapolis. Tra le sue recenti personali in musei e gallerie private: Buried in the Bright, Aspen Art Museum, 2012 (una nuova commissione creata per il New AAM); Project Space, ICA-Institute of Contemporary Art, Philadelphia 2007; The Hill Upstairs, MoMA P.S.1, New York 2005; The Material Mine, Federica Schiavo Gallery, Roma, Italia, 2011; Inanimate Life, Marianne Boesky Gallery, New York 2010; Eroding Rainbow, Federica Schiavo Gallery, Roma, Italia, 2009. Il suo lavoro è stato rappresentato da numerose mostre collettive: A Basic Human Impulse, Galleria Comunale d’Arte Contemporanea di Monfalcone, Gorizia, Italia 2010; The Secret Life of Objects, Midway Contemporary Art, Minneapolis 2009; Martian Museum of Terrestrial Art, Barbican Art Gallery, Londra 2008; Looking Back: The White Columns Annual, White Columns, New York 2007; Ordinary Culture: Heikes/Helms/McMilian, Walker Art Center, Minneapolis 2006; Day For Night: Whitney Biennial 2006, Whitney Museum of American Art, New York 2006.

Karthik Pandian è nato a Los Angeles, CA, nel1981; vive e lavora a Los Angeles. Ha conseguito la laurea alla Brown University, Rhode Island e alla Staatliche Hochschule fur Bildende Kunste Staedelschule, Francoforte e il Master in Fine Art all’Art Center College of Design di Pasadena nel 2008. Negli ultimi anni al suo lavoro sono state dedicate importanti mostre personali in America e in Europa: Elements of Style, White Flag Projects, St. Louis, 2011; Unearth, Whitney Museum of American Art, New York, 2010; Before the Sun, Midway Contemporary Art, Minneapolis, 2010; 1991, curata da Vienna 2010, (con Mathias Poledna), Galerie Meyer Kainer, Vienna, Austria. I suoi film sono stati presentati a livello internazionale: Anthology Film Archives, New York, 2009; Electronic Arts Intermix, New York, 2008; Hammer Museum, Los Angeles, 2007; New York Underground Film Festival, New York, 2007. Il lavoro di Pandian è stato discusso su diverse pubblicazioni tra le quali: Artforum, Mousse, Art in America, Flash Art e The New York Times.

Erin Shirreff è nata a Kelowna, British Columbia, Canada, nel 1975; vive e lavora aNew York. Le sue mostre recenti includono: Le silence. Une fiction, Nouveau Musée National de Monaco, 2012; Structure & Absence, White Cube, Londra, 2011; The Anxiety of Photography, Aspen Art Museum, 2011; To What Earth Does This Sweet Cold Belong?, The Power Plant, Toronto, Canada; Still, Flat, and Far, ICA-Institute of Contemporary Art, Philadelphia; Greater New York 2010, MoMA P.S.1, New York, 2010; Knight’s Move, Sculpture Center, New York, 2010; Between Here and There: Passages in Contemporary Photography, Metropolitan Museum of Art, New York, 2010; Immaterial, Ballroom Marfa, Texas, 2010. Il suo lavoro è incluso nella collezioni permanenti del Metropolitan Museum of Art, del Museum of Fine Arts, Houston e del Guggenheim Museum. L’artista ha vinto nel 2011 il prestigioso Premio della Louis Comfort Tiffany Foundation.

Alessandro Bulgini - Hairetikos, Opera Viva



THE BAKERY – via mazzini 25 – torino
opening 29 marzo 2012 h. 18
30 marzo – 14 aprile 2012
su appuntamento | by appointment
tel. +39 334 5725588



Hairetikos è il titolo dei lavori di Alessandro Bulgini dal 2001, l’etimo dal Greco (colui che sceglie) è usato come sorta di certificato di garanzia atto a vidimare il tentativo dell’artista di dichiararsi uomo libero. Il sottotitolo Opera viva, fa riferimento ad un termine nautico e nel contempo ad un’ intenzione. Sullo scafo delle barche esiste una linea che si chiama “linea di galleggiamento”, questa linea divide la barca in due parti, una emersa e una sommersa, notoriamente, per i pratici di mare, la parte sommersa si chiama “OPERA VIVA”...

