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martedì 26 aprile 2022

Grande mostra personale di Ray Johnson (1927-1995) - SANDRO BONGIANI ARTE CONTEMPORANEA

 

Grande mostra personale di Ray Johnson (1927-1995).

“Ray Johnson, Relazioni marginali sostenibili / One”

SANDRO  BONGIANI ARTE CONTEMPORANEA

 


Sandro Bongiani Arte Contemporanea è lieta di inaugurare in contemporanea con la 59.  Biennale Internazionale di Venezia 2022 la mostra personale  dal titolo: “Ray Johnson, Relazioni marginali sostenibili / One” a cura di Sandro Bongiani con opere originali ancora inedite facenti parte della Collezione dell’Archivio Coco Gordon di Colorado (USA). Una collaborazione tra Ray Johnson e Coco Gordon durata oltre un ventennio di contatti e assidue frequenze, dagli anni 70 fino al 1995, anno della sua dipartita, collaborando attivamente assieme in interessanti scambi creativi che secondo noi era doveroso far conoscere.  

A distanza di 60 anni dalla nascita della Mail Art (1962) e a 50 anni esatti  (1972) dalla prima  e forse unica mostra in Italia e in Europa di Ray Johnson presso la Galleria Schwarz a Milano di Arturo Schwarz, con una presentazione di Henry Martin, ritorna in Italia un importante evento dell’artista americano con 160 opere originali  tra elaborazioni grafiche, progetti, foto dell’artista, performance  e testi ancora inediti raccolti  nel corso di oltre un ventennio di collaborazioni  tra Ray Johnson e Coco Gordon, presenti ora nell’Archivio Coco Gordon di Colorado (USA) e con 24 opere “add to & return” in appendice  di vari periodi di lavoro creati da artisti che avevano partecipato all’esperienza  innovativa della New York Correspondence Art School.




Una indagine su Ray Johnson  ad ampio raggio, considerato dalla critica negli anni 60’ per essere “il più famoso artista sconosciuto di New York e un pioniere della performance e dell'uso della lingua scritta nell'arte visuale.  Una pratica basata sulla contaminazione tra  collage, fotografia, disegno, performance e testo scritto avvalorato attraverso l’invio postale. Diceva “ho semplicemente dovuto accettare che per una necessità di vita ho scritto molte lettere e dato via molto materiale e informazioni, ed è stata una mia compulsione. E mentre l'ho fatto, è diventato storia. È il mio curriculum, è la mia biografia, è la mia storia, è la mia vita”. I suoi progetti includono prestazioni concettualmente elaborate che si occupavano di relazioni interpersonali e disordini formali. Secondo   Coco Gordon, “i suoi lavori non sono mai singole  operazione assestanti di mail art, ma nascono da piccole storie, da incontri  con le altre persone, da relazioni e  riflessioni  spontanee capaci di innescare  nuovi apporti e nuove azioni al pensero creativo”.

Ray,  non amava tanto essere chiamato un mail artista, ma pensava di poter creare un nuovo gruppo  di lavoro “Pre Pop Shop”  tra Black Mountain e Pop Art. Secondo lui l’arte è vita, del resto, anche la parola “Moticos” utilizzata molto spesso deriva dalla parola osmotic, una specifica qualità caratterizzata da una reciproca influenza, uno scambio fra individui, una compenetrazione di idee, atteggiamenti e realtà culturali, insomma, un nuovo modo di pensare in un processo decisamente fluido e in evoluzione che si rivela in modo puntuale esaminando gli scritti e le azioni performative “Zen Nothings” svolte dall’artista americano. Oggi a distanza di 27 anni dalla morte il suo lavoro sperimentale dagli anni 60’ in poi  è considerato dalla critica parte integrante del movimento Fluxus e persino originale anticipatore della Pop Art americana.

Dopo questo importante evento verrà fatta la  catalogazione circa 500 opere presenti nella Collezione Gordon di Colorado (USA) che presto verranno ufficialmente rese visibili anche online, in modo stabile a scopo  divulgativo e di  consultazione presso  la startup web “Sandro Bongiani Arte Contemporanea” di Salerno, https://www.sandrobongianivrspace.it/  per opportuni studi e approfondimenti  sul lavoro innovativo svolto da questo importante artista pre-pop  americano.

