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lunedì 4 maggio 2015

Luigi Ontani incontra Giorgio Morandi. CasaMondo - Apre a giugno l'attesa mostra a Grizzana Morandi (BO)



Luigi Ontani 
incontra Giorgio Morandi. CasaMondo
Casa Studio Giorgio Morandi - Fienili del Campiaro
Grizzana Morandi

26 Giugno-26 Settembre 2015



La Casa-Studio "Giorgio Morandi" e i Fienili del Campiaro proseguono l'attività di valorizzazione del territorio e di promozione dell'arte contemporanea  con la mostra Luigi Ontani incontra Giorgio Morandi. CasaMondo, promossa dal Comune di Grizzana Morandi e dall'Unione dei Comuni dell'Appennino bolognese.

Dopo Il Paesaggio Necessario (2012, con opere di 12 artisti tra cui  M.Bottarelli , B. Benuzzi, M. Pulini, D. Manto, L. Baldassari, G. Pompili ), Un'Etica per la Natura (2013, con opere di D. Monteleone, S. Zagni, E. Laraia, K. Andersen. E. Frani) ), dopo le celebrazioni per il cinquantesimo anniversario della morte di Morandi (2014), scandite da diverse manifestazioni, tra cui la mostra Galliani incontra Morandi (con opere di Omar Galliani) e la pubblicazione del primo libro fotografico della Casa-Studio (Casa Morandi, di Luciano Leonotti), Luigi Ontani  irrompe in ogni camera della Casa-Studio con una magia ceramica, nature extramorte antropomorfe, che paradossalmente restituiscono la tridimensionalità agli oggetti delle nature morte di Morandi,  le quali vengono dirottate su significati differenti dalla continua materializzazione del volto totemico di Ontani, che presiede al loro attraversamento dello spazio e del tempo, nonché al riconoscimento e alla religiosa conservazione di un sublime raggiungimento dell'opera di Morandi, ossia l'osmosi tra sogno e realtà.

Create appositamente per le stanze Morandi, le nature extramorte antropomorfe (nei nomi delle opere di Ontani l'evocazione di Carroll, Joyce, Savinio, Palazzeschi…) si innestano nella trama delle cose, dei colori, della luce; nel percorso sentimentale delle stanze, della vita, di Giorgio, Anna, Dina, Maria Teresa Morandi.
Un "incontro", tra Ontani e Morandi, che procede sulla strada di ovvie diversità e di alcune analogie, negli sguardi dei due Artisti, ad esempio, che individuano in un territorio o in una sua parte assai significativa, il nucleo di un genius loci unico e irripetibile ( per Morandi il mondo rurale e scabro di Grizzana con la sua luce e colori, i suoi coltivi, i suoi edifici in sasso; per Ontani la Rocchetta Mattei, rilucente di ceramiche e simbologie, bizzarra e affascinante architettura esotica, eclettica, esoterica).

Oltre la Casa, a ospitare opere di Ontani, e su Ontani, saranno anche i Fienili del Campiaro, che con essa formano un insieme espositivo di raro interesse (i Fienili furono rappresentati molteplici volte da Morandi). Mentre nel maggiore di questi edifici rurali Ontani esporrà alcune mitiche erme e altre ceramiche create per l'occasione, nel 2° Fienile andrà continuamente un video su Ontani di Massimiliano Galliani girato in Romamor, il villino in cui l'Artista vive una parte del suo tempo, con la sorella Tullia, fatto costruire assieme alla Rocchetta dal conte Mattei per ospitare celebri pazienti, che si sottoponevano all'elettroomeopatia, terapia adoperata ancor oggi diffusamente dalla medicina indiana.

Una casa d'Artista fiabesca, Romamor, che dai mobili, ai lampadari di Murano, alle ceramiche sui muri, alle vetrate, insieme allo studio, e al vasto giardino che li contiene, dipana sotto forma di serissimo gioco uno statuto zen meraviglioso e singolarissimo, mentre prendono vita "coincidenze" mirabili, a partire dal nome del villino stesso, davvero idoneo all'Artista che tra un viaggio e l'altro, tra l'India e Bali, ha eletto Roma a propria dimora e città ideale (qui Ontani abita e ha studio in quello che fu lo studio di Antonio Canova). Dunque nella mostra Luigi Ontani incontra Giorgio Morandi, CasaMondo, affiora il senso di legami, e significati, variegati e complessi, che si diramano dalla Casa Studio di Giorgio Morandi, in cui gli oggetti della famiglia convivono da Giugno ad Settembre 2015 con le nature extramorte di Ontani, alla casa di Ontani Romamor, che, nata nel solco della cultura della Rocchetta Mattei, afferma oggi l'appartenenza ad un frammento di genius loci ridivenuto sogno, immaginario, arte della meraviglia.


Alcuni stralci dal testo di Eleonora Frattarolo


Luigi Ontani, un leone dalla criniera dorata

Luigi Ontani è un leone dalla criniera dorata, definizione buddhista per colui che non ha niente di serbato e niente di sprecato.  Arriva nella Casa di Giorgio Morandi, in cui prese vita una pittura, come Ontani stesso dice, "sublime", con nature extramorte antropomorfe in ceramica, cioè oggetti e nature morte che furono rappresentati da Morandi e che ora ridivengono tridimensionali e, con una messe di molteplici varianti e invenzioni esornative-significative, permeati dal naso, dalla bocca dagli occhi di Ontani, che presiede al loro attraversamento dello spazio e del tempo. 

