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giovedì 12 aprile 2012

PERCORSI DI IDENTITA: Alessandro Calizza, Claudio Di Carlo, Giusy Lauriola, Nicola Mette

COMUNICATO STAMPA

PERCORSI DI IDENTITA': Alessandro Calizza, Claudio Di Carlo, Giusy Lauriola, Nicola Mette

Giovedì 19 aprile ore 20.30 – wine-bar Camponeschi

Presentazione di Takeawaygallery

Giovedì 19 aprile si rinnovano gli appuntamenti dell'Electronicartcafè_Aperitivo d'arte a cura di Achille Bonito Oliva ed Umberto Scrocca in collaborazione con Takeawaygallery, presso il wine-bar Camponeschi di Roma. Invitati ad esporre quattro artisti della galleria: Alessandro Calizza, Claudio Di Carlo, Giusy Lauriola e Nicola Mette; una ricognizione trasversale che mette a confronto due generazioni di artefici, vicini tanto nella figurazione neopop quanto nelle tematiche affrontate, che, pur sperimentando i linguaggi della performance, dell'avanguardia teatrale e musicale e del video, privilegiano la pittura come mezzo d'espressione.

Nella mostra viene presentata una riflessione sul concetto ed il significato di identità, spesso approfondita nei loro quadri. Partendo dall'analisi del contesto politico e sociale in cui siamo immersi, caratterizzato da una crescente fluidità, mobilità ed indeterminatezza, gli artisti indagano problematiche ed urgenze scaturite da confini identitari costantemente più labili e confusi, dalla continua mancanza di punti di riferimento comunitari e dalla progressiva omogeneizzazione culturale, rinnovando, fronteggiando o esorcizzando incertezze, inquietudini, ma anche tutte le opportunità originate da questa realtà sempre più sfuggente e mutevole.

Tematiche rese attraverso un linguaggio figurativo colorato ed accattivante, dove fascino, erotismo e bellezza superficiali divengono veicolo di messaggi pungenti e radicali, quasi un dolce-amaro che irrita e seduce. La tecnica pittorica precisa ed avvolgente, le atmosfere stranianti e sospese, i riferimenti iconografici che spaziano dai fumetti, al cinema, alla pubblicità, "saccheggiando" tutta la cultura di massa e popolare da cui siamo sempre stati avvolti, cercano di dar senso all'assurdità ed incoerenza che ci circondano.

Le tre opere di Alessandro Calizza, quasi un ideale trittico, prevedono una doppia analisi, interrogandosi sulla genesi di identità soggettiva ed oggettiva e sul funzionamento dei meccanismi di riconoscimento, mettendo in scena un confronto-incontro tanto con il proprio "gruppo di appartenenza" ("Who am I?") che con l'altro da sé ("Who is him?"). Il protagonista, un essere/avatar viola di nome SNUB, ed i paesaggi da girone dantesco o prelevati da dipinti rinascimentali, disseminati di oggetti emblematici, divengono paradossali ed ironiche chiavi di lettura della realtà quotidiana, attraverso un linguaggio ascrivibile ad un ambito pop surrealista.

Claudio Di Carlo presenta le sue icone della società massmediatica, con due tele dalla serie dei "Rebus". Donne bellissime immortalate con un taglio fotografico che predilige posizioni forzate ed innaturali e pone l'accento su minuti dettagli e particolari evocativi. Una potente carica erotica, i colori sensuali, un gioco costante tra esplicito ed allusivo celano una corrosiva critica a limitazioni e forzature cui veniamo costantemente sottoposti, trasformandoci in vittime di modelli standard di comportamento; gettano uno sguardo sui concetti di diversità ed esclusione; sfondano porte per poter sfuggire da uniformità ed omologazione.

Protagonisti delle tele di Giusy Lauriola donne e uomini di cui non si scorge il volto. La caratterizzazione avviene attraverso l'abito, quindi il corpo, mezzo primario di relazione con il mondo, specchio di personalità e strumento di identificazione. Se le resine che usa divengono un filtro attraverso il quale creare distanza e guardare dentro di noi, la riflessione che Lauriola ci induce a compiere riguarda la costante ricerca di appartenenza ad un'identità sociale, l'incessante necessità di essere approvati dall'altro: il bisogno di accettazione diviene impulso più potente, anche a scapito della propria individualità.

Nicola Mette propone quattro piccoli acrilici, realizzati con una particolare tecnica che l'artista stesso definisce "pittura liquida", fatti di sgocciolature, sovrapposizioni ed improvvisi vuoti, appartenenti ad un ciclo del 2011 intitolato appunto "ID.entity". Sfila nei suoi quadri un'umanità disumanizzata: volti delineati da un tratto fermo ma evanescente, lo sguardo assente, nessun accenno ad un'emozione o espressione. Bianchi come in un'immagine in negativo, fantasmi anziché "esseri" reali, i suoi uomini, donne o divinità, prigionieri di una società sempre più folle ed avvilente, hanno perso ogni connotazione identitaria, hanno perso se stessi, non più in grado di riconoscersi né di essere riconosciuti.

Info:

Collettiva di pittura

Artisti: Alessandro Calizza, Claudio Di Carlo, Giusy Lauriola, Nicola Mette

Inaugurazione: giovedì 19 aprile ore 20.30 fino a tarda serata

Dal 19 aprile al 2 maggio 2012

Orari: lunedì – sabato 17.00-23.30

Wine-bar Camponeschi

Piazza Farnese 50, Roma

+39 066874927

martedì 10 aprile 2012

DARK ISLAND DI GUY LYDSTER


a cura di Lodovico Pignatti Morano

21 aprile – 9 giugno 2012

Galleria B4 | Via Vinazzetti, 4B | Bologna


Sabato 21 aprile 2012 sarà inaugurata alla Galleria B4 di Bologna “Dark Island”, grande personale dello scultore neozelandese Guy Lydster, a cura di Lodovico Pignatti Morano. Dopo il successo ottenuto in occasione di Arte Fiera OFF 2012, che l’ha visto protagonista di importanti spazi espositivi come lo Spazio Fabrizio Cocchi, la splendida cornice di Villa Hercolani, dimora cinquecentesca appena fuori le mura medievali di Bologna e la Galleria Art to Design, tappe che l’hanno reso ancor più noto a livello nazionale, Lydster rinnova l’unicità intrinseca e figurativa della sua opera con gli Headscapes inediti di Dark Island.