 


 


Biografia di
Ray Johnson (1927-1995)

Nato il 16 ottobre 1927 a Detroit, nel Michigan, i suoi primi anni di vita comprendevano lezioni sporadiche al Detroit Art Institute e un'estate alla Ox-Bow School di Saugatuck, nel Michigan. Nel 1945, Johnson lasciò Detroit per frequentare il progressivo Black Mountain College in North Carolina. Durante i suoi tre anni nel programma, ha studiato con un certo numero di artisti, tra cui Josef Albers, Jacob Lawrence, John Cage e Willem de Kooning. Trasferitosi a New York nel 1949, Johnson stringe amicizia tra Robert Rauschenberg e Jasper Johns, sviluppando una forma idiosincratica di Pop Art. Nei decenni successivi, Johnson divenne sempre più impegnato in performance e filosofia Zen, fondendo insieme  la pratica artistica con la vita. Il 13 gennaio 1995 Johnson si suicidò, gettandosi da un ponte a Sag Harbor, New York, poi nuotando in mare e annegando. Nel 2002, un documentario sulla vita dell'artista chiamato How to Draw a Bunny,  ci fa capire il suo lavoro di ricerca. Oggi, le sue opere si trovano nelle collezioni della National Gallery of Art di Washington, D.C., del Museum of Modern Art di New York, del Walker Art Center di Minneapolis e del Los Angeles County Museum of Art.

Si ringrazia l’Archivio Coco Gordon del Colorado (USA),  per aver permesso la realizzazione di questo importante evento europeo su Ray Johnson.

 

 

SANDRO BONGIANI ARTE CONTEMPORANEA

Opening  30 aprile 2022  h. 18:00

Dal 30 aprile 2022 al 30 giugno 2022

SALERNO

TITOLO: “Ray Johnson, relazioni marginali sostenibili One”

LUOGO: Sandro Bongiani Vrspace

INDIRIZZO: Via S. Calenda 105/D

ORARI:  tutti i giorni dalle 00.00 alle 24.00

CURATORI:  Coco Gordon e Sandro  Bongiani

TELEFONO PER INFORMAZIONI: +39 3937380225

E-MAIL INFO: bongianimuseum@gmail.com

SITO UFFICIALE: https://www.sandrobongianivrspace.it/

 


giovedì 9 dicembre 2021

Mostra Antologica di Paolo Gubinelli “Segni, graffi e colore” - Opere dal 1977- 2021

 

Spazio Ophen  Virtual Art Gallery

Mostra Antologica di Paolo Gubinelli

“Segni, graffi e colore”

(Carte, ceramiche, vetri e progetti in plexiglass)

 Opere dal 1977- 2021

a cura di Sandro Bongiani

11 dicembre 2021 - 13 febbraio 2022

Via S. Calenda 105/D, 84126  SALERNO (Italy).

http://www.collezionebongianiartmuseum.it

 





Preview /AMACI - 11 dicembre 2021 ore 18:00

 (L’evento partecipa alla diciassettesima giornata del contemporaneo

promossa da AMACI Associazione dei Musei d'Arte Contemporanea Italiani)

#GiornataDelContemporaneo

 