Il volto di Ontani, inespressivo imperturbabile metafisico, attraversa la soglia del mondo dei fenomeni e delle cose. Qui, affiora nella superficie plastica degli oggetti di Morandi e vi immette il sigillo della propria memoria (…) Così facendo, li ridefinisce come luoghi, le cui sedimentazioni attivano l'atto del rammentare, del ricordare, del rimembrare (con la mente, cuore, membra), perchè un luogo oltre che spazio è sempre anche un tempo, che segna e plasma culturalmente lo sguardo degli uomini, intridendolo di riferimenti ottici, emotivi, fisici. Gli oggetti disseminati in questa mostra, tratti da alcune rappresentazioni morandiane, sono tracciati, diretti dallo sguardo unitario del collezionista e dell'innamorato dell'arte, che li percorre come spazi, identificandoli come una cronologia di scorrimento del mondo e della propria esperienza interiore. I luoghi dell'arte sublime di Morandi diventano così i luoghi circostanziati dell'io di Ontani e del suo nutrimento, e strutturano una simbolica dell'inconscio credibile, mossa e articolata, e a dispetto della materia che li manifesta hanno una leggerezza di fondo che li muove nell'aria delle idee prime, dove si agitano come carte da giuoco in turbinio incessante (…)

Il viso, il conio del viso di Ontani, dallo sguardo atemporale, fisso e inespressivo come sempre e come in tutte le sue opere precedenti, diventa fulcro delle visioni e contrassegno delle immagini che le animano, le quali sono tutte intorno a lui, fuoriescono da lui, eppure non sono in lui fisicamente impresse, non incise in solchi, centrate in rughe, stirate in tensioni. Il volto che le ha viste, amate, ora le cataloga, denunciando solo una consapevolezza operativa, ma non aggiunge nient'altro di sé e si esprime in questa inespressività, che diventa la firma di un'esperienza oggettiva di vissuto, un pezzo individuale di mondo umano tra le cose collettive del mondo umano. Ontani ci sembra dire: "Ho visto queste cose, ve le rendo così come sono rimaste impresse, senza costrizioni concettuali ed emotive. Esse si rappresentano attraverso un codice estetico che mi appartiene e che vi è apparentemente estraneo, sono un'esperienza percettiva Zen".


In altri opere di Ontani gli oggetti compongono una topografia descrittiva, soggettiva, dei luoghi della mente oltre che dei siti da cui sono stati tradotti, e scansionano una cronologia del vissuto riconoscibile solo dall'autore e illeggibile allo sguardo altrui. Qui, invece, gli oggetti preziosi, i cimeli provenienti dall'opera di Morandi, (è questo il significato della parola greca cimeli) sono rivelatori di un amore profondo per i ritorni dell'esperienza, per gli oggetti che la sostanziano e rappresentano, e per i sensi che la sondano. Ecco che allora i barattoli di Ovomaltina e la grande caraffa, con le evidenti tracce delle pennellate di colore, indicano una genealogia dell'appartenenza alla "sublime" arte di Morandi, affiancata peraltro a un frammento di vita, i piccoli funghi, che Morandi amava tanto, e raccoglieva a Grizzana nei boschi (…) Ontani dispone la sua topografia per il piacere dell'occhio, offrendo panorami come sedativi, ma in realtà, dietro la cultura razionale dell'Occidente, rappresentata dal suo sguardo, c'è il possente residuo di miti irrazionali di morte, sacrificio, fertilità, che sopravvivono alleggeriti dal gioco e da sottrazioni ironiche e simboliche. Il fatto stesso che nelle composizioni tridimensionali di Ontani vi sia la sua testa, il suo volto, ancorché privo di sguardo, impone un rapporto di osservazione soggetto-oggetto, natura-cultura tra la rappresentazione di lui e quella delle cose che gli stanno intorno.  Il suo ritratto, impresso in ogni cosa, è un sigillo di catalogazione del conosciuto e del visto. E' uno strumento geografico, cronologico, museografico, che segna la distanza dal mondo e al contempo il suo esservi dentro. Ontani sa che l'immagine del suo volto non è lui, ma sa anche che il suo simulacro è ugualmente lui, buddhisticamente lui. Focillon scrive in un suo libro sulla cultura giapponese che lo stile non è l'eleganza pura e semplice, è qualcosa di più, un senso superiore dell'ordine, l'espressione plastica della nobiltà interiore, il ritmo regolare di una vita possente e grave. La struttura mobile dell'arte orientale con cui si suggeriscono e non si fissano le forme della vita è fatta di spazio, materia, spirito, tempo. Ontani, uomo sommamente elegante, col suo stile, le ritrova. Guarda prima con la mente, poi con gli occhi e infine con il corpo e con gli arti.

Una massima zen dice: "Se vuoi vedere guarda subito, se inizi a pensare il cuore della questione ti è già sfuggito". Questo sembrano dirci le otticamente sconcertanti figurazioni di Ontani, im-mediate, senza mediazioni, pur nel riferimento a un elaborato esistente che è un prodotto della storia delle immagini. E' una lezione orientale, ma è anche la reazione di un bimbo all'indagine di un adulto o l'impulso del corpo rispetto alla pianificazione mentale. E' anche gioco, movimento dell'inconscio che aziona il sentimento del ritorno allo stato di bambino.

Consacrazione rituale e ricreazione ludica: sono i due temi principali della ricerca figurativa di Ontani. Sono la tensione e il rilassamento, l'apertura e la chiusura, l'espansione e la contrazione, la concentrazione e la distrazione del battito cardiaco buddhista. Il principio di opposizione fra l'uomo e il mondo, che segna l'accanimento dell'Occidente all'interno della vita, non esiste più, abolito dal fluire dell'intuito e dell'istinto provenienti dall'inconscio. Il mondo ora è una proiezione del sé, siamo noi.


Mostra promossa dal
Comune di Grizzana Morandi e dall'Unione dei Comuni dell'Appennino bolognese

con il Patrocinio di:
Regione Emilia Romagna
Accademia di Belle Arti di Bologna

Direzione artistica: Eleonora Frattarolo
Grafica e fotografia catalogo e mostra: Luciano Leonotti/Trasguardo
Video Luigi Ontani. CasaMondo: Massimiliano Galliani

Catalogo a cura di Eleonora Frattarolo
Danilo Montanari Editore
Collaborazione alla ricerca, ai testi, alla bibliografia: Ranieri Frattarolo
con un testo di Alberto Marchesini

FESTA MAMMA WeWorld: MOTHERS foto di Fabio Lovino


6-16 MAGGIO – STAZIONE CENTRALE – MILANO
16 MAGGIO -  CAMERA DEI DEPUTATI – ROMA

Le Mamme dei progetti di WeWorld grazie agli scatti del fotografo Fabio Lovino arrivano a Milano e Roma per sensibilizzare sui diritti delle Mamme e ricordare che ognuna di loro è (anche) una Donna.