Dark Island, evoluzione naturale del lavoro dell’artista e delle sue continue sperimentazioni, si compone di una ventina di Headscapes - unione di Head e Landscapes (teste-paesaggi) - che evocano un viaggio metaforico verso la riscoperta di quel terreno oscuro chiamato infanzia.

La mostra si articola negli spazi della galleria che scandiscono i tre momenti del viaggio verso: la ricerca di un luogo, l’approdo alla meta e la separazione. L’esposizione è da considerarsi percorso completo nell’opera di Lydster; sono rappresentati tutti i momenti di produzione dell’opera, dalla fase iniziale più espressionista e abbozzata, che grazie all’uso della creta cruda giunge ad effetti sorprendenti, attraverso quella più dura e ricca di dettagli, fino alla fase ultima, in cui primeggia la linea compiuta del bassorilievo. Compare per la prima volta la colorazione, realizzata con pigmenti rossi, gialli e verdi, che mescolati alla creta ancora cruda stimolano in maniera sorprendente l’espressività.

Nella prima sala, il viaggiatore-spettatore è accolto da un gruppo di Headscapes che indicano un percorso da navigare.
Sono raffigurate diverse isole, rappresentazioni di possibili mete da raggiungere, tra cui un’opera fondamentale dal titolo Land of the Long White Cloud, (terra dalla lunga nuvola bianca), traduzione della parola in lingua maori “Aotearoa”, termine che indica la Nuova Zelanda. In contrasto con tali immagini di mare e isole sparse, realizzati in creta bianca, si erge centrale l’opera Dark Island, approdo del viaggiatore. Circondata da un mare mosso e verdastro, l’isola scura esercita una forza di attrazione sullo spettatore come se fosse lui stesso un nuotatore che attraversa torbide acque. Accanto, disposte a terra, un arcipelago di teste/isole si stende sul mare del pavimento.

Nella seconda sala il viaggio continua verso il cuore del terreno raggiunto. L’occhio del viaggiatore esplora la riva e si muove verso le forme organiche e i colori che fioriscono all’interno dell’isola. In questa dimensione originaria l’artista stabilisce un rapporto pacifico con i luoghi della memoria, la presenza della barriera naturale, il dolore nell’asprezza del paesaggio, e perfino la morte (è significativa la simbolica presenza di un gatto nero in agguato, bello, ma inquietante).


Il percorso si chiude nello spazio esterno della Galleria con gli Headscapes che simboleggiano gli emigranti, la partenza verso l’ignoto, in cui i viaggiatori sono muniti solamente di nostalgia e di proprie memorie. Incisi sui volti di un grappolo di grandi teste, vari squarci naturali dell’isola vengono conservati e spediti verso l’orizzonte e forse verso un’altra isola. L’esperienza straziante dell’emigrante è la metafora della difficile separazione fisica e spirituale dal viaggio ed emblema del forte legame uomo-natura. L’artista ci invita a scoprire quanto la natura sia una forza non solamente più grande di noi, ma anche una forza che cresce in noi.

A completare il percorso, una decina di disegni dell’artista che esprimono la percezione dell’ambiente visto dal mare; ossia la rigida geometria dell’immenso paesaggio, risultato delle diverse congiunzioni naturali e marine.

La mostra segna anche il percorso della vita che ci vede protagonisti di un viaggio interiore in cui la natura è il mezzo che ci conduce all’essenza e invita ad una riflessione sulla nostra presenza nel mondo.




Guy Lydster scultore neozelandese nasce a Auckland nell’aprile del 1955, ma si trasferisce con la famiglia a Vancouver molto presto.
Già da bambino scopre l’amore per l’arte, inizia a studiare teatro, poi si dedica alla pittura e infine arriva alla forma simbolica a lui più congeniale: la scultura.
Nei primi anni 80 si trasferisce a Bologna per studiare all’Accademia delle Belle Arti e finito il suo percorso universitario decide di rimanere a vivere e lavorare nel capoluogo emiliano.

Per Guy Lydster sono stati di fondamentale importanza per lo sviluppo del suo percorso di scultore il riferimento e lo studio di Henry Moore, Constantin Brancusi e Alberto Giacometti entrambi, come lui, intrisi di naturalismo e essenzialità; ma ancora di più si nota la forte ispirazione primitiva che ha trovato nei suoi luoghi di origine. L’arte eschimese, quella indiana e quella imponente e spirituale dell’Isola di Pasqua trovano nella scultura di Guy un importante sviluppo.

Inizia il suo lavoro cercando una pietra che possa fargli da bozzetto per l’opera, quando l’idea è chiara crea una base sulla quale innalza un asse verticale e alla quale aggiungerà materiale fino a creare una testa. Quando la forma è finita inizia a svuotarne il cranio, tagliandola con piccole e controllate incisioni da neurochirurgo. Lo svuotamento collabora anch’esso alla creazione della forma che si plasma dall’interno non seguendo un canonico modellamento anatomico. Le parti del cranio vengono poi ricomposte; aggiungendo materiale per la memorizzazione del paesaggio, lo scultore procederà ad un secondo svuotamento fino al raggiungimento della giusto equilibrio tra mente e corpo.
I materiali utilizzati sono creta, argilla, marmo, pietra e travertino.