In occasione di AMACI-17Giornata Del Contemporaneo viene organizzata dalla Collezione Bongiani Art Museum di Salerno presso lo SPAZIO OPHEN VIRTUAL ART GALLERY http://www.collezionebongianiartmuseum.it la mostra antologica a cura di Sandro Bongiani dedicata a Paolo Gubinelli dal titolo “Segni, graffi e colore”, 72 opere del 1977-2021 tra carte, ceramiche, vetri, e progetti in plexiglass. L’attività artistica di Paolo Gubinelli si innesta in un particolare versante di ricerca, di esperienze e di sperimentazioni in cui  il segno, la traccia e il colore, unitamente alla carta, sono  gli assoluti protagonisti. Un bisogno urgente di purificare la materia, con un bianco assoluto che riemerge sempre per divenire apparizione, luce, e riflessione del vivere. Queste autentiche e insolite trascrizioni e progressioni analitiche innervate da una costante tensione immaginativa diventano autentiche partiture di luce, nella consapevolezza di una realtà puramente visibile. Una delicata e insolita geometria affiora dalla superficie dell’opera alla ricerca della luminosità, giocata sul filo sottile e oscuro del segno e sul tratto cromatico, con una variazione di umori sempre in continua tensione nella necessità  di un bisogno impellente della ricerca e della rappresentazione. In questa insolita e immediata tensione a trascrivere i pensieri nascosti della mente, con un segno velato appena percepibile, Paolo Gubinelli ci svela il libero moto della coscienza, in una interpretazione tutta lirica che fa affidamento alla poesia e all’intima immaterialità di umori nascosti e trascorrenti. Raccordare per segni sospesi e tracce di materia fragile, sinteticamente provvisoria e avvolgente, con  un vivo interesse per la carta, sentita come mezzo congeniale di espressione; nei primi tempi rivelata con un rigore degnamente geometrico-costruttivo e  in una forma analitica logico razionale alla ricerca della luce, e oggi, negli ultimi lavori, indagata in una espressione più libera che si concreta con qualche sottile segno e graffio minimo, inciso a rilievo sulla carta immacolata,  e definita  provvisoriamente dentro i toni delicati e i gesti acquerellati o a pastello di una materia decisamente insostanziale e fragile. Un segno inciso davvero l’unico come strumento per indagare l’esistenza e la vita oscura dell’uomo. Tracce minime, segnate da un insolito procedere permettono all’artista di rilevare una materia di umori sofferta e decantata, giocata insistentemente sulla presenza e sul filo teso della meditazione tra coscienza, desiderio  e aspirazione. Davvero un’insolita geometria della mente raccordata per lacerti di senso in divenire che fa emergere improvvisamente e nel contempo dissolve nel vuoto della fragile carta la materia per collocarsi nei meandri oscuri, nell’angolo più nascosto e intimo del nostro mondo interiore, in una sorta di trascorrente consistenza rarefatta e mentale di umori in cui possa finalmente incarnarsi l’esistenza ormai ridotta a un fragile affiorare del pensiero nella più inconsistente e sofferta incoscienza dell’agire.   Sandro Bongiani

 

 

Paolo Gubinelli

Biografia

   


Nato a Matelica (MC) nel 1945, vive e lavora a Firenze. Si diploma presso l’Istituto d’arte di Macerata, sezione pittura, continua gli studi a Milano, Roma e Firenze come grafico pubblicitario, designer e progettista in architettura. Giovanissimo scopre l’importanza del concetto spaziale di Lucio Fontana che determina un orientamento costante nella sua ricerca: conosce e stabilisce un’intesa di idee con gli artisti e architetti:  Giovanni Michelucci, Bruno Munari, Ugo La Pietra, Agostino Bonalumi, Alberto Burri, Enrico Castellani, Piero Dorazio, Emilio Isgrò, Umberto Peschi, Edgardo Mannucci, Mario Nigro, Emilio Scanavino, Sol Lewitt, Giuseppe Uncini, Zoren.




Partecipa a numerose mostre personali e collettive in Italia e all’estero.

 Le sue opere sono esposte in permanenza nei maggiori musei in Italia e all’estero.

 Nel 2011 ospitato alla 54 Biennale di Venezia Padiglione Italia presso L’Arsenale invitato da Vittorio Sgarbi e scelto da Tonino Guerra, installazione di n. 28 carte cm. 102x72 accompagnate da un manoscritto inedito di Tonino Guerra.