WeWorld a seguito del terribile terremoto che ha colpito il Nepal ha deciso di dedicare la mostra fotografica a tutti i bambini e le donne che in Nepal stanno soffrendo e hanno bisogno di aiuto.

"Mothers. L'Amore che cambia il Mondo" è il progetto fotografico che WeWorld ha realizzato insieme al fotografo di fama internazionale Fabio Lovino all'interno della campagna di sensibilizzazione "Mia Mamma è (anche) una Donna" per difendere i diritti delle madri in Italia e nel Sud del Mondo.

Mothers, scenografica mostra di foto a cielo aperto, curata da Roberta de Fabritiis, inaugura il 6 maggio alla Stazione Centrale di Milano. Il progetto, che sarà presentato lunedì 11 maggio alla Camera dei Deputati, si avvale dei prestigiosi Patrocini di Senato della Repubblica, Camera dei Deputati, Città Metropolitana e Women for Expo, e si svolge grazie al prezioso contributo di Ferrovie dello Stato Italiane, Grandi Stazioni, Ubi Banca e Canon. Media Partner: Corriere della Sera, 27esimaOra e IO Donna.

"Mothers. L'Amore che cambia il Mondo" racconta la necessità di puntare i riflettori su un tema "naturale" come la maternità, su cui ancora oggi, però, dal Nord dal Sud del Mondo, permangono ancora troppe zone d'ombra. Molti, troppi i diritti che non sono garantiti alle mamme e ai loro bambini.

Per raccontare le mamme – e le donne - dei progetti di WeWorld- Fabio Lovino ha viaggiato per un anno intero nei Paesi dove interveniamo per aiutarci a dare voce ai diritti di queste donne attraverso le immagini. Da Palermo a Torino, passando per Napoli, dal Benin al Nepal, dalla Cambogia al Brasile queste immagini ci raccontano una storia comune fatta di coraggio, conquiste e amore quotidiani. Attraverso ritratti e interviste intime il racconto delle storie di queste protagoniste parla di un quotidiano che va oltre l'immediatamente visibile.

«Le ragazze, le donne, che incontriamo nei nostri progetti - spiega Anna Maria Fellegara, Vicepresidente di WeWorld - sono sempre il perno sul quale poggiano le famiglie e le comunità: si occupano soprattutto dei figli, ma anche della gestione della casa e del lavoro. Troppo spesso, però, esse non sono consapevoli della loro fondamentale rilevanza e le condizioni di disagio, povertà e abbandono in cui si trovano  a vivere le rendono vittime di regole sociali emarginanti, nel Sud del Mondo e – con le dovute differenze – anche in Italia. Siamo convinti che l'inserimento attivo nella comunità di riferimento w la consapevolezza sociale delle madri sortiscano effetti positivi anche sui bambini. La nostra esperienza ci dice che è così! Gli effetti - costantemente monitorati e misurati nei nostri progetti di cooperazione - lo dimostrano. WeWorld lavora ogni giorno a fianco di queste donne, supportandole nelle sfide quotidiane, aiutandole a riscattarsi e a iniziare il percorso per diventare consapevoli dei loro diritti".

Per capire quali sono davvero i problemi e le difficoltà, ma anche le gioie e i riscatti quotidiani siamo andati ad incontrare donne e madri del mondo. Le abbiamo accompagnate al lavoro, siamo entrati nelle loro case, le abbiamo viste nei campi. Insieme a noi Fabio Lovino, fotografo di fama internazionale, ci ha aiutato a raccontare le loro storie attraverso il suo sguardo attento e sensibile,  capace di cogliere il senso di questa ricerca.

"Ho cercato di approcciarmi a questo progetto,  a questo lungo viaggio nel mondo con WeWorld, senza retorica in modo puro quasi con gli occhi di un bambino che per la prima volta vede una cosa nuova, oscurando per un periodo  nella mia memoria  tutto ciò che so o che ho già visto su questi 5 paesi: Italia Benin Cambogia Nepal e Brasile". Ha raccontato Fabio Lovino – "Un viaggio non turistico, un viaggio  antropologico, sociale ed empatico durato un anno. E' stato un anno intenso doloroso, gioioso, faticoso, per uno straordinario confronto  con persone distanti per miglia, ma cosi vicine a noi, fondendo pensieri e culture. Un viaggio indimenticabile"

Il nostro viaggio insieme a Fabio Lovino si ferma alla Stazione Centrale di Milano, dove gli scatti, che saranno raccolti anche in un libro fotografico ad edizione limitata, daranno vita a una mostra allestita negli spazi di uno dei crocevia più importanti d'Europa. Per valorizzare al meglio la forza di queste immagini, Canon ha messo a disposizione ottiche e corpi macchina, tra cui due fotocamere Canon EOS 5D MARK III ed una tra le sue più innovative tecnologie di stampa: Océ Arizona 360. 

Questa soluzione è in grado di stampare in tutti i tipi di formati e su qualunque supporto, e ha permesso di ottenere la massima resa dalle fotografie scelte.

Alcuni degli scatti di Mothers. L'Amore che cambia il Mondo si potranno ammirare dal 4 al 10 maggio anche a bordo dei Frecciarossa di Trenitalia e nei FrecciaClub di Roma e Milano, con l'obiettivo di coinvolgere i viaggiatori nella tutela dei diritti delle donne e delle mamme. Inoltre, le locandine dell'iniziativa saranno esposte anche nelle biglietterie e bacheche di stazione della rete del Trasporto Regionale di Trenitalia.

