Dal 11 ottobre 2018 fino al 15 gennaio 2019 il nuovo spazio per l’Arte
Bianco Contemporaneo presenta
M.E.R. d.A. Manifesti Elettorali Rettificati da Asporto
personale di Pino Boresta
Gli acronimi e le
rettifiche sono elementi che caratterizzano l’arte di Boresta e in quest’occasione
il titolo spiega integralmente il contenuto della mostra dove saranno esposti i
manifesti elettorali strappati dai muri o presi dalle scorte degli “attacchini”
nei periodi delle elezioni. Ripercorreremo così le tappe del nostro recente
passato politico con slogan elettorali, facce conosciute o meno note,
rettificati dall’artista per mezzo delle smorfie del suo viso in varie
dimensioni e colori.
Pino Boresta ha conservato
nel suo immenso ma ordinato archivio oltre ad una serie infinita di sue opere
rettificate anche moltissimi manifesti elettorali che coprono il periodo a
cavallo del millennio, dalla fine degli anni ‘90 fino al 2014 circa.
Con le sue foto deformate
da smorfie, esattamente nove, ha tappezzato manifesti, segnali stradali, contatori
della luce di ogni città nelle quali è stato e proprio per queste azioni è considerato
uno dei primi street artist della
scena artistica italiana (Enciclopedia Treccani).
Le sue smorfie
rettificano l’oggetto su cui è incollato l’adesivo, dando una connotazione
comica all’immagine rettificata. La sua arte non è ironica, non è derisoria o canzonatoria.
L’ironia implica riflessioni colte, il canzonare è mettere alla berlina, la
comicità invece pone in luce l’aspetto buffo ma giocoso del soggetto
prescelto. Le smorfie del Boresta esprimono, infatti, il desiderio
di leggerezza, di gioco, il bisogno di vivere senza prendere le cose troppo sul
serio ed esattamente all’insegna della levità che ha affrontato anche i suoi
momenti più bui (SOS sfratto,
progetto crowdfunding per lo sfratto che minacciava la sua abitazione).
Il Boresta ha
trasformato la sua vita in un’opera d’arte, ha dato scopo alla sua esistenza trasformando
ogni avvenimento da affrontare in azione artistica. La sua è un’arte destabilizzante
che affonda le sue origini nei Situazionisti,
come lui stesso ci riferisce in alcune interviste. Il suo essere situazionista
differisce per molti versi dalla corrente artistica cui fa eco. La sua arte pur
rivelando una forte spinta rivoluzionaria, non è politica. Curiosamente in
questa mostra la politica è soltanto un mezzo per utilizzare i suoi strumenti
di comunicazione: i manifesti elettorali.
Questo è il motivo che
principalmente lo differenzia dai Situazionisti
storici, ad esempio il pittore danese Asger Jorn, esponente di spicco di questo
movimento, con le sue “modifiche” sui quadri kitsch finalizza il suo lavoro
alla riflessione critica del pensiero artistico e mira al superamento delle
avanguardie storiche, rivestendo una funzione sia politica sia sociale,
preludio del “68.
Il nostro artista invece
non vuole dare nessun impulso al cambiamento sociale. È egli stesso che cambia
in continuazione, come la sua mente corre veloce al successivo avvenimento, le
sue opere si adeguano a questo meccanismo. Proprio per questo egli cataloga e
archivia tutto le sue attività, per non perdere di vista ciò che ha generato
questo flusso inesauribile di gesti e riflessioni. Un continuo fluire che mette
perennemente in discussione le logiche delle sue azioni artistiche.
Il suo rammarico per
non essere riconosciuto dalle autorevoli voci del mondo dell’Arte, potrebbe
dare adito a credere che sia un eterno perdente in cerca di fama, ma il
successo non l’ha mai veramente interessato e proprio su questo ha
ulteriormente giocato.
La pulsione a
soddisfare il suo bisogno di ricerca lo porta a utilizzare la sua vanità per
ulteriori azioni artistiche (Blitz Io
Vivrò conferenza alla Biennale) relegandola a un ruolo marginale, questa
esigenza gli permette di riconoscere quanto la sua affermazione e
l’approvazione del pubblico possa allontanarlo dal suo interesse primario.
L’immagine che Pino
Boresta dà di se stesso è di un burlone, di un giullare in cerca di gloria, e
non è facile riconoscere le sue due facce che si lacerano tra il riconoscimento
totale e gratificante dell’establishment e la rincorsa all’indagine artistica
come svisceramento del potere rivoluzionario dell’arte, in linea con i più
osservanti situazionisti come Guy Debord.
Rossella Alessandrucci (gallerista di Bianco Contemporaneo)
sito:
http://www.biancocontemporaneo.it/
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