Sono stati pubblicati cataloghi e riviste specializzate, con testi di noti critici:

Giulio Carlo Argan, Giovanni Maria Accame, Cristina Acidini, Mariano Apa, Mirella Bandini, Carlo Belloli, Paolo Bolpagni, Mirella Branca, Vanni Bramanti, Anna Brancolini, Carmine Benincasa, Luciano Caramel, Ornella Casazza, Claudio Cerritelli, Bruno Corà, Roberto Cresti, Giorgio Cortenova, Enrico Crispolti, Fabrizio D’Amico, Roberto Daolio, Angelo Dragone, Luigi Paolo Finizio, Alberto Fiz, Paolo Fossati, Carlo Franza, Francesco Gallo, Roberto Luciani, Mario Luzi, Marco Marchi, Luciano Marziano, Lara Vinca Masini, Marco Meneguzzo, Fernando Miglietta, Bruno Munari, Antonio Paolucci, Sandro Parmiggiani, Elena Pontiggia, Pierre Restany, Davide Rondoni, Maria Luisa Spaziani, Carmelo Strano, Claudio Strinati, Toni Toniato, Tommaso Trini, Marcello Venturoli, Stefano Verdino, Cesare Vivaldi.

 Sono stati pubblicati cataloghi di poesie inedite dei maggiori poeti Italiani e stranieri:

Adonis, Alberto Bertoni, Alberto Bevilacqua, Libero Bigiaretti, Franco Buffoni, Anna Buoninsegni, Enrico Capodaglio, Alberto Caramella, Roberto Carifi, Ennio Cavalli, Antonio Colinas, Giuseppe Conte, Vittorio Cozzoli, Maurizio Cucchi, Milo De Angelis, Eugenio De Signoribus, Gianni D’Elia, Luciano Erba, Giorgio Garufi, Tony Harrison, Tonino Guerra, Emilio Isgrò, Clara Janés, Ko Un, Vivian Lamarque, Franco Loi, Mario Luzi, Giancarlo Majorino, Alda Merini, Alessandro Moscè, Roberto Mussapi, Giampiero Neri, Nico Orengo, Alessandro Parronchi, Feliciano Paoli, Titos Patrikios, Umberto Piersanti, Antonio Riccardi, Davide Rondoni, Tiziano Rossi, Roberto Roversi, Paolo Ruffilli, Mario Santagostini, Antonio Santori, Frencesco Scarabicchi, Fabio Scotto, Michele Sovente, Maria Luisa Spaziani, Enrico Testa, Paolo Valesio, Cesare Vivaldi, Andrea Zanzotto.

 

Stralci critici:

 Giulio Angelucci, Biancastella Antonino, Flavio Bellocchio, Goffredo Binni, Sandro Bongiani, Fabio Corvatta, Nevia Pizzul Capello, Claudio Di Benedetto, Debora Ferrari, Antonia Ida Fontana, Franco Foschi, Mario Giannella, Armando Ginesi, Claudia Giuliani, Vittorio Livi, Olivia Leopardi Di San Leopardo, Luciano Lepri, Caterina Mambrini, Elverio Maurizi, Carlo Melloni, Eugenio Miccini, Franco Neri, Franco Patruno, Roberto Pinto, Anton Carlo Ponti, Osvaldo Rossi, Giuliano Serafini, Patrizia Serra, Maria Luisa Spaziani, Maria Grazia Torri, Francesco Vincitorio.

Nella sua attività artistica è andato molto presto maturando, dopo esperienze pittoriche su tela o con materiali e metodi di esecuzione non tradizionali, un vivo interesse per la “carta”, sentita come mezzo più congeniale di espressione artistica: in una prima fase opera su cartoncino bianco, morbido al tatto, con una particolare ricettività alla luce, lo incide con una lama, secondo strutture geometriche che sensibilizza al gioco della luce piegandola manualmente lungo le incisioni.

 In un secondo momento, sostituisce al cartoncino bianco, la carta trasparente, sempre incisa e piegata; o in fogli, che vengono disposti nell’ambiente in progressione ritmico-dinamica, o in rotoli che si svolgono come papiri su cui le lievissime incisioni ai limiti della percezione diventano i segni di una poesia non verbale.