L'ultimo appuntamento con Mothers sarà ancora una volta a Montecitorio dove, in occasione della Notte dei Musei, giovedì 16 maggio sarà allestita una selezione della mostra, aperta al pubblico dalle ore 20.00 alle 02.00.

Mothers, oltre agli scatti d'autore, è anche un documentario – firmato sempre da Fabio Lovino - che dà voce a chi non ne ha.  Mothers  racconta  donne forti che hanno in comune una grande volontà e un enorme coraggio per cercare di superare le situazioni difficili in cui sono immerse. Le protagoniste del progetto sono donne inizialmente silenziose ma desiderose, alla fine, di raccontare le proprie storie.

Mothers fa parte della campagna di sensibilizzazione di WeWorld "Mia Mamma è (anche) una Donna", nata nel 2013 quando WeWorld chiede ai bambini a rischio di abbandono scolastico in Italia chi sono le loro mamme, cosa desiderano, cosa amano e cosa le rende tristi. Dalle loro risposte nasce questa campagna che ha l'obiettivo di indagare il mondo delle mamme passando attraverso le parole dei bambini. 

Tra il 2014 e il 2015 il progetto si allarga e abbraccia Kenya, Benin, Tanzania, Nepal, Cambogia e Brasile per elaborare il rapporto – presentato alla Camera dei Deputati insieme al libro - che esplora il mondo delle mamme nei Paesi del Sud del Mondo e in Italia, inserendo anche una cornice di approfondimento alle parole dei bambini per avere un'immagine più completa di quali sono i problemi, le sfide e le gioie che dal Nord al Sud del Mondo caratterizzano l'essere mamma oggi.  Per definire con estrema chiarezza quali sono i diritti delle mamme che ancora oggi necessitano di essere tutelati, in ogni parte del Mondo. 

"Vorrei che potesse non spazzare la casa per un giorno", "Vorrei che avesse il diritto di scegliere cosa vuole dalla vita" "Mia Mamma va dal medico solo quando è incinta", "mia mamma non ha potuto studiare, i suoi genitori hanno preferito educare suo fratello". 

Queste sono solo alcune delle risposte che ci hanno dato i bambini quando abbiamo chiesto loro di parlarci delle loro madri. I racconti parlano di madri in difficoltà, di donne private dei diritti fondamentali, in Italia come nel Sud del Mondo. 

Le storie raccontate nella mostra e nel libro fotografico sono storie di donne, di madri, troppo spesso costrette al silenzio, convinte che nessuno vorrà ascoltare la loro voce. 

Abbiamo scelto di intraprendere questo progetto per restituire loro la parola, per poter essere ogni giorno al loro fianco, anche grazie all'aiuto di chi, dopo aver letto le loro storie, sceglierà di sostenere insieme a noi questa  battaglia. 

WeWorld a seguito del terribile terremoto che ha colpito il Nepal ha deciso di dedicare la mostra fotografica "Mothers. L'Amore che cambia il Mondo" a tutti i bambini e le donne che in Nepal stanno soffrendo e hanno bisogno di aiuto. 

Per Aiutarci puoi donare dal sito www.weworld.it o chiamando l'848.88.33.88

"Mothers. L'Amore che cambia il Mondo"

MILANO, STAZIONE CENTRALE dal 6 al 16 maggio 2015
ROMA, CAMERA DEI DEPUTATI 16 maggio 2015

Patrocinii
Camera dei Deputati, Senato della Repubblica, Women for Expo
Partner
Ferrovie dello Stato Italiane, Grandi Stazioni, UBI Banca, Canon
Media Partner
Corriere della Sera, 27esimaOra, IO Donna


WEWorld
Crediamo che per migliorare la vita di un bambino sia necessario al tempo stesso cambiare le condizioni di vita di una donna.
WeWorld è un'organizzazione non governativa italiana di cooperazione allo sviluppo, indipendente riconosciuta dal Ministero degli Affari Esteri. WeWorld è presente in Italia, Asia, Africa e America Latina a supporto dell'infanzia, delle donne e delle comunità locali nella lotta alla povertà e alle disuguaglianze per uno sviluppo sostenibile.
I bambini e le donne sono i protagonisti dei progetti e delle campagne di WeWorld Grazie alle donazioni di 40 mila sostenitori, sono oltre 800 mila i beneficiari diretti e indiretti dei progetti di WeWorld nel Mondo.

MISSION
WeWorld promuove e difende i diritti dei bambini e delle donne in Italia e nel Mondo.
WeWorld aiuta in modo concreto i bambini, le donne e le loro comunità favorendo il cambiamento e l'inclusione sociale.
VISION
I diritti di ogni bambino e di ogni donna riconosciuti e garantiti in tutto il Mondo.

IL LAVORO CON LE MADRI
Per WeWorld il lavoro con le madri è un caposaldo delle attività progettuali, perché sono proprio loro che in ambito familiare sostengono i bambini, a volte l'intera famiglia. Il lavoro fatto con le madri nasce con l'obiettivo di favorire percorsi di emancipazione culturale, economica e di acquisizione di diritti. Nel momento in cui, queste donne, acquisiscono un reddito e consapevolezza della propria dignità, hanno maggiori possibilità negoziali con i mariti per non mandare i figli per strada, ma a scuola! 

Il lavoro integrato sul bambino e sul nucleo famigliare è un grosso punto di forza dei progetti di WeWorld

In Italia e nel Sud del Mondo i progetti includono anche attività rivolte esclusivamente alle madri

Positive esperienze precedenti, infatti, hanno evidenziato che per essere efficace nei confronti dell'infanzia, l'azione deve essere rivolta anche all'ambiente più vicino al bambino. È quindi sulle mamme che viene posta l'attenzione, indagandone i bisogni per realizzare azioni che le coinvolgano in un percorso di acquisizione di una maggior autonomia. 

Autonomia che nei vari contesti e Paesi dove interveniamo si traduce in azione differenti: di socializzazione, di integrazione, di affermazione economica e di autostima.