[ Ringrazio di pensiero e dell’invito ma non ho il tempo materiale per rispondere adeguatamente, per accumulo di impegni di scrittura, mi spiace, erri
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Gentile Erri,
mi chiamo Alessandro Bulgini, sono un artista nato a Taranto, vissuto a Livorno e attualmente a Torino; ti dico questo giusto per mettere in rilievo la distanza (e non solo geografica) tra le città.
Come te, per quanto da me letto, vivo il contrasto tra il naturale richiamo al mare, essendo oltretutto uno che si è dedicato lungamente alla “pratica” della vela, e l’attrazione forte per quest’ambiente a me sconosciuto che è la montagna. Vivo in un quartiere dal nome e dai contenuti fortemente suggestivi, Barriera di Milano, un quartiere che ha visto partendo dal 1955 una lenta immigrazione, all’inizio solo quasi di pugliesi e successivamente da parte del resto del mondo. Da questo quartiere come da quasi tutta Torino si ha la fortuna di poter vedere le montagne che la circondano e devo dire che per me, non so per gli altri, abituato a vedere solo orizzonti piatti di color blu, grigio, verde, poter allungare lo sguardo fino alle cime spesso innevate è un opportunità incredibile per avere sempre presente dove rifugiarsi con la mente finalmente liberi e lontani da molto. Ti scrivo perché ultimamente mi è capitato di leggere alcune tue cose; avevo assisto anche ad una tua conferenza qui a Torino durante il salone del libro ed è inutile ti stia a dire quanto sia stato piacevole ascoltarti; ma dicevo, un libro mi ha particolarmente colpito “Sulle tracce di Nives”.
Cercherò brevemente di raccontarti delle cose che hanno a che fare con il mio percorso artistico. Anni fa tra l’altro feci un lavoro che si intitola “ HAIRETIKOS – OPERA VIVA”. Hairetikos è un titolo che adopero dal 2001 per quasi tutti i miei lavori, l’etimo dal Greco (colui che sceglie), lo uso come sorta di certificato di garanzia atto a vidimare il mio tentativo di dichiararmi uomo libero. Il secondo titolo è na’ bellezz,(come si direbbe a NapoliJ), perché fa riferimento ad un termine nautico e nel contempo ad una mia intenzione. Sullo scafo delle barche esiste una linea che si chiama “linea di galleggiamento”, questa linea divide la barca in due parti, una emersa e una sommersa, notoriamente, per i pratici di mare, la parte sommersa si chiama “OPERA VIVA”. E’ interessante riflettere che in questo caso la parte viva della barca sia la parte invisibile, la parte che si relaziona con gli “Abissi”.
Ti risparmio, per non dilungarmi troppo, la descrizione del lavoro vero e proprio. Ho voluto soffermarmi solo sul titolo perché da questo nasce un ulteriore lavoro che vorrei sottoporre alla tua attenzione. Nel 2007 incomincio a girare per mercatini di vario genere cercando fotografie -e non cartoline- ritraenti montagne, queste foto partono all’incirca dai primi del 900 sino ad arrivare agli anni ’70. L’idea nasce da una domanda molto semplice, perché tanta fatica è stata fatta?  Attrezzature precarie e non certo efficienti come quelle di oggi, macchine fotografiche analogiche e non certo digitali dai facili scatti usa e getta, strade allora molto più impervie di ora, perché tanta fatica per poi riportare come unico ricordo tangibile foto che non ritraggono gli autori stessi del viaggio?
A queste foto, per riportarle in vita, con la possibilità che è data all’arte, ho apposto esclusivamente una linea rossa. La linea come confine tra il basso e l’alto, la linea per mettere in evidenza la vetta, la linea che diventa linea di galleggiamento, dove però le parti dell’emerso e del sommerso si invertono, l’Opera Viva che diventa quella dove le montagne toccano il cielo, sorta di chiglie immerse nel mare infinito cielo.
Mi avvalgo dell’esperienza di queste persone, dei loro ricordi, dei loro sogni, delle loro “intenzioni”.
Ho pensato nettamente che queste foto, da me recuperate è così rivitalizzate, diventino dei ritratti, non fisiognomici dei loro autori, ma ritratti appunto alla loro intenzione….
Ne ho raccolti 48 uno più bello dell’altro, uno più commovente dell’altro.
Mi fermo qui, non ne parlo ulteriormente, perché ho letto quello che hai scritto, e tu, un milione di volte, sai farlo meglio di me. Alle parole dai immagine e forza, come per me un pochino è dato fare con altri sistemi espressivi.
Fra un mese farò una mostra a Torino e mi piacerebbe, e tu dirai -grazie al cavolo- se volessi dedicare due righe,  io una riga J, a queste cose ritrovate. Ne sarei onorato, felice, più che altro per dare “il giusto” contributo a queste cose che altrimenti sarebbero finite nei cassetti di chissà cosa e chi.
Per ultimo, ti invio qualche immagine di queste foto, te ne mando poche per non intasarti la posta e te le invio senza averne fatto una scelta, sarebbe ingiusto nei confronti degli autori.
Ti ringrazio indipendentemente dalla tua partecipazione, già solo per l’ascolto e soprattutto per quello che hai già fatto.