Agenzia di Comunicazione:

Culturalia di Norma Waltmann
Agenzia di comunicazione
Bologna - Vicolo Bolognetti 11
tel : +39-051-6569105
fax: +39-051-2914955
mob: +39-392-2527126
email: info@culturaliart.com
web: www.culturaliart.com

sabato 7 aprile 2012

ARIA underground


PRESENTAZIONE 1° NUMERO A.R.I.A. UNDERGROUND
[ giornale visivo ]




13 aprile 2012
Ore 17.00 - 21.00
MACRO - Museo d’Arte Contemporanea Roma
spazio AREA – Via Nizza, 138

Venerdì 13 aprile 2012, alle ore 17.00, presso lo spazio MACRO AREA, verrà presentato il numero uno della rivista A.R.I.A. underground, progetto nato in seno al collettivo romano A.R.I.A. (acronimo di artisti romani in assemblea).
A.R.I.A. nasce dal desiderio di confrontarsi, di creare spunti che siano oggetto di riflessione che
ha spinto gli artisti a redigere un manifesto, …siamo appena all’inizio di qualcosa che non è facile da definire …, che affronta, giungendo anche nel campo dell’utopia, l’idea del MUSEO diffuso, l’ipotesi di una nuova SCUOLA a cui si aggiungono i luoghi dell’incontro, della riflessione come il BAR e della comunicazione con la costituzione di un GIORNALE.

Il giornale, A.R.I.A. underground è un “luogo” di produzione. È pensiero e immagine, alterazione percettiva dell’informazione, è atto creativo, è colore e forma, è parola che non informa ma trasforma e trasporta, è gioco dichiarato, è circolarità, è, è vuoto e pieno, è la superficie di un’area indefinibile, è respiro, è ARIA.

A.R.I.A. underground è un giornale visivo, ideato dagli artisti della redazione: Angelo Bellobono, Arianna Bonamore, Pino Boresta, Tania Campisi, Carlo De Meo, Cristiana Pacchiarotti, Mario Tosto e ogni volta diverso per soggetto, concezione, realizzazione e impaginazione. Nella sua forma laboratoriale e partecipata A.R.I.A. underground è occasione di confronto che evidenzia la necessità di spazi tanto reali quanto “paralleli al reale” capaci grazie alla loro natura, di aprire modalità inedite di diffusione e conoscenza.

A.R.I.A. underground è un’agorà in cui artisti, fotografi e creativi tutti possono prendere parte sottoponendo alla redazione la propria visione autografa sul soggetto indicato. I contributi, rigorasamente “site-specific”, assemblati insieme costituiscono un’opera collettiva e unica animata dai diversi respiri.

Il soggetto di questo primo numero di A.R.I.A. underground è ROSSO e tanti sono gli artisti che hanno contribuito con interventi visivi e letterari unici e inediti.

In quest’A.R.I.A: Pasquale Altieri, Paolo Angelosanto, Ardau-Di Caterino, Angelo Bellobono, Emanuele Beltramini, Luca Bidoli, Flavia Bigi, Arianna Bonamore, Pino Boresta, Andrea Caminiti, Flavio Capotorti, Mariano Chelo, Lara De Angelis, Carlo De Meo, Roberto De Simone, Baldo Diodato, Fa+, Emanuela Fiorelli, Sandro Fogli, Gastrovisione, Francesco Impellizzeri, Antonio Lombardi, Aldo Olivo, Cristiana Pacchiarotti, Raffaello Paiella, Laura Palmieri, Bruno Parretti, Mattia Pellegrini, Giovannella Porrini, Claudia Quintieri, Paolo Radi, Paola Romoli Venturi, Mariarosaria Stigliano e Mario Tosto.

Cesare Pietroiusti, interverrà direttamente su 99 copie del giornale con altrettanti contributi cromatici sulle tonalità del rosso. Altri artisti, tra cui Alfredo Pirri, Carla Accardi, Pablo Echaurren, Alessandro Scarabello, Ciriaco Campus, Sergio Fermariello, Giorgio De Finis, Simone Bertugno, realizzeranno alcuni interventi visivi sulle copie trasparenti.

L’evento sarà accompagnato da una serie di degustazioni performative, il cui filo conduttore è il ROSSO, realizzate dal gruppo di artisti GASTROVISIONE, che si prefigge di coinvolgere il pubblico ricorrendo ad inganni visivi e percettivi della fruizione.

Il giornale autofinanziato vede un certo numero di copie stampate su supporto cartaceo ed una tiratura limitata di 10 su supporto trasparente, personalizzati con interventi diretti di altrettanti artisti.

Il giornale sarà consultabile nei giorni successivi alla presentazione, presso lo spazio AREA, dedicato alla lettura e aperto liberamente al pubblico.


INFO
Redazione A.R.I.A. - redazionearia@gmail.com
(Tel. +39 3389114093 - +39 3487221215)
A.R.I.A. - ariaroma2011@gmail.com

INGRESSO LIBERO

giovedì 5 aprile 2012

Alessandro Mazzola: "La Vita"

COMUNICATO STAMPA


ALESSANDRO MAZZOLA: "LA VITA"

Il 14 aprile dalle ore 18.00 Alessandro Mazzola si presenta per la prima volta in una mostra personale a Roma presso la galleria Rilievi Contemporary Art in via della Reginella 1a, esponendo alcune tele di grandi e medie dimensioni dalla serie "La Vita".

La rappresentazione delle opere è la conseguenza di un processo concettuale che si svela nitidamente ancora prima della sua esecuzione. Nelle sue composizioni l'estensione delle linee sinuose e le morbide e pacate campiture creano un ritmo essenziale nell'equilibrio dello spazio ampio e totalizzante. Il messaggio dell'artista attraversa un labirinto infinito di forme e colori dove si realizza compiutamente nella ricerca della pace e dell'armonia.

Alessandro Mazzola nasce a Velletri (Roma); vive e lavora a Latina. Inizia la sua attività artistica, dopo essere stato incoraggiato dal suo professore di Disegno. Dipinge da circa 25 anni.