Mostra: La quarta dimensione nella fotografia di Mario Giacomelli e Mario Vespasiani

IDILL'IO n° 12

LA QUARTA DIMENSIONE NELLA FOTOGRAFIA DI MARIO GIACOMELLI E MARIO VESPASIANI

INAUGURAZIONE Sabato 9 maggio 2015 ore 18



IDILL'IO la galleria di Pio Monti a Recanati è lieta di presentare LA QUARTA DIMENSIONE nella fotografia di Mario Giacomelli e Mario Vespasiani. La Quarta Dimensione per Mario Vespasiani è l'affinità con alcuni maestri dell'arte italiana, presenti in vari momenti della sua ricerca. 

Il suo non vuole essere un "omaggio" ma un dialogo diretto e rispettoso portato avanti da diversi anni con una piccola dose di audacia. Dopo Lorenzo Lotto, Osvaldo Licini e Mario Schifano è la volta di Mario Giacomelli, il grande fotografo che meglio di chiunque altro ha saputo raccontare con una sensibilità descrittiva ricca di sublime poesia, il paesaggio leopardiano e i temi del nostro vivere come l'amore. 

Le immagini di Mario Vespasiani sono tratte dalla serie Mara as Muse dove la sua donna è ritratta come icona di bellezza a contatto con la natura fino a perdere il senso della carne. S'instaura tra le opere dei due autori, entrambi marchigiani, un dialogo di forte impatto emotivo dove "la buona terra" delle Marche si esprime nelle ossa, nella pelle, nei capelli di corpi come scenari di esperienza in cui l'essenza vitale è immutabile ed eterna. I loro sguardi fissano attimi di estrema interiorità rivelata dal senso astratto del bianco e nero, per restituirci momenti di poesia da contemplare in tutti i suoi aspetti.


La quarta dimensione nella fotografia di Mario Giacomelli e Mario Vespasiani
a cura di Nikla Cingolani


Dal 9 maggio al 17 giugno 2015
IDILL'IO Arte contemporanea
Piazza Giacomo Leopardi 15
Recanati MC

Info: idillio11@gmail.com / tel. +39.339.8777521



La quarta dimensione nella fotografia di Mario Giacomelli e Mario Vespasiani
Intervista di Nikla Cingolani a Mario Vespasiani, aprile 2015


Iniziamo con la domanda che dà origine al titolo, spiegaci il concetto di Quarta dimensione:
La quarta dimensione se dal lato espositivo racchiude il mio senso di vicinanza ad alcuni grandi maestri dell'arte italiana, particolarmente presenti in determinati momenti della mia ricerca, dal lato concettuale rappresenta una rinnovata consapevolezza, un tipo di coscienza che mi porta a vivere le opere, ben oltre il normale fluire di spazio-tempo. La quarta dimensione è un moto che unisce anima e corpo a guardare gli eventi sotto la luce dell'eternità, in quanto ciascuno di noi è orientato da una dimensione spirituale a cui spesso non diamo peso, rimanendo limitato ad osservare le sole cose conosciute.
Alcune persone con il loro intuito, con il loro talento hanno saputo imprimere al presente un'impronta talmente profonda da ampliare la nostra percezione del reale che sembra aumentare di intensità, fino a consegnarci un mondo ancora più ricco di elementi da cogliere.

Hai iniziato questi dialoghi appena trentenne con dei maestri assoluti dell'arte da Lorenzo Lotto ad Osvaldo Licini, da Mario Schifano ed ora ti vedi di fronte l'altro grande Mario che è Giacomelli, come nasce questa necessità, piuttosto anomala per un artista così giovane?
Credo di aver intrapreso fin dall'inizio un percorso indipendente ed estraneo alle varie tendenze, ciò che mi preoccupa di più è l'essere fedele al mio impegno quotidiano più che a quello che fanno gli altri. Tuttavia per ciascuno di noi italiani la presenza della storia dell'arte si riscontra in ogni istante della vita quotidiana e con questa dobbiamo fare i conti. Il fatto è che come per la politica, la generazione dei nostri padri (nel senso artistico) ha avuto "poca presa" sulla nostra e così siamo chiamati ricucire la trama interrotta con gli ultimi giganti a disposizione, ossia direttamente coi nostri nonni, che invece erano sul campo in prima linea. Forse per questo il richiamo al passato, più che ad autori in vita, per caricarmi di quella forza indomita, meno soggetta al mercato, capace di innovare e di parlare con voce nuova.
Di fronte ogni maestro rimane sempre un profondo senso di rispetto e conoscenza, da qui la scelta di un determinato autore anziché un altro, ma c'è anche una piccola dosa di spavalderia, nel non aver timore nel provare a rivolgermi in prima persona come se fosse (e lo è) lì in piedi davanti a me.

Dopo le importanti mostre sulla pittura questa è la prima in cui ti poni in dialogo con la fotografia:
Ho impiegato tutto il 2014 ad approfondire il medium fotografico e dunque ricevere l'invito di Pio Monti e tuo per questa mostra mi onora. Se all'inizio non mi sembrava scontato riuscire a trasmettere quel sapore pittorico che avevo in mente ad un certo immaginario fotografico che, specie quando tocca il tema trattato, ossia la femminilità, cede spesso al glamour o allo scontato, riguardando tutta la serie sono convinto del risultato come di aver portato un messaggio importante, che ci inviata a guardare la persona che ci è di fianco, con quella dose di stupore, tale da farcela sembrare sempre diversa, concreta quanto imprendibile come una nuvola.
Presenterò delle immagini della serie Mara as Muse, nelle quali ho ritratto la mia consorte in svariate situazioni, tali e inaspettate da farci considerare entrambi gli autori degli scatti.
Ho voluto dedicarmi interamente a questo tema (così poco sentito dagli artisti contemporanei) semplicemente perché lo sperimento tutti i giorni.