Ciao Alessandro Bulgini ]…

venerdì 16 marzo 2012

Mauro Mari in arte Maris

Mauro Mari in arte Maris

Mostra personale che ripercorre gli oltre quarant'anni di pittura di Mauro Maris, il pittore astratto fiorentino allievo del maestro Mario Schifano.

Dare forma alle emozioni e agli stati d'animo più contrastati, colorare le inquietudini quotidiane, i dolori laceranti o le gioie improvvise. Questa è la ricetta che Maris adotta nella sua pittura, quasi un viatico per i propri tormenti interiori, un diario sempre aperto con la sua coscienza, un colloquio meditato e sincero tra sé stesso e il mondo. Le sue composizioni, informali ma non troppo, illuminate da frequentazioni europee ed avvicinabili, per energia e tensione vitale, a Pollock e soprattutto a Mario Schifano, suo indimenticabile amico, possiedono una cifra espressiva personalissima, frutto di una istintualità guidata dall'intelletto e di una fantasia mediata dalla razionalità. Quasi uno studio di immagini mentali in continua evoluzione, che danno luogo ad un tumultuoso espandersi di forme e di elaborazioni cromatiche fatte di luminosità brillanti, di trasparenze sottili e di velature infinite, come stratificazioni della memoria. La ricerca dell'artista raggiunge anche un effetto dinamico-plastico di intensa suggestione, percepibile egregiamente sia nel grande, sia nel piccolo e piccolissimo formato, lasciando libero l'osservatore di immedesimarsi nell'opera senza staccare lo sguardo prima di averne assimilato le pulsioni, le vibrazioni interne e di avervi trovato qualcosa di riconoscibile, qualcosa di sé. (Gabriella Gentilini)

Innaugurazione Giovedì 29 Marzo 2012 ore 18:00
Presso "The Gate", Borgo S. Frediano 131 r. Firenze.
La mostra terminerà Domenica 29 Aprile 2012
Orario 18:00 - 24:00

Info:
www.mauromaris.com
















mercoledì 14 marzo 2012

La verita e nuda; ma sotto la pelle giace l'anatomia #2

COMUNICATO STAMPA


onepieceart gallery di Olimpia Orsini con takeawaygallery presenta

Seconda parte di:
La verità è nuda; ma sotto la pelle giace l'anatomia

Testo critico di Barbara Martusciello

Claudio Abate, Nobuyoshi Araki Elisabetta Catalano, Mimmo Cattarinich,

Sandro Fogli, Jan Saudek, Fernanda Veron, Claudio Vitale

Inaugurazione: sabato 24 marzo 2012, h 18

La mostra La verità è nuda; ma sotto la pelle giace l'anatomia giunge alla sua seconda parte, sorta di nuovo atto che stavolta coinvolge altri artisti dei 16 invitati a partecipare a questa esposizione corale che tratta un tema a lungo affrontato nella Storia della Fotografia che si è confrontata con il Corpo e il Nudo adottando scelte linguistiche molto differenti. Proprio tale eterogeneità di sguardo emerge da questa collettiva che, appunto, in due tappe, propone opere fotografiche che mettono in scena la nudità attraverso non solo la sensualità delle forme, l'erotismo che si rivela da trasparenze e controluce quanto, piuttosto - seppure tramite questa evidente qualità erotica -, quell'autenticità del carattere, del desiderio e di genere del corpo esibito.