Info:

Mostra personale di pittura di Alessandro Mazzola dal titolo "La Vita"

Inaugurazione: sabato 14 aprile ore 18.30

Dal 14 al 21 aprile 2012

Testo critico di Laura Abate

Galleria Rilievi Contemporary Art

Via della Reginella 1/A, Roma

0695223340 - galleriarilieviroma@gmail.com

martedì 3 aprile 2012

"WU MING" racconta "Novantatrè" di Victor Hugo


Mercoledì 4 aprile alle ore 18 il collettivo di scrittori Wu Ming sarà il protagonista del sesto appuntamento della rassegna “Libri da Rivivere”, presso la Libreria Rivivere di Via Torleone 5 a Bologna.

Wu Ming, racconteranno in maniera creativa e del tutto personale “Novantatré” di Victor Hugo, pubblicato nel 1887.

Il collettivo bolognese leggerà i passi salienti di “Novantatrè”, uno dei romanzi più alti dell’Ottocento, da considerarsi come conclusione del dialogo che Hugo intrattenne per tutta la vita con la Rivoluzione.

Quest’appuntamento rientra nella rassegna “Libri da Rivivere”, un ciclo d’ incontri che ha visto e vedrà come protagonisti noti autori e figure della cultura bolognese che condivideranno con il pubblico il proprio libro preferito e lo doneranno alla nuova Libreria di via Torleone 5. L’acquisto farà da donazione all’Associazione Rivivere che investirà nei servizi d’aiuto psicologico gratuito offerti alla nostra città.

I precedenti incontri hanno visto protagonisti Nicola Bonazzi, drammaturgo e regista bolognese, che ha letto il “Ferdydurke” di Witold Gombrowicz, Silvia Albertazzi, Professore ordinario di Letteratura Inglese all’Università di Bologna che ha portato il volume di Salman Rushdie “I figli della mezzanotte”, l’attrice Micaela Casalboni che ha incantato il pubblico, leggendo e interpretando alcuni passi dell’opera di Shakespeare, Roberto Serra, fondatore dell’agenzia fotografica Iguana Press e fotoreporter de La Repubblica, che ha raccontato magistralmente il “Misantropo” di Molière e Alberto Sebastiani, ricercatore di Italianistica dell’Università bolognese e collaboratore di Repubblica, che ha fatto rivivere il libro “Camere Separate” di Pier Vittorio Tondelli.


Informazioni utili:

• EVENTO: Wu Ming racconterà “Novantatrè” di Victor Hugo
• DATA: Mercoledì 4 aprile 2012 ore 18.00

• INDIRIZZO: Bologna-Via Torleone 5

• INFORMAZIONI PER IL PUBBLICO: 051-392236

• SITO INTERNET: www.clinicacrisi.it E-MAIL: libreriarivivere@libero.it

• ORARI DI APERTURA DELLA LIBRERIA: Lunedì, Giovedì, Venerdì (15.30-19.30) Martedì, Mercoledì, Sabato (9.30-12.30, 15.30-19.30)


• Agenzia di comunicazione:



Culturalia - Bologna, Vicolo Bolognetti 11
Tel. 051 6569105 fax 051 29 14955,
info@culturaliart.com www.culturaliart.com




WU MING

Wu Ming (per esteso: Wu Ming Foundation) è un collettivo di scrittori provenienti dalla sezione bolognese del Luther Blissett Project (1994-1999), divenuto celebre con il romanzo Q.
Nel 1994, in giro per l'Europa, centinaia di artisti, attivisti e burloni scelgono di adottare la medesima identità.
Tutti si ribattezzano Luther Blissett e si organizzano per scatenare l'inferno nell'industria culturale. Si tratta di un piano quinquennale. Lavoreranno insieme per raccontare al mondo una grande storia, creare una leggenda, dare alla luce un nuovo tipo di eroe popolare.
Nel gennaio 2000, al termine del Piano, alcuni di essi si riuniscono sotto un nuovo nome e fondano Wu Ming, una band di romanzieri. Quest'ultimo progetto, benché più concentrato sulla letteratura e la narrazione in senso più stretto, non è meno radicale del precedente.


A differenza dello pseudonimo aperto "Luther Blissett", "Wu Ming" indica un preciso nucleo di persone, attivo e presente sulle scene culturali dal gennaio del 2000. Il gruppo è autore di numerosi romanzi, tradotti e pubblicati in molti paesi, ritenuti parte del corpus (o "nebulosa") del New Italian Epic.
In cinese mandarino "wu ming" significa "senza nome" oppure "cinque nomi" a seconda di come viene pronunciata la prima sillaba. Il nome d'arte è inteso tanto come tributo alla dissidenza ("Wu Ming" è un modo di firmarsi frequente presso i cittadini cinesi che chiedono democrazia e libertà di parola) quanto come rifiuto dei meccanismi che trasformano lo scrittore in divo.
A questa scelta si lega anche la particolare posizione degli autori al diritto d'autore: tutte le opere di Wu Ming sono infatti pubblicate sotto licenza Creative Commons e dal sito ufficiale del gruppo è possibile scaricare i testi integrali, per i quali è consentita una riproduzione (totale o parziale) in qualunque formato, tranne che per scopi commerciali.
Il collettivo Wu Ming si impegna in estesi tour di presentazioni e incontri con i lettori (oltre seicento iniziative nel periodo 2000-2010) e i suoi membri appaiono spesso in pubblico.
I Wu Ming rifiutano di mettersi in posa per servizi fotografici e hanno come politica di non apparire mai in video. Non hanno mai accettato inviti a trasmissioni televisive. Nemmeno sul loro sito ufficiale sono disponibili immagini dei loro volti. La loro politica è quella di apparire soltanto di persona, in carne e ossa. "Trasparenti verso i lettori, opachi verso i media". Ecco come Wu Ming 1 ha spiegato la posizione del gruppo in un'intervista del 2007. Il fatto che il gruppo si chiami "Senza nome" ha spesso generato equivoci sul presunto anonimato dei suoi membri, i cui nomi anagrafici sono invece noti e riportati anche sul sito ufficiale. Dal 2000 alla primavera del 2008, la formazione ha compreso: Roberto Bui (Wu Ming 1), Giovanni Cattabriga (Wu Ming 2), Luca Di Meo (Wu Ming 3), Federico Guglielmi (Wu Ming 4) e Riccardo Pedrini (Wu Ming 5). Il 16 settembre 2008 il gruppo ha annunciato l'uscita di Luca di Meo dal collettivo, avvenuta nella primavera precedente. Ciascuno dei quattro membri ha un nome d'arte individuale, una produzione "solista" e una "voce" autoriale autonoma, riconoscibile dai lettori.



