A cura
Takeawaygallery
Testo critico di Massimo Bignardi
Presentazione Barbara Martusciello
Vernissage
giovedì 4 aprile 2019 ore 19.00
Una
ricerca fotografica orientata a favorire “l’idea del vedere fine a se stesso”,
persiste nelle esperienza in corso o, almeno, si dà come linea preminente. È
quanto segnalava, già dagli anni settanta, Susan Sontang riflettendo sulla
fotografia, estendendo l’analisi al rapporto tra realtà e immagine nella
società contemporanea, come chiarisce il sottotitolo, del suo ben noto saggio Sulla fotografia. Tale rilievo investe
un concetto più ampio, toccando aspetti che chiamano in causa l’esercizio del
vedere, alla luce oggi del ruolo che le immagini hanno nei sistemi della
comunicazione, alla capacità che esse mostrano nel rapido e perentorio
rinnovarsi delle tecnologie digitali. Eppure quella che genericamente è
indicata come fotografia ‘artistica’ ha fatto maggiore presa da quando si è
passati dall’analogico al digitale, aprendo lo sguardo ad un ventaglio di
esperienze che hanno risposto a quanto affermava Alfred Stieglitz: “La
fotografia è la mia passione, la ricerca della verità la mia ossessione”.
Tale esercizio della fotografia connota il registro che tiene
insieme i diversi momenti, dettati dalle esperienze condotte in questi anni da
Aurora Maletik. Esse seguono un fil rouge
narrativo, teso tra il paesaggio, dalla Maletik non riconosciuto come scena,
bensì luogo di un dialogo corale con la natura che incornicia Matera con le sue
tufacee architetture, fatte affiorate dalla Gravina e la costruzione di
un’immagine che si presta a varcare la soglia della visione percettiva del
reale e spingersi oltre, in un reale che non può essere condiviso. Uno specchio
messo su da Aurora Maletik con cura, disposto, come lei stessa fa intendere dal
titolo dato a questa mostra, ove le strade si separano, ossia al bivio. La
fotografia si fa specchio e le sovrapposizioni, i costruiti giochi di riflessi
intrecciati tra loro, gli sguardi che si allungano sul paesaggio, dichiarano la
necessità di Aurora di riconoscere una dimensione interiore, obbligando,
avrebbe detto Barthes, lo spettatore a domandarsi chi è effettivamente la figura
messa lì in posa, se non è essa il riflesso (direi metafora?) dell’identità
dell’artista.
È questo, infatti, un dato evidente che balza all’occhio,
seguendo il percorso di immagini qui proposto, dal quale appare chiaro il
desiderio dell’artista di tenere insieme la duplicità di uno sguardo che spazia
tra interni ed esterni. Il mirino della macchina si muove, cioè, tra una
dimensione intimista, ove mette a fuoco una sorta di narrazione che coglie,
senza nascondere un certo voyeurismo, figure femminili in interni sfumati,
celati da effetti tecnici, da vere e proprie messe in posa e inquadrature che
spaziano sul paesaggio. Più che la visione dello skyline della Matera dei
nostri giorni, l’attenzione è rivolta ad un luogo direi metafisico, ove i
gesti, le figure spostano la loro presenza dalla realtà dello spazio a quella
di un luogo mentale, appunto metafisico.
Le sue ‘donne’ conservano, appena accennati, sia i tratti
delle menadi, le baccanti dei riti dionisiaci, sia, paradossalmente, quelli
delle donne che accompagnano il lamento funebre. Un fotogramma segna il bivio
effettivo: ritrae una giovane donna vestita di nero, con gli occhiali scuri e
il velo anch’esso nero che sale le scale; in secondo piano la Matera che
ascende dai sassi.
Massimo Bignardi
Info:
Dal 4 aprile al 12 maggio 2019
Tutti i giorni dalle 15.00 alle 23.00
Ingresso gratuito
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