 Nella più recente esperienza artistica, sempre su carta trasparente, il segno geometrico, con il rigore costruttivo, viene abbandonato per una espressione più libera che traduce, attraverso l’uso di pastelli colorati e incisioni appena avvertibili, il libero imprevedibile moto della coscienza, in una interpretazione tutta lirico musicale.  Oggi questo linguaggio si arricchisce sulla carta di toni e di gesti acquerellati acquistando una più intima densità di significati.

 Ha eseguito opere su carta, libri d’artista, su tela, ceramica, plexiglass, vetro con segni incisi e in rilievo in uno spazio lirico-poetico.

 

 

Eng

Paolo Gubinelli, biography.


Born in Matelica (province of Macerata) in 1945, lives and works in Florence. He received his diploma in painting from the Art Institute of Macerata and continued his studies in Milan, Rome and Florence as advertising graphic artist, planner and architectural designer. While still very young, he discovered the importance of Lucio Fontana’s concept of space which would become a constant in his development: he became friends with such artists as :

Giovanni Michelucci, Bruno Munari, Agostino Bonalumi, Alberto Burri, Enrico Castellani, Piero Dorazio, Emilio Isgrò, Ugo La Pietra, Umberto Peschi, Emilio Scanavino, Edgardo Mannucci, Mario Nigro, Sol Lewitt, Giuseppe Uncini, and Zoren, and established a communion of ideas and work.

His work has been discussed in various catalogues and specialized reviews by such prominent critics as:

Many others have also written about his work:

Giulio Carlo Argan, Giovanni Maria Accame, Cristina Acidini, Mariano Apa, Mirella Bandini, Carlo Belloli, Paolo Bolpagni, Mirella Branca, Vanni Bramanti, Anna Brancolini, Carmine Benincasa, Luciano Caramel, Ornella Casazza, Claudio Cerritelli, Bruno Corà, Roberto Cresti, Giorgio Cortenova, Enrico Crispolti, Fabrizio D’Amico, Roberto Daolio, Angelo Dragone, Luigi Paolo Finizio, Alberto Fiz, Paolo Fossati, Carlo Franza, Francesco Gallo, Roberto Luciani, Mario Luzi, Marco Marchi, Luciano Marziano, Lara Vinca Masini, Marco Meneguzzo, Fernando Miglietta, Bruno Munari, Antonio Paolucci, Sandro Parmiggiani, Elena Pontiggia, Pierre Restany, Davide Rondoni, Maria Luisa Spaziani, Carmelo Strano, Claudio Strinati, Toni Toniato, Tommaso Trini, Marcello Venturoli, Stefano Verdino, Cesare Vivaldi.

His works have also appeared as an integral part of books of previously unpublished poems by major Italian poets foreigners:

Adonis, Alberto Bertoni, Alberto Bevilacqua, Libero Bigiaretti, Franco Buffoni, Anna Buoninsegni, Enrico Capodoglio, Alberto Caramella, Ennio Cavalli, Antonio Colinas, Giuseppe Conte, Vittorio Cozzoli, Maurizio Cucchi, Milo De Angelis, Eugenio De Signoribus, Gianni D’Elia, Luciano Erba, Giorgio Garufi, Tony Harrison, Tonino Guerra, Emilio Isgrò, Clara Janés, Ko Un, Vivian Lamarque, Franco Loi,  Roberto Luciani, Mario Luzi, Giancarlo Majorino, Alda Merini, Alessandro Moscè, Roberto Mussapi, Giampiero Neri, Nico Orengo, Ko Un, Alessandro Parronchi, Feliciano Paoli, Titos Patrikios, Umberto Piersanti, Antonio Riccardi, Davide Rondoni, Tiziano Rossi, Roberto Roversi, Paolo Ruffilli, Mario Santagostini, Antonio Santori, Frencesco Scarabicchi, Fabio Scotto, Michele Sovente, Maria Luisa Spaziani, Enrico Testa, Paolo Valesio, Cesare Vivaldi, Andrea Zanzotto.