Arriviamo a Mario Giacomelli, cosa ti ha spinto ad avvicinare la tua ricerca alle sue fotografie?
Quando mi avvicino ad un artista, cerco un confronto non solo con le sue opere ma anche con le sue idee. In tutte le mostre precedenti ho raccolto questo cavo sommerso che mi porta da qui all'invisibile. Ho preso lo scatto da puma da Schifano, l'indole lirico-eretica da Licini, l'equilibrio tonale e psicologico da Lotto e in Giacomelli sento comune l'attaccamento al nostro territorio e ai volti contrastati che lo popolano.
Come ho cercato di fare io, lui quando fotografava faceva davvero poesia, con una tale presa sulla realtà che coglieva quello che altri, che magari scattavano vicino a lui, non sapevano vedere e così ci ha restituito i segni e le geometrie che reggono le rughe di un volto o di un campo nelle varie stagioni. Con Mara ho cercato di rendere quello stesso stupore, come fosse una rosa davanti i miei occhi, non solo nell'istante della fioritura ma nell'intero arco temporale di un più ampio racconto, nel quale è necessario essere vigili per apprezzarne i mutamenti inattesi.

Ho colto che nelle immagini di entrambi, oltre alla costante del bianconero, emerge una sensazione che va oltre il tempo in cui quelle immagini sono state scattate:
La quarta dimensione nella ricerca di Giacomelli è proprio questa: sta nella sua consapevolezza di saper fissare il tempo in un linguaggio che si fa traccia, necessità, soffio vitale. Lo sfocato, i grigi, i neri saturi, non fanno altro che dissolvere la materia dentro l'aspetto spirituale della vita. Portava alla luce resti di generazioni scomparse, di antichi rituali e di profonda empatia per le persone che aveva di fronte. Nelle mie foto ho seguito lo stesso percorso, ma sempre rivolto ad un unico soggetto, che può apparire come lo specchio delle mie intenzioni. Ho cercato in Mara tracce di me stesso, i segni della mia cultura, le forme dei miei luoghi.
Noi siamo circondati da simboli che non sappiamo più decifrare semplicemente perché non ci concediamo loro e se non sappiamo amarli, non si svelano. Ho scelto un solo soggetto per questo, per non distrarre il mio calore ma per disperderlo a piene mani verso una sola direzione che tuttavia include tutte le altre.
Ho cercato di nascondere tutte le cose che mi circondano, nel posto dove potevano essere più in mostra.

Voi Mario in un certo senso ricorrete, se pur con modalità distinte, verso una tendenza all'astrazione:
Nelle mie immagini l'astrazione è presente a livello di equilibrio tra primo piano e sfondo, in modo che le singole parti siano espressione di un tutto. Penso che alla fine sia il mio proprio atteggiamo mentale, per fare in modo di avvicinarmi il più possibile al reale senza trascurare i dettagli. In Giacomelli è anche una componente (in)formale delle sue immagini. In entrambi è una questione di respiro, rincorriamo ciò che ci toglie il fiato, è come se provassimo a baciare quello che stiamo fotografando.
Siamo due grandi osservatori e riversiamo al nostro interno il vissuto, per rivelarlo in un continuo fluire. Due autori aperti alla meraviglia, di fronte ad un universo sconosciuto che un po' alla volta si dipana. Tracciamo dei segni, delle orme, delle visioni di luce che ci mettono in comunicazione sia con le altre persone che con ciò che risulta impercettibile e immateriale.

Pur mantenendo ciascuno una identità specifica nei vari temi trattati:
Ognuno documenta il proprio mondo nella maniera più propria e personale, per tale motivo non si tratta mai di ripercorrere gli stessi temi, infatti le mie mostre non hanno mai avuto a che fare con gli "omaggi" verso i determinati autori coinvolti, quanto nell'avvicinarsi ad ognuno di essi, per una sensazione di appartenenza che supera le epoche, le tecniche e le diverse vicissitudini personali. In Giacomelli ho colto questa sua necessità di abbracciare il tempo e così attraversandolo, ce lo restituisce sotto forma di un codice intimo, a cui ha saputo aggiungere la vitalità di una libertà creativa, abile sia a rinnovare il significato che a porre nuove domande.
Facciamo entrambi riferimento quella condizione ciclica del poeta, di colui che sa risvegliare, in un mondo occupato da mille impegni e impellenze, la memoria collettiva, le presenze invisibili senza per questo distanziarci dal vero.

Mi sembra chiaro che strada intrapresa passi anche nell'aspetto geografico degli stessi luoghi:
Forse è una condizione da non sottovalutare quella del territorio dove hanno preso forma le nostre immagini. Siamo marchigiani e la nostra regione si manifesta senza dubbio nei suoi abitanti, in quel particolare senso di appartenenza che a volte trasale in maniera polemica o appassionata, altre con rabbia o per infinito amore, ma che comunque s'imprime sulla fantasia e su una certa follia visionaria e sentimentale. Le Marche emanano un forte temperamento contraddittorio, sensuale e allo stesso tempo religioso, concreto ed umile, selvaggio e indipendente. Sarà per la conformazione del territorio o per un modo di fare sedimentato da secoli, ma sembra che ognuno di noi scelga di vivere nel suo eremo giusto per non essere distratto e per rimanere nel suo intimo in contatto con l'universo o con le presenze fantastiche e sacre che lo attraversano ancora.

Si tratta di una tendenza necessaria all'isolamento creativo?
Non penso si possa parlare di un modo di fare teso alla solitudine quanto alla contemplazione, all'attesa operosa e all'ascolto rispettoso.
A mio avviso i tratti salienti delle Marche sono ben marcati, rispetto alle altre regioni, in molti dei suoi figli. L'artista marchigiano indossa non di rado la veste di sciamano e dialoga con la luna e coi fantasmi, con gli antenati sepolti, con le Muse e con la brillantezza seducente del nostro Adriatico. Nomade ed eccentrico, spirituale e tuttavia carnale, stanziale e instancabile, l'artista che vive questi luoghi è un'esplosione continua, una rivelazione dopo l'altra.

Vale a dire che è la natura del territorio a generare nell'autore l'energia espressiva?