Il titolo dell'esposizione è una citazione da Paul Valéry, scelta da Barbara Martusciello come ideale commento dell'iniziativa e accompagna la lettura dell'esposizione che trae sostanza poetica proprio dalla ricerca di quella pelle sotto la pelle che la Fotografia sembra celare e allo stesso tempo proteggere sulla superficie delle sue stampe, così come pare siano intenti a fare gli stessi soggetti in esse raffigurati.

Dopo Giovanni Cozzi, Angelo Cricchi, Irina Ionesco, Nino Migliori, Euro Rotelli, Pino Settanni, Alessandro Valeri, Joel Peter Witkin (24 febbraio – 20 marzo 2012) è la volta di altri otto autori: Claudio Abate, Nobuyoshi Araki Elisabetta Catalano, Mimmo Cattarinich, Sandro Fogli, Jan Saudek, Fernanda Veron, Claudio Vitale espongono le loro opere da sabato 24 marzo 2012, h 18.

Claudio Abate è critico, interprete e portavoce di esperienze artistiche contemporanee più innovative dagli anni '60 a oggi. Amico di artisti, partecipe osservatore delle loro realizzazioni, con i suoi scatti ha ricostruito pagine fondamentali della storia dell'arte affiancando a questa produzione una parallela ricerca incentrata sull'ironia che sa portare nel nudo e nella sessualità un effetto giocoso sorprendente. Nobuyoshi Araki sostiene che l'arte sia "questione di prossimità": per questo il suo scatto è inteso come diario della propria esistenza che in mostra evidenzia il suo lato più erotico e feticista. Per Elisabetta Catalano la fotografia diviene mezzo per raccontare lucidamente la società in cui viviamo, di cui ha immortalato politici, artisti, poeti, letterati, registi o calciatori; tutti sfilano di fronte al suo obiettivo, spogliati dei simboli del loro mestiere e colti nella familiarità delle espressioni e nell'essenzialità della loro intimità. Mimmo Cattarinich ha documentato oltre mezzo secolo di storia e costume d'Italia, spaziando tra soggetti e concependo il suo lavoro come scambio, emozione, avventura privilegiando non tanto la perfezione tecnica ma la verità. Per Sandro Fogli la fotografia e l'arte devono scavare nella realtà cercando di comunicare fortemente emozioni e concetti anche, come in questa mostra, restituendo atleti e nudità che nella loro fissità scultorea ci parlano di eros, di potere, di storia. Saudek ci parla di gente comune, di affetto, erotismo ed esibizionismo costruendo una bellezza dell'imperfezione che è, per questo, autentica. Fernanda Veron, di origini argentine, restituisce nuvole, paesaggi, edifici, corpi, autoritratti che si rivelano pretesti per poter liberare l'inconscio, far pressione sulla memoria, scavare nel profondo del proprio animo. A Claudio Vitale, attivo come fotografo free-lance a partire dal 1987 e come inviato o collaboratore delle principali testate italiane ed estere fino ad oggi, interessano vita e storie vere, fatte se necessario di emarginazione, violenza e paura, ma anche di sogni e speranze.