 

CRITICAL EXCERPTS:

 Giulio Angelucci, Biancastella Antonino, Flavio Bellocchio, Goffredo Binni, Sandro Bongiani, Fabio Corvatta, Nevia Pizzul Capello, Claudio Di Benedetto, Debora Ferrari, Antonia Ida Fontana, Franco Foschi, Mario Giannella, Armando Ginesi, Claudia Giuliani, Vittorio Livi, Olivia Leopardi Di San Leopardo, Luciano Lepri, Caterina Mambrini, Elverio Maurizi, Carlo Melloni, Eugenio Miccini, Franco Neri, Franco Patruno, Roberto Pinto, Anton Carlo Ponti, Osvaldo Rossi, Giuliano Serafini, Patrizia Serra, Maria Luisa Spaziani, Maria Grazia Torri, Francesco Vincitorio.

 He participated in numerous personal and collective exhibitions in Italy and abroad. Following pictorial experiences on canvas or using untraditional materials and techniques, he soon matured a strong interest in “paper” which he felt the most congenial means of artistic expression. During this initial phase, he used a thin white cardboard, soft to the touch and particularly receptive to light, whose surface he cut with a blade according to geometric structures to accent the play of light and space, and then manually folded it along the cuts.

 In his second phase, he substituted thin white cardboard with the transparent paper used by architects, still cutting and folding it, or with sheets arranged in a room in a rhythmic-dynamic progression, or with rolls unfurled like papyruses on which the very slight cuts challenging perception became the signs of non-verbal poetry.

 In his most recent artistic experience, still on transparent paper, the geometric sign with its constructive rigor is abandoned for a freer expression which, through the use of colored pastels and barely perceptible cuts, translates the free, unpredictable motion of consciousness in a lyrical-musical interpretation.

 Today, he expresses this language on paper with watercolor tones and gestures which lend it a greater and more significant intensity.

He made white and colour pottery where engraved and relief signs stand out in a lyrical-poetic space.

 

-      -           Le opere su vetro realizzate per Fiam Italia Pesaro, esposte nella collezione a Villa Miralfiore

-       Le opere su ceramica realizzate: Ceramiche Biagioli Gubbio, Ceramiche Bizzirri, Città di Castello

  Nel 2011 ha esposto  alla 54° Biennale Internazionale di Venezia, Padiglione Italia, presso L’Arsenale invitato da Vittorio Sgarbi e scelto da Tonino Guerra, con l’installazione di n. 28 carte di cm. 102x72 accompagnate da un manoscritto inedito di Tonino Guerra.

 Le sue opere sono esposte in permanenza nei maggiori musei in Italia e all’estero.

 

 

 

giovedì 11 maggio 2017

PAVILION LAUTANIA VIRTUAL VALLEY


SPAZIO OPHEN VIRTUAL ART GALLERY

 1887 - Kurt Schwitters &  Marcel Duchamp “UNIVERSI  POSSIBILI / Verso La Globalità Intelligente”  a cura di  Giovanni Bonanno. 
  
Dal 6 maggio 2017 al 26 novembre 2017– Due proposte  internazionali presentate in contemporanea con la 57th Biennale Internazionale d’Arte di Venezia  2017 



LAUTANIA  VIRTUAL  VALLEY
“UNIVERSI  POSSIBILI / Verso La Globalità Intelligente” 
Kurt Schwitters “1887 - KURT MERZ / ECOLOGY”

Testo critico di Giovanni Bonanno

KURT SCHWITTERS / 1887- Kurt Merz/Ecology

Lo Spazio Ophen Virtual Art Gallery, in occasione della 57° Biennale di Venezia 2017 intende dedicare l’attenzione come evento indipendente e contemporaneo presso il “Pavilion  Lautania  Virtual  Valley”,   a due artisti dadaisti come Kurt Schwitters  e Marcel Duchamp nati nel 1887, che sintetizzano magnificamente il concetto  d’indagine inteso come il luogo privilegiato per rilevare i sogni e le utopie che nella dimensione metafisica e mentale suggeriscono  mondi e immaginari collettivi.  Una invenzione a tutto campo giocata su  “universi possibili” tra la libertà della creazione e la globalità intelligente del fare arte. 