In ogni momento possiamo verificare le tracce lasciate dagli uomini nelle forme morbide del paesaggio che le ha accolte e dunque siamo chiamati ad interpretare non solo quei segni ma anche tutta l'energia sotterranea che ci appartiene dalla nascita. Un'energia che dalla natura passa all'uomo e che dall'individuale diventa universale, mettendoci in comunicazione con forme lontane nella memoria ma presenti, nei gesti rituali fino alle parole nuove.
In un certo senso credo che si possa definire il nostro carattere entro la categoria del Classico, inteso non tanto come malinconico sguardo al passato, bensì come vitalità che si rinnova su più fronti temporali, come ispirazione continua nell'offrire un'impalcatura formale dalla quale modulare la coscienza. Classico come senza tempo.

E qui ritorniamo al tema delle mie fotografie, dove vale lo stesso discorso: a differenza di una modella, la Musa è un classico, nel senso in cui lo intendeva Calvino che, a proposito della letteratura, diceva che classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire. 
E così come le Muse vorrei che queste foto fossero l'emanazione che fa di ogni sguardo una scoperta. Immagini antichissime eppure nuove, archetipiche eppure viste per la prima volta.

domenica 3 maggio 2015

Sapori, colori e culture. Esposizione d’Arte Contemporanea. Galleria Spazio Museale Sabrina Falzone. Milano, dal 9 al 19 maggio 2015


 Sapori, colori e culture

Esposizione d'Arte Contemporanea

Dal 9 al 19 maggio 2015

Vernissage giovedì 9 maggio ore 18


Artisti: 
Alfredo B. Fazio, 
Bruno Carati, 
Corrado Luglio, 
Giovanna Magugliani,  
Antonietta Righi, 
Georgeta Stefanescu e TheCrazyart



In occasione dell'EXPO a Milano la Galleria Sabrina Falzone presenterà dal 9 maggio l'esposizione d'arte contemporanea intitolata "Sapori, colori e culture" in linea con il tema ufficiale dell'Expo Universale "Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita". 

Questa scelta vuole trattare delle tecnologie, dell'innovazione, della cultura, delle tradizioni e della creatività legati al settore dell'alimentazione e del cibo.

Il progetto espositivo parte dalle tematiche del cibo per analizzare le differenze culturali con l'obbiettivo di favorire significativamente i ponti di comunicazione tra le diverse culture del mondo. 

Sul tema dell'alimentazione, del colore e delle culture indagheranno sei artisti contemporanei, che  esporranno per l'occasione nella galleria milanese: Alfredo B. Fazio, Bruno Carati, Corrado Luglio, Giovanna Magugliani, Antonietta Righi e Georgeta Stefanescu.

Le novità stilistiche delle ricerche creative di Georgeta Stefanescu valorizzeranno il percorso espositivo, conferendo un tocco di stravaganza esecutiva alla mostra. 

Un temperamento originale, come quello del maestro Bruno Carati, darà, invece, una nota di fusione tra passato e presente grazie all'esposizione di particolari dipinti su cartone.

Nel brio della luce e della tradizione culturale mediterranea s'inseriscono i dipinti realizzati da Antonietta Righi da Procida, affermata pittrice isolana, che ha al suo attivo numerosi successi di pubblico e critica. 
 
La mostra annovera anche l'autorevole nome di Alfredo B.Fazio, particolarmente disinvolto nell'impiego di olio e smalti su tela.

Durante la visita lo spettatore si imbatterà persino in una coinvolgente "Estasi del peperoncino" dipinta da Giovanna Magugliani e nell'enigmatico "Cubo di Vermeer", magistrale opera di equilibrio tra trasparenze, riflessi ed esigenze formali.

Il gruppo TheCrazyart, composto da sei donne (Alessandra Fontana, Sabina Lanzilotto, Susanna Moroli, Claudia Pompilj, Giorgia Rissone, Paola Virone) pone, invece, una significativa riflessione sul valore dell'amicizia attraverso la proposta dell'opera intitolata "Il gusto dell'amicizia".

Una novità assoluta è rappresentata dalla presenza dell'artista Corrado Luglio, il quale esporrà alcune opere inedite, nate ed eseguite appositamente per il progetto espositivo "Sapori, colori e culture". 

E' un evento da non perdere.


Galleria Spazio Museale Sabrina Falzone
Via Giorgio Pallavicino 29
20145 Milano - Italy
Orari di apertura: mart-ven h.16-19; sabato h.10-12
Chiuso lunedì e festivi
Ingresso gratuito

venerdì 1 maggio 2015

'Io danzo, tu vedi' Emanuela Sforza | L'ARIETE artecontemporanea


L' A R I E T E  a r t e c o n t e m p o r a n e a

 
 
 
Io danzo, tu vedi

E M A N U E L A   S F O R Z A

fotografie | a cura di MIRTA CARROLI

opening martedi 5 maggio 2015 ore17.30 | via d'azeglio 42 bologna

sara' presente  LUCIANA SAVIGNANO

dal 5 al 28 maggio 2015|Info 348 9870574|lun giov ven sab 15.30 19.30 mar merc 15.30 17.30

Evento ideato e promosso con

Club di Bologna


In mostra una selezione di immagini in bianco e nero di Emanuela Sforza che dal 1976 ad oggi ha fotografato grandi étoiles internazionali come Luciana Savignano, Paolo Bortoluzzi, Carolyn Carlson, Rudolf Nureyev, Carla Fracci, Marga Nativo, Jorge Donn, Daniel Lommel, Marcia Haydée, Antonio Gades. A Emanuela Sforza. divenuta protagonista della fotografia di danza, Maurice Béjart, ballerino e coreografo, dedichera' parole emblematiche della sua ricerca 'Io danzo, tu vedi'. La sua prima grande mostra, 'Cinderella' con Luciana Savignano e Paolo Bortoluzzi, interprete e coreografo, venne allestita nel Ridotto dei palchi del Teatro alla Scala, nel 1977 nella ricorrenza del Bicentenario del teatro.