NOVANTATRE’ di Victor Hugo (1874) – Oscar Mondadori

Nota di copertina: Novantatrè, il romanzo finale della vastissima produzione letteraria di Victor Hugo conclude il dialogo che lo scrittore aveva intrattenuto per tutta la vita con la Rivoluzione. Pubblicato nel 1872, Novantatrè, uno dei più alti romanzi dell’Ottocento, è probabilmente il più moderno di tutti, immenso affresco che è anche la storia di tre “caratteri” scolpiti con stupefacente maestria: Lantenac, l’uomo del Re e dell’onore antico, Cimourdain, genio austero e implacabile della Rivoluzione e Gauvain, aristocratico nipote di Lantenac, passato al popolo e che Cimourdain farà ghigliottinare per seguirlo subito nella morte. Sullo sfondo del grande dramma collettivo e personale, quella folla di “coscienze”, di “spiriti in preda al vento” che hanno cambiato la Francia e il mondo. Ma è la Torgue, la fosca torre medievale presa d’assalto dall’esercito repubblicano inviato a schiacciare la rivolta vandeana, il perno di questa formidabile raffigurazione dalle tinte infuocate, in cui buoni e cattivi, torto e ragione sono mossi da qualcosa che li trascende, l’”enigma della Storia”.

Young at Art. I Stay Here


A partire da sabato 14 aprile 2012, in occasione della XIV Settimana della Cultura indetta dal MiBAC, il MACA (Museo Arte Contemporanea Acri) aprirà i suoi spazi a sette giovani artisti calabresi, dedicando loro una mostra che si protrarrà fino al 27 maggio.

L’appuntamento espositivo, a cura di Massimo Garofalo e Andrea Rodi, si pone come esito del concorso Young at Art, lanciato a inizio anno, attraverso il quale il museo ha inteso mettersi alla ricerca dei talenti ancora nascosti operanti sul territorio calabrese. Da qui il titolo della mostra, I Stay Here (Io rimango qui), ripreso da una serie fotografica di uno dei sette artisti partecipanti e particolarmente significativo dello spirito di un’iniziativa dallo spiccato carattere di work in progress, che da concorso è diventata mostra, per poi rinnovarsi come progetto itinerante. L’appuntamento del MACA è solo il primo di una lunga serie attraverso la quale verranno promossi i sette artisti.

In ottobre, in occasione della Giornata del Contemporaneo indetta dall’AMACI, a ognuno di essi verrà chiesto di creare un lavoro ad hoc ispirato alle opere di Hans Richter, uno dei padri del Dadaismo, a cui il MACA dedicherà un’importantissima retrospettiva a partire dal maggio prossimo, la prima realizzata da un museo italiano. Successivamente, gli artisti di Young at Art troveranno spazio a San Demetrio Corone (Cs), in occasione della Biennale d’Arte Contemporanea Magna Grecia, mentre sono in corso le trattative per portare i loro lavori a Torino, in occasione di Artissima.

L’intento della mostra del MACA, e del corollario di eventi che ne seguiranno, è quello di dare spazio alla ricchezza artistica e creativa di una regione che sta finalmente cominciando a credere in se stessa e nelle proprie potenzialità, e lo farà sottolineandone in primo luogo la diversità di temi e tecniche, perché proprio la diversità dei suoi frutti è il sintomo principale della fertilità di un territorio. Ognuno dei sette artisti, infatti, è rappresentante di un differente ambito espressivo. Walter Carnì affronta la cronaca, e in particolare il tema della mafia, attraverso installazioni scultoree di grandi dimensioni e dal forte impatto visivo; il fotografo Giuseppe Lo Schiavo sottolinea l’importanza di mantenere un forte legame con la terra d’origine e di come questa non sia ostacolo alla creatività e alla fantasia; Armando Sdao presenta cinque tele dai connotati iperrealistici in cui la presenza dell’uomo riverbera in oggetti quali una manciata di biglie o un pallone da basket, perfette nature morte contemporanee; Valentina Trifoglio trasforma il suo stesso corpo in una tela bianca che accoglie i segni che le vengono proiettati addosso, trasformandoli in stati emotivi; Giuseppe Vecchio Barbieri destruttura il volto umano in ritratti grafici che coniugano un’iconografia di matrice Pop a uno spiccato gusto espressionistico per i vortici cromatici; il duo MILC (Movimento Indipendente per il Linguaggio Cinematografico), formato da Michele Tarzia e Vincenzo Vecchio, propone due filmati che sono altrettante riflessioni sullo spazio come fonte di disagio collettivo e individuale, tra denuncia sociale e frammentarietà dell’io.

YOUNG AT ART “Virtual”

In collaborazione con Alphabeti, creativa azienda nel settore della promozione dei beni culturali e i new media, e la BCC Mediocrati, verrà realizzata una nuova sala virtuale della Collezione Bancartis (www.mediocratitour.it), in cui i sette giovani artisti vincitori dell’iniziativa potranno esporre una selezione delle loro opere.

In questo modo, terminata la mostra in programma fino al 27 maggio 2012, i giovani talenti calabresi meriteranno ancora le luci delle ribalta grazie al web e a questi originali allestimenti virtuali che permettono la visibilità oltre il tempo naturale delle mostre temporanee e la promozione oltre i confini nazionali.