La mostra è in collaborazione con Takeawaygallery

Testo critico di Barbara Martusciello

Schede di Carlotta Monteverde

Info:

  • Seconda inaugurazione _ # 2: sabato 24 marzo 2012, h 18 - fino al 24 aprile
  • Claudio Abate, Nobuyoshi Araki, Elisabetta Catalano, Mimmo Cattarinich, Sandro Fogli, Jan Saudek, Fernanda Veron, Claudio Vitale
  • one piece art gallery, Via Margutta 53b, 00187 Roma; tel./fax: +39 06.32651909; +39 347 5207567; mail: onepieceart@libero.it., www.onepieceart.com/; takeawaygallery@gmail.com
  • Orari: da martedì a venerdì 11:00 - 13:00 / 17:00 - 19:30; sabato 10:30 - 13:00

lunedì 12 marzo 2012

DARK ISLAND di GUY LYDSTER


a cura di Lodovico Pignatti

21 aprile – 9 giugno 2012


Galleria B4 | Via Vinazzetti, 4B | Bologna












Comunicato Stampa

Sabato 21 aprile 2012 sarà inaugurata alla Galleria B4 di Bologna “Dark Island”, grande personale dello scultore neozelandese Guy Lydster, a cura di Lodovico Pignatti. Dopo il successo ottenuto in occasione di Arte Fiera OFF 2012, che l’ha visto protagonista di importanti spazi espositivi come lo Spazio Fabrizio Cocchi, la splendida cornice di Villa Hercolani, dimora cinquecentesca appena fuori le mura medievali di Bologna e la Galleria Art to Design, tappe che l’hanno reso ancor più noto a livello nazionale, Lydster rinnova l’unicità intrinseca e figurativa della sua opera con gli Headscapes inediti di Dark Island.

Dark Island, evoluzione naturale del lavoro dell’artista e delle sue continue sperimentazioni, si compone di una ventina di Headscapes - unione di Head e Landscapes (teste-paesaggi) - che evocano un viaggio metaforico verso la riscoperta di quel terreno oscuro chiamato infanzia.

La mostra si articola negli spazi della galleria che scandiscono i tre momenti del viaggio verso: la ricerca di un luogo, l’approdo alla meta e la separazione. L’esposizione è da considerarsi percorso completo nell’opera di Lydster; sono rappresentati tutti i momenti di produzione dell’opera, dalla fase iniziale più espressionista e abbozzata, che grazie all’uso della creta cruda giunge ad effetti sorprendenti, attraverso quella più dura e ricca di dettagli, fino alla fase ultima, in cui primeggia la linea compiuta del bassorilievo. Compare per la prima volta la colorazione, realizzata con pigmenti rossi, gialli e verdi, che mescolati alla creta ancora cruda stimolano in maniera sorprendente l’espressività.

Nella prima sala, il viaggiatore-spettatore è accolto da un gruppo di Headscapes che indicano un percorso da navigare.
Sono raffigurate diverse isole, rappresentazioni di possibili mete da raggiungere, tra cui un’opera fondamentale dal titolo Land of the Long White Cloud, (terra dalla lunga nuvola bianca), traduzione della parola in lingua maori “Aotearoa”, termine che indica la Nuova Zelanda. In contrasto con tali immagini di mare e isole sparse, realizzati in creta bianca, si erge centrale l’opera Dark Island, approdo del viaggiatore. Circondata da un mare mosso e verdastro, l’isola scura esercita una forza di attrazione sullo spettatore come se fosse lui stesso un nuotatore che attraversa torbide acque. Accanto, disposte a terra, un arcipelago di teste/isole si stende sul mare del pavimento.

Nella seconda sala il viaggio continua verso il cuore del terreno raggiunto. L’occhio del viaggiatore esplora la riva e si muove verso le forme organiche e i colori che fioriscono all’interno dell’isola. In questa dimensione originaria l’artista stabilisce un rapporto pacifico con i luoghi della memoria, la presenza della barriera naturale, il dolore nell’asprezza del paesaggio, e perfino la morte (è significativa la simbolica presenza di un gatto nero in agguato, bello, ma inquietante).


Il percorso si chiude nello spazio esterno della Galleria con gli Headscapes che simboleggiano gli emigranti, la partenza verso l’ignoto, in cui i viaggiatori sono muniti solamente di nostalgia e di proprie memorie. Incisi sui volti di un grappolo di grandi teste, vari squarci naturali dell’isola vengono conservati e spediti verso l’orizzonte e forse verso un’altra isola. L’esperienza straziante dell’emigrante è la metafora della difficile separazione fisica e spirituale dal viaggio ed emblema del forte legame uomo-natura. L’artista ci invita a scoprire quanto la natura sia una forza non solamente più grande di noi, ma anche una forza che cresce in noi.