Ospite d'onore all'inaugurazione della mostra, ideata e promossa con Soroptimist International Club di Bologna, la grande danzatrice Luciana Savignano

Scrive MIRTA CARROLI nel testo introduttivo alla mostra 'Per Emanuela Sforza la fotografia e' un 'atto d'amore', per lei fotografare la danza e' cogliere l'essenza, la perfezione formale dell'azione, la comunicazione, e' esternare il suo amore per l'arte e per chi la crea. La danza nasce da questo bisogno di dire l'indicibile, di conoscere l'ignoto, di essere in rapporto con l'altro ... Il suo obiettivo privilegia e scruta a fondo la fase di costruzione del balletto per individuare lo spazio creativo dell'artista teso ad ottenere dal gesto e dal movimento il massimo della resa spettacolare. Penetra profondamente in ogni espressione, quasi a 'bloccare' la figura nel momento preciso in cui modella il movimento ... Sono rigorosamente in bianco e nero le fotografie che si potranno ammirare nella mostra 'Io danzo, tu vedi' presso la Galleria L'Ariete di Bologna. Il 'suo' bianco e nero e' fortemente contrastato, con numerosissimi passaggi di gradazioni e di toni, che modulano le figure ed accentuano la plasticita' ed il movimento. La qualita' delle fotografie va anche ricercata nell'uso di diverse macchine fotografiche analogiche e dei relativi obiettivi per ottenere uno scatto perfetto. Senza dimenticare le lunghe ore trascorse da Emanuela nella camera oscura, vestale di quella fase importantissima dello sviluppo dei negativi e della stampa delle immagini fotografiche nell'acido delle bacinelle, in attesa del formarsi del bianco e nero perfetto ... Una grande cura la sua, che dalla tecnica rimbalza prontamente ai contenuti, le sue immagini non ci rendono il gesto cristallizzato nella sua perfezione formale, ma colgono l'essenza della danza.

EMANUELA SFORZA nasce a Serra de' Conti in provincia di Ancona. La sua passione per il teatro la spinge a frequentarlo assiduamente come attenta testimone della vita del palcoscenico. Il suo obiettivo si posa sui grandi danzatori per fissarne la perfezione dei movimenti ma anche per coglierne il palpito profondo e risalire all'origine del momento creativo. Ha al suo attivo oltre cento mostre in ambito nazionale ed internazionale con numerosi riconoscimenti, pubblicazioni e premi. Tra le più importanti si ricordano quelle presso il Teatro alla Scala di Milano, a Palazzo Re Enzo di Bologna, all'Istituto di Cultura Italiana di Stoccarda, al Teatro dell'Opera del Reno di Duisburg, al Festival Photographique du Trégor in Bretagna e a Toronto in Canada. Collabora con la RAI per la rassegna 'Nati per la Danza'. Nel 2006 contribuisce alla realizzazione per la Camera dei Deputati di un volume celebrativo dei sessanta anni del diritto di voto alle donne. Vince nel 1986 il Premio Positano per la fotografia di danza e nel 1994 il Premio Soroptimist Club di Venezia per l'attività fotografica.


Mostra di Sirio Bertani al Teatro Comunale San Teodoro di Cantù





SIRIO BERTANI
Blu Pesca

a cura di Elisa Fusi


Inaugurazione: 10 maggio, ore 19
In mostra: 10 < 31 maggio 2015
Teatro San Teodoro, via Corbetta 7, Cantù


Domenica 10 maggio il Teatro San Teodoro di Cantù inaugura la prima personale di Sirio Bertani, Blu Pesca, a cura di Elisa Fusi. 

Con un allestimento site-specific, l'artista espone dei lavori inediti creati per l'occasione, tra cui dieci incisioni, un'installazione di disegni e serigrafie e un'opera di grandi dimensioni situata sul palco del Teatro.

Con una pittura gestuale ed espressionista, Bertani ricerca l'antiestetico stravolgendo le forme e le fisionomie, marcando i contorni e infiammando i colori. 

Sono opere concettuali più che narrative, che nascono direttamente dall'inconscio, da una visione interiore trasognata e lontana dal reale.

Le figure perdono la loro identità e si svuotano dell'anatomia per fondersi col paesaggio.
Lo scenario di sfondo, che nelle linee corrisponde a quello delle incisioni, risulta un mare metafisico senza connotazioni, uno spazio mentale di approdo e rifugio. 

Le incisioni, rispetto alle grandi mappe pittoriche, ricercano un'essenzialità minimalista: in pochi centimetri si concentrano dei paesaggi tracciati da linee scarne e asciutte, prodotte da una visione sintetica ed evocativa.

A queste opere si aggiungono i disegni, nei quali risulta maggiormente evidente il tratto grezzo e violento dell'artista, che risente dei modi della street art. 

Su questi fogli si distinguono, tra i grovigli della matita, le incarnazioni di un immaginario sotterraneo e oscuro, popolato da anatomie zoomorfe, personaggi mutili e demoni. 
Di sicuro impatto emotivo.

 
Biografia:

Sirio Bertani nasce ad Asola (MN) nel 1988. Vive e lavora a Seveso.
Esegue i primi disegni su muro nei pressi della cucina di casa Bertani per poi approfondire la propria passione per l'arte al liceo artistico Modigliani di Giussano. Frequenta attualmente il biennio specialistico di pittura all'Accademia di Brera. 

Fa parte da diversi anni di un collettivo artistico che ha esposto in numerose mostre nazionali  internazionali. Questa occasione rappresenta la sua prima mostra personale come Sirio Bertani.


Sirio Bertani // Blu Pesca
a cura di Elisa Fusi

Inaugurazione: domenica 10 maggio 2015 ore 19

In mostra: fino al 31 maggio 2015
Teatro San Teodoro di Cantù (Co), via Corbetta 7

Orari: la mostra è visitabile negli orari di apertura della biglietteria, in presenza di spettacoli teatrali e durante gli aperitivi della domenica.

Ingresso libero.

  1.  
Per maggiori informazioni:  
347 8086566.

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