YOUNG AT ART

I Stay Here

Luogo: MACA (Museo Arte Contemporanea Acri)

Piazza Falcone,1 - 87041, Acri (Cs)

Curatori della mostra: Massimo Garofalo e Andrea Rodi

Vernissage: 14 aprile 2012, ore 17:00

Periodo: dal 14 aprile al 27 maggio 2012

Orario: dal martedì alla domenica, 9-13 e 15-19; lunedì chiuso

Info: Ufficio stampa tel. 0119422568

www.museovigliaturo.it; maca@museovigliaturo.it

domenica 1 aprile 2012

Facciamo così... I will tell you what:







Pino l’eccezion(al)e intervista a cura di Daniele Capra

Farsi invitare alla più importante delle biennali: la madre di tutte, quella di Venezia, iniziata più di cento anni fa nella città lagunare, diventata ora. Qualsiasi persona dalla provata fiducia nella ragione sa che un approccio come quello di Pino Boresta è automaticamente destinato a fallire. L’artista romano infatti, ha lavorato insistentemente per anni per sollecitare curatori e critici affinché lo invitassero alla kermesse lagunare, ma con la cura di operare in maniera diretta, antipatica e non salameleccosa. Il blitz, lo schiamazzo, la contestazione in dibattiti pubblici, tutti interventi di disturbo in cui sono – programmaticamente – sbagliati gli approcci, le modalità, i toni. Potremmo dire, anzi, che se ciò non avvenisse (se cioè avessero esito positivo le sue richieste) egli si priverebbe del piacere che spesso hanno i bambini cattivi di rovinare con un pastrocchio gli ordinati quaderni dei primi della classe. E poi è troppo scontato sviluppare delle strategie vincenti. Provate voi ad immaginare come siano delle strategie perdenti. Ecco Boresta è quel genere di personalità: è essenzialmente un artista che ama porre domande, rompere sonoramente i cabasisi, come scriverebbe Camilleri. Anche l’intervista che segue ne è la dimostrazione.

DC: Dentro o fuori il sistema che differenza fa?
PB: In prospettiva futura nessuna, ma oggi quando un artista viene proposto attraverso canali di particolare autorevolezza all'interno del sistema, ciò fa sempre sì che il suo lavoro riceverà approvazione o quantomeno una forte attenzione, a prescindere dal fatto che sia apprezzato o meno dai più.

DC: Ma l’arte è un lavoro di relazione…
Sì, ma ciò decreterà ogni volta l’inevitabile e ripetuta sconfitta di chi – pur avendo alle spalle un lavoro significativo – dovrà rassegnarsi ad affrontare sempre una sorta di sfiducia sistematica, che comprometterà la qualità e la quantità di attenzione necessaria ad una comprensione adeguata del suo lavoro.

DC: Ma allora vuoi semplicemente cambiare il sistema?
PB: Semplicemente! Ti pare poco? Bisognerebbe farla finita con queste logiche opportuniste utilizzate ogni volta per confezionare Biennali e Quadriennali a vantaggio dei soliti artisti ammanicati sostenuti da un ristretto corporativo nucleo di gallerie fondazioni ed istituti!

DC: Quindi il Padiglione Italia di Sgarbi è benvenuto!
PB: Mah! Non lo so, di sicuro io non pensavo certo ad una formula come quella di Vittorio Sgarbi! Ma più a quella ugualmente criticata che adotterà la Quadriennale – che mi ero permesso di suggerire il 4 ottobre 2008 parlandone con Roberto Pinto, Emanuela De Cecco, ed altri, nell’intervallo della presentazione di un libro della Subrizi – dove saranno degli artisti ad invitare altri artisti. Anche se visto l’andazzo dei fatti che mi riguardano ultimamente non credo che le cose cambieranno gran che per me.

DC: Non penso che per te sia importante diventare noto, quanto piuttosto far ragionare la gente attorno ai meccanismi di inclusione/esclusione.
PB: Si! Esatto!

DC: E hai cominciato subito con azioni pubbliche. Quando è stata la prima?
PB: Una tra le prime fatte è quella dove ho fatto quell’intervento estemporaneo di cui ti ho raccontato, nel quale ho promosso il mio progetto Firma Boresta. L’occasione era la presentazione del libro di Carla Subrizi Perché Duchamp alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna.

DC: Non ricorderai nemmeno cosa hai detto…
PB: Si! Perché me lo sono scritto su un fogliaccio lì per lì che ancora possiedo. “Sono qui per parlare di Duchamp e dell’importanza della sua opera, ma purtroppo non ho preparato nulla e inoltre hanno parlato e dovranno parlare persone sicuramente più accreditate di me. Io però ho un sogno, anzi no! Ho fatto un sogno, un sogno dove il Duchamp con una parrucca bionda mi esortava dicendomi “vai vai alla conferenza di Carla Subrizi che ha scritto e presenta un bel libro su di me”. Pertanto su mandato del grande Marcello sono qui in veste di parassita, parassita dell’arte, nel tentativo di far diventare una petizione un opera d’arte. Voglio valutare se una raccolta firme può divenire opera d’arte, ma anche verificare fino a che punto oggi un artista non sostenuto e promosso dai soliti volti noti, critici e galleristi potenti, possa ancora incidere ed influenzare questo dibattito ampliandolo nelle sue dinamiche come sicuramente ha fatto Duchamp, e a cui credo sarebbe piaciuta questa mia idea. O forse no?”

DC: Forse no! E poi?
PB: Ho poi distribuito i miei volantini e raccolto qualche firma.

DC: Cosa ti rimane ora del progetto
PB: Tutto! Ma quello che ancora oggi mi domando è a chi un curatore quale Daniel Birnbaum, intellettualmente onesto e corretto, come sostengono, abbia chiesto informazioni su un certo artista Pino Boresta, che gli aveva inviato un grosso pacco con quasi 1000 firme, pubblicazioni e materiale vario riguardante una curiosa iniziativa che consisteva in un auto petizione per essere invitato alla sua Biennale di Venezia?