A completare il percorso, una decina di disegni dell’artista che esprimono la percezione dell’ambiente visto dal mare; ossia la rigida geometria dell’immenso paesaggio, risultato delle diverse congiunzioni naturali e marine.

La mostra segna anche il percorso della vita che ci vede protagonisti di un viaggio interiore in cui la natura è il mezzo che ci conduce all’essenza e invita ad una riflessione sulla nostra presenza nel mondo.



Guy Lydster scultore neozelandese nasce a Auckland nell’aprile del 1955, ma si trasferisce con la famiglia a Vancouver molto presto.
Già da bambino scopre l’amore per l’arte, inizia a studiare teatro, poi si dedica alla pittura e infine arriva alla forma simbolica a lui più congeniale: la scultura.
Nei primi anni 80 si trasferisce a Bologna per studiare all’Accademia delle Belle Arti e finito il suo percorso universitario decide di rimanere a vivere e lavorare nel capoluogo emiliano.

Per Guy Lydster sono stati di fondamentale importanza per lo sviluppo del suo percorso di scultore il riferimento e lo studio di Henry Moore, Constantin Brancusi e Alberto Giacometti entrambi, come lui, intrisi di naturalismo e essenzialità; ma ancora di più si nota la forte ispirazione primitiva che ha trovato nei suoi luoghi di origine. L’arte eschimese, quella indiana e quella imponente e spirituale dell’Isola di Pasqua trovano nella scultura di Guy un importante sviluppo.

Inizia il suo lavoro cercando una pietra che possa fargli da bozzetto per l’opera, quando l’idea è chiara crea una base sulla quale innalza un asse verticale e alla quale aggiungerà materiale fino a creare una testa. Quando la forma è finita inizia a svuotarne il cranio, tagliandola con piccole e controllate incisioni da neurochirurgo. Lo svuotamento collabora anch’esso alla creazione della forma che si plasma dall’interno non seguendo un canonico modellamento anatomico. Le parti del cranio vengono poi ricomposte; aggiungendo materiale per la memorizzazione del paesaggio, lo scultore procederà ad un secondo svuotamento fino al raggiungimento della giusto equilibrio tra mente e corpo.
I materiali utilizzati sono creta, argilla, marmo, pietra e travertino.


Agenzia di Comunicazione:
Culturalia di Norma Waltmann
Agenzia di comunicazione
Bologna - Vicolo Bolognetti 11
tel : +39-051-6569105
fax: +39-051-2914955
mob: +39-392-2527126
email: info@culturaliart.com
web: www.culturaliart.com

sabato 10 marzo 2012

Institut Français Milano | ZHENG RONG "natura sognata" | Palazzo delle Stelline, 15 – 30 marzo 2012




COMUNICATO STAMPA


Nell'ambito del Festival di Cinema Africano, d'Asia e d'America Latina di Milano, l'Institut Français Milano ospiterà nella sua galleria d'arte una personale della pittrice cinese Zheng Rong.

15 – 30 marzo 2012

ZHENG RONG

"natura sognata"

a cura di Claudio Cerritelli

Inaugurazione: giovedì 15 marzo, ore 18.00

Quella di Zheng Rong è una Cina riletta e interiorizzata, paesaggi mentali trasfigurati nella memoria, armonie della natura narrate in forme fluide, alberi, boschi, piante, stagioni, un viaggio che è separazione, ma anche scoperta della parte più profonda e intima di sé.

Biografia

Zheng Rong si è laureata alla Facoltà di belle arti dell'Università normale di Shanghai. Nel 1986 si è trasferita in Italia, dove ha frequentato l'Accademia di Brera di Milano, diplomandosi nel 1990. Attualmente vive e lavora a Milano, dedicandosi alla ricerca sulla pittura contemporanea e all'insegnamento.

testo critico di Claudio Cerritelli

progetto, coordinamento e presentazione di Annamaria Gallone

GALLERIA DELL'INSTITUT FRANÇAIS MILANO

Palazzo delle Stelline - Corso Magenta 63, 20123 Milano

tel.02 4859191

www.institutfrancais-milano.com














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