La Galleria Frammenti D’Arte presenta, nell’ambito della mostra “Works” del fotografo Massimo Capellani, la proiezione di due performance di arte contemporanea
"Fogli 2.0" e "In-tensioni reciproche".
Sabato 13 ottobre dalle ore 18 alle 20:30 in Via Paola 23,Roma
massimo cappellani
WORKS _ 2010-2012
di silvia sfrecola romani
“Arte nata da un raggio e da un veleno”
Arrigo Boito
Sebbene frutto dell’immenso sforzo tecnologico ottocentesco, la vera natura della fotografia è sempre rimasta ambigua ed ineffabile, prodigiosamente sospesa tra arte e magia, scienza ed alchimia. Il fotografo, checché se ne dica, non ha mai perso l’aurea di “magicien”, di stregone, di veggente capace di individuare l’attimo prima che accada.
“Una fotografia” – per dirla con Diane Arbus– “è un segreto intorno a un segreto”: questo è il terreno, l’area di caccia su cui si muove felinamente Massimo Cappellani. Come il custode indifferente di un Luna Park di periferia, Massimo ti invita a entrare in una delle sue personalissime stanze degli specchi.
Ma, una volta dentro, dovrai cavartela da solo, accettando di collocarti là dove lui decide e diventare una di quelle due persone indispensabili per una fotografia. Confrontarsi con l’ambiguità della visione, l’apparenza delle cose e l’ambivalenza delle proprie certezze: è lì che Massimo ti conduce, verso luoghi misteriosamente evidenti, dove la realtà si rifrange sulle pagine dei quotidiani (Fogli, 2011) e si infrange su centinaia di sottili elastici in trazione (In-tensioni reciproche, 2012). L’esistenza non è che luce che passa attraverso prismi sensibili, subendo deviazioni, spezzando le traiettorie originarie, costruendo angoli di incidenza inaspettati e scoprendo prospettive insolite, in un interminabile gioco di rimandi e resistenze, di andare e venire, di prima e dopo, di al di là ed al di qua.
“Possiamo sì rappresentare uno stato di cose che vada contro le leggi della fisica, ma non uno che vada contro le leggi della geometria” Ludwig Wittgenstein
Dal 2010 Massimo va alla ricerca di quegli scarti – nel senso di variazioni - che ombre, persone, fatti, condizioni operano sullo e nello spazio, compromettendone l’identità, l’ordine dei rapporti, la struttura organica. Lavoro precario (2011) è un reticolo geometrico indifferenziato, una scacchiera rettangolare su cui allenare le proprie capacità combinatorie ma anche – il titolo è illuminante – un sistema di vivere-lavorare-esistere secondo modalità di organizzazione contemporanee in contesti sociali e logistici che conducono, inevitabilmente, ad alterazioni psico-motorie degli individui: in tal senso, la precarietà sembra più legata ad uno stato esistenziale che non ad una condizione lavorativa. Modificare lo spazio di partenza non è mai stato così facile se bastano un paio di piedi sospesi in primissimo piano (Geometrie variabili 03, 2010) per avviare lo scarto, individuando uno spazio altro, parallelo, alternativo, una estensione rispetto al luogo in cui si svolge l’azione o, piuttosto, una delle azioni. Nella serie Human Rights, inquadrature ardite, prospettive dall’alto (DAI-Diritto all’ideologia, 2012) ed isolamento delle figure (Nuovo Angelus Novusix, 2010) inseguono l’obiettivo di “muovere il pensiero”. Si genera così un punto di vista inconsueto, alternativo ma possibile, che conduce a ri-misurare la scena, a ri-leggerla e soprattutto a ri-pensarla in termini non solo spaziali ma anche interpretativi, formali, simbolici e, su tutto, visivi.
"La televisione ha portato l'omicidio nelle case, il posto con cui l'omicidio ha più attinenza" Alfred Hitchcock
In Seven (2010-12) la collaborazione con Caterina Di Rienzo, splendida interprete e coautrice del progetto, sfocia in una serie di scatti che sarebbero probabilmente piaciuti ad Alfred Hitchcock: le linee affilate che sezionano lo spazio scandendolo in orizzontali e verticali, i bianchi e i neri assoluti, le ombre nette e la luce attentamente dosata per rendere la materia
ora gelida ora incandescente, sempre e comunque misteriosa ma palpabile e reale. Su tutto, la costruzione della scena, a metà tra sogno e miraggio, incubo e visione: spostamento, condensazione, ambivalenza ed identificazione, meccanismi freudiani di censura onirica – ed innegabilmente capisaldi del lavoro del regista di Psyco – qui però non sfociano in angoscia ma piuttosto in riflessione, penosa e tagliente ad un tempo, in cui il simbolo gioca con l’ironia e la drammaticità con la lucidità della logica. L’oggetto ”televisione”, che ha preso il posto non solo del focolare domestico intorno al quale si riuniva la famiglia, ma di amico, confidente, compagno, fedele ed infido consigliere, ammaliante e seducente serpe in seno, insostituibile prolungamento protesico fisico-emotivo, diventa perfetto interprete ed esegeta contemporaneo dei vitia: l’ira, l’invidia, l’accidia, la superbia, l’avarizia, la gola, la lussuria sono gli splendidi “abiti del male” che Caterina indossa o piuttosto che indossano Caterina, attorcigliandosi su ogni possibilità di difesa, soffocando ogni qualsivoglia capacità di reazione, in un gioco solipsistico di auto-celebrazione, tristemente ed inevitabilmente autoreferenziale.
“Meraviglie senza fine saltano fuori da semplici regole, se queste sono ripetute all’infinito” Benoit Mandelbrotxii
Massimo Cappellani - non va dimenticato – è un matematico. Le sue fotografie sono prima di tutto luoghi geometrici le cui coordinate soddisfano un’unica equazione: la visione è conoscenza e la conoscenza è visione. Ecco perché il suo metodo – prima che la sua fotografia – non può che essere analogico ovvero prediligere la chiarezza e la tonalità della pellicola (più vicina alla percezione visiva umana) alla luminanza del sensore digitale. Dove andrà il lavoro di Massimo? Quale dimensione potrebbe essere al centro delle sue future ricerche? Da Escher a Mobius, da Mandelbrot a Michele Emmer fino a Steve Jobs, sono in tanti ad aver celebrato le nozze tra arte e matematica, filosofia e geometria, logica e meraviglia, tecnologia ed emozioni. Certo è singolare notare come il linguaggio, non riuscendo a tenere il passo della scienza, sia costretto a ricorrere ad una terminologia di natura diametralmente opposta: così i fotoni sono particelle “miracolo” che come “fantasmi” possono passare attraverso un muro e “basterebbero pochi bit quantistici per creare un computer quasi magico” D’altronde se già Pitagora affidava ai numeri il compito di tenere unito l’universo ….