DC: Magari non le ha nemmeno viste di persona…
PB: So di certo che l’ha ricevuto e visto, in caso contrario sarebbe molto strano per un curatore serio.

DC: Magari il tuo lavoro lo interessava o magari gli faceva semplicemente schifo!
PB: Bravo! Esatto, magari gli interessava o magari gli faceva schifo ma sicuramente avrà chiesto a qualcuno vicino a lui che meglio conosceva il panorama artistico italiano, e cosa gli avrà detto non lo saprò mai ma posso immaginarlo visto poi come sono andate le cose.

DC: Lo ripeto. Avresti dovuto approfittare di quell’incapace di Sgarbi…
Che vorresti dire che se non sono riuscito ad infilarmi alla biennale nemmeno con Sgarbi non ho nessuna speranza di riuscirci?

DC: Sì!
PB: Forse hai ragione ma io credo che al padiglione Italiano curato da Vittorio Sgarbi avrebbero dovuto partecipare solo artisti che fanno un certo tipo di lavoro, artisti che fanno un lavoro che esce fuori anche nel caos più totale di mille opere e che anzi del caos si nutrono.

DC: Dovevi chiedere a lui!
PB: L’ho fatto e mi ha pure telefonato, ma poi mi ha detto che non lo convincevo, ma forse è un buon segno. Io nel partecipare non avrei di certo avuto nulla da perdere, che volete che me ne importi a me di attaccare la mia opera appiccicata ad altre mille, quando io come un parassita le attacco addirittura sopra le opere degli altri. Cosa volete che me ne importi a me di dover competere per accaparrarmi un po’ di attenzione del pubblico dell’arte tra centinaia e centinai di opere di quasi trecento artisti, quando da diciotto anni attacco nelle strade delle città i miei adesivi con la mia faccia alla merce distratta dei passanti cittadini e competendo tutti i giorni con la massiccia invasione pubblicitaria con la quale le città sono aggredite e violentate. Lì si che rischio di perdere la mia battaglia, e ogni giorno mi prendo la mia rivincita.

DC: Questo però non ti ha portato da nessuna parte…
PB: Ma per esempio mi ha portato a te… tu sei nessuno?

DC: Quindi Venezia rimarrà solo un sogno?
PB: Ma io c’ero al padiglione e ci sono tutt’ora guardate bene!

DC: Cosa hai fatto?
PB Ho srotolato il mio manifesto in PVC I want Pino Boresta to the Venice Biennial ed è rimasto lì appeso abusivamente tutto il giorno dell’inaugurazione. In molti lo hanno visto e possono confermare non ultima un’entusiasta Laura Palmieri.

DC: C’è qualcosa che ti è piaciuto dell’ultima Biennale di Venezia?
PB: Della Biennale mi è piaciuto il padiglione della Spagna intitolato L’inadeguato quando l’ho scoperto pensavo fosse dedicato a me. Infatti, non capisco perché non ci sono pure io tra gli invitati agli eventi. Pensa uno dei miei articoli che ho scritto sulla rivista Juliet, con la quale collaboro da diversi anni, si intitola L’inattuale, curioso no?

DC: Non sei l’unico a lamentarti allora…
PB: Sono esattamente dentro e sulle tematiche delle quali si dibatte ultimamente nell’arte oggi, avendo in tanti anni di lavoro, contribuito affinché venissero allo scoperto, ma mi sa che hai ragione tu… sono proprio antipatico e sbaglio tutti gli approcci visto che anche lì, tra questi, non mi vogliono e non vogliono darmi visibilità.

DC: Ma no, sei il solito dietrologo!
PB: Invece è come se ci fosse qualche oscura figura che trama contro di me e fa si che io non ci sia lì dove è importante esserci. Mania di persecuzione?

DC: Sì!
PB: Può darsi, ma quando anche qualcun altro ti dice e conferma alcune delle cose che pensi, incominci a credere che forse le tue valutazioni non siano del tutto sbagliate.

DC: Ma non sei stufo di lamentarti?
PB: Ma te l’ho detto gli altri lo fanno perché vogliono ottenere qualcosa io lo faccio perché fa parte dell’opera. Vogliono che smetta! Vogliono che smetta di fare l’artista? Beh se Cattelan smette, come ha detto, anche io smetto di fare l’artista. È l’effetto trascino, ma se poi penso che lui però qualche soddisfazione se la sia tolta mentre io no, quasi quasi mi viene voglia di ripensarci! Ah ah!

DC: E quindi?
PB: Facciamo così: mi do tempo altri due anni e se non riesco a essere invitato alla prossima Biennale mi suicido!








Pino Boresta artista di Roma




Intervista pubblicata sulla rivista EQUIPèCO n.30 del 2011





Pino l’eccezion(al)e Interview by Daniele Capra

Trying to be invited at the most important biennial: The mother of all Biennale di Venezia, started more than a hundred years ago in Venice. Any person with proved trust in reason knows that an approach like that of Pino Boresta is automatically destined to fail. The Roman artist, in fact, for years has worked persistently to prompt curators and critics to invite him at the event, but with care to operate in a direct, unpleasant and no-licker manner. The blitz, the noise, the contestation in public debates, all measures of disturbance in which they are – programmatically – wrong approaches, methods, tones. We could even say that if this does not happen (that is if his requests were successful), he would deny himself the pleasure that nasty children often have to mess up the clean swot’s copybooks. And it’s too easy to develop winning strategies. Try to imagine how could be losing strategies. Anyway Boresta is that kind of personality: He is essentially an artist who loves to make questions, loudly breaking “cabasisi” (to break the balls) as Camilleri writes. Even the interview that follows is the proof.

Daniele Capra (DC): Inside or outside the art system, what is the difference?
Pino Boresta (PB): In the future it makes no difference, but today when an artist is presented within the system through special influential channels, it will be sure that his work will endorsement or at least a strong focus, regardless to the fact that it is appreciated, or not, by majority.

DC: But the Art is a work of relations…
PB: Yes, but what it will decree every time is the inevitable and repeated defeat of those who – despite – having a significant background work – always it will have to resign to face with a sort of systematic distrust, which affect the quality and amount of attention needed for a proper understanding of his work.

DC: So, do you want simply change the system?
PB: Simply! Do you think it’s not enough? We should quit with these opportunistic logic, used each time to make up Biennial and Quadrennial exhibitions for the benefit of those usual privileged artists supported by a small group of corporate galleries, foundations and institutes!

DC: So, the Sgarbi’s Italian pavilion is welcome?
PB: Who knows! I do not know, for sure I did not think in a formula like that of Vittorio Sgarbi! But more than that Quadrennial will adopt, also criticized – I dared to suggest in October 4, 2008 to Roberto Pinto, Emanuela De Cecco and other, in the break of the presentation of Subrizi’s book – where will be the artists to invite other artists, even if, looking to the late bad fact about me, I do not think the things will change much for me.

DC: I do not think it is important for you to become famous, but rather to help people to think about the mechanisms of inclusion/exclusion.
PB: Yes! Exactly!

DC: And you started immediately with public actions. When was the first?
PB: One of the first subject is the one where I made the offhand that intervention I told you before, where I promoted my project Boresta’s Signature. The opportunity was the presentation of the book “Why Duchamp” by Carla Subrizi at the National Gallery of Modern Art in Rome.

DC: You do not even remember what you said…
PB: Yes! Because I have write down a rag on the spur of the moment, that I still own. “I’m here to talk about the importance of Duchamp and his work, but unfortunately I have not prepared anything and also people have spoken and will speak more certainly competent than me. But I have a dream. No, far from it! I had a dream, dream where Duchamp, with a blond wig, urged me saying: “Go to the conference of Carla Subrizi who wrote and she is going to show a beautiful book about me”. Therefore on mandate of the great Marcello (Marcel Duchamp). I am here as a parasite, parasite of art, in attempting to make a petition as an artwork. I want to rate if a petition can become an artwork, but also I want to verify if today, an unsupported and un-promoted artist by the usual familiar faces, critics and powerful dealers, can still affect and influence this debate in its dynamics as surely Duchamp did, and I believe he would I have liked this idea. Or maybe not?”.

DC: Maybe not! And then what?
PB: I then distributed my flyers and collected some signatures.

DC: Now, what does it remain of the project FB?
PB: Everything! But what I still wonder to whom, the curator Daniel Birnbaum, claimed to be intellectually honest and virtuous, have requested information on a certain artist Boresta Pino, who had mailed a large parcel with almost 1000 subscriptions and miscellaneous publications concerning a curious initiative concerning in an auto-petition to be invited to his Venice Biennale…

DC: Maybe he never saw in person…
PB: I know for sure that he has received it and saw it, otherwise it would be very strange for a serious curator.

DC: Maybe your work interested him or maybe he’s just disgusting!
PB: “Bravo!” Yeah, maybe he was interested or even hated it, but he will definitely ask someone close to him who knew better the Italian art scene, and what they have said to him I will never know, but I can imagine how since the things are gone.

DC: I repeat. You should take advantage of Sgarbi (the incompetent)
PB: Are you saying that if I have failed to slip myself at the Biennale, even with Sgarbi, I will no longer have any hope to succeed?

DC: Yes!
PB: You may be right but I believe that at the Italian Pavilion curated by Vittorio Sgarbi, should participate only artists who make a certain kind of work, artists who make work that comes out even in the chaos of a thousand works and indeed the feed on chaos.

DC: You had to ask to him!
PB: I did it and he also called me, but then he told me that he is not convinced about me , but maybe this is a good sign. Taking part at the exhibition I would not have had nothing to lose, I do not care to hang my work stucked side by side with thousand other, when like a parasite, I hang them even over the other artworks. Do you really think that I care to compete for grabbing some public art attention within hundreds and hundreds of works of almost three hundred artists, when from eighteen years I stick up on the streets stickers with my face printed on, at the mercy of distracted every day citizens, defying the massive invasion of advertisement by which the cities are assaulted and raped? So, there is the risk to lose my battle, and every day I take my revenge.

DC: But this led you nowhere…
PB: But for example, it led me to you…are you “nobody”?

DC: So Venice will remain just a dream?
PB: But I was there at the hall and I am still there, take a closer look!

DC: What have you done?
PB: I unrolled my PVC poster titled “I want Pino Boresta to the Venice Biennial” and it rested there the whole day, illegally hanged. Many have seen it and i can confirm an enthusiastic Laura Palmieri.

DC: Is there anything that you liked of last Venice Biennale?
PB: I liked the Biennale Pavilion of Spain called “The Inadequate”. When I discovered it, I thought it was dedicated to me. In fact, I do not understand why I am not invited at the events. One of my articles that I wrote in the magazine Juliet, magazine with which I work from several years, is entitled “The out-date”, fancy that!

DC: You are not the only one to complain indeed…
PB: I’m right inside and over the themes of which are now debated in the art scene, having many years of work, contributing to go public, but I guess you right… I am unpleasant and I miss all the approaches, among these, they do not want me and they do not want to give me visibility.

DC: Do you think you are the victim of a plot?
PB: But it seems there is some dark figure plotting against me, and causes me not being there where it’s important to be there. Obsession of persecution?

DC: Yes!
PB: Maybe, but when someone else tells you and confirms some of the things you think, you start to believe that, perhaps, your rating are not entirely wrong.

DC: Aren’t you tired to complaining?
PB: But I told you, other do it because they want to get something. I do it because it is part of the work. They want stop me! They want stop me being an artist? Well, if Cattelan leave off, as he said, I leave off to be an artist. It is the “drag effect”, but if you think that however, he got some satisfaction while I do not, almost makes me think back! Ah ah!

DC: So what?
PB: I will tell you what: I give to myself another two years of time, and if I will not be invited to the next Biennial, I will commit suicide!

PINO BORESTA, Artist, Rome




Interview published in the magazine EQUIPèCO n.30 of 2011

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