Lo Spazio Ophen dopo aver dedicato l’attenzione nel 2015, in occasione della precedente Biennale di Venezia a due artisti giapponesi come Shozo Shimamoto e Ryosuke Cohen,  “dentro e fuori il corpo”, (The World's  Futures / Inside and outside the body), intende ora indagare il lavoro dei  due artisti  dadaisti e globali  tra “Aperto e Chiuso / Closed and Open” con due  rispettive mostre a loro dedicate volte ad approfondire ciò che sottende il processo creativo. Lo studio abitazione dell’artista, nella dimensione creativa, temporale e spaziale definisce l’estensione verso l’altro nella  necessità di metabolizzare e trasformare la  realtà.

Per questa prima mostra collettiva internazionale dedicata a Schwitters, in occasione della ricorrenza dei 130 anni dalla nascita  (Hannover, 20 giugno 1887 – Kendal, 8 gennaio 1948),  sono state inviate a diversi artisti contemporanei  delle postcard con la foto del primo Merzbau, per intenderci quello di Hannover del 1923 - 1943, l’assemblaggio nella casa dell’artista, distrutto nel 1943, chiedendo a loro, nel rispetto del pensiero di arte totale di Schwitters,  un intervento “aggiuntivo” di  ideale condivisione, un  intervento per  “continuare” coscientemente e coerentemente l’opera di Schwitters,  che essendo “un work in progress”  non è destinato in alcun modo ad un possibile e definitivo completamento dell’opera. 

Del resto, i tre Merzbau, hanno avuto il triste destino di essere stati o distrutti (come per esempio quello di Hannover) oppure di  rimanere  non completati a causa della morte improvvisa dell’artista tedesco. In questa collettiva internazionale sono presenti 66 opere di altrettanti importanti artisti  che hanno voluto  condividere  tale proposta come artisti di frontiera  a margine  di un  possibile confine e spartiacque al  sistema ufficiale  dell’arte. 

Cos’è Merzbau? 
Kurt Schwitters, protagonista solitario e isolato del dadaismo tedesco, dopo una breve fase espressionista e cubista, decise ben presto di abbandonare  i modi tradizionali  di fare pittura per preferire l’utilizzo di materiali poveri  sotto forma di collage con oggetti recuperati di ogni tipo. Uno dei suoi  primi collages porta il titolo di Merzbild (1919), dal frammento della parola (Com)merz che vi compare.  L’opera Das Merzbild del 1919, risulta già un assemblage con una composizione di vari materiali: fili e maglia metallica con corde, carta e cartone di vario tipo. 

Nella parte centrale dell’opera è presente in modo evidente la scritta “Merz”, ricavata da un’inserzione della Kommerz - und Privatebank. Quest’opera è andata dispersa dopo essere stata esposta in modo dispregiativo nella mostra nazista dell’arte e considerata degenerata. La parola Merz, come quella di “Dada”,  nata casualmente senza alcun significato, verrà attribuita a tutto diventando la cifra personale di tutta l'attività successiva dell’artista tedesco. 

Senza alcun dubbio la sua creazione più nota è un'installazione intitolata il Merzbau, costruita, con materiali trovati, detta dallo stesso artista  “Cattedrale della miseria erotica”, esistita ad Hannover tra il 1923 e il 1944 prima di essere distrutta dai bombardamenti. All'interno di questa costruzione ambientale, l'artista  aggiungeva  sviluppando lentamente frammenti di cose di recupero trovate. L'opera, intesa come un work in progress volutamente provvisorio, non si concluse mai. Dopo il 1945 si stabilì ad Ambleside e, grazie a un finanziamento del Museum of Modern Art di New York, poté dedicarsi alla realizzazione del terzo Merzbau, rimasto, dopo il secondo anch’esso incompiuto  a causa della prematura morte dell’artista in Gran Bretagna nel 1948.

Ecologia e arte totale
Tutto il suo lavoro ruota sul concetto  di “ecologia e arte totale” inteso come recupero di oggetti rimessi nell’ambiente. Hans Richter scrive di Schwitters:tutto ciò che era stato gettato via, tutto ciò che amava è ripristinato  con onore nella vita per mezzo della sua arte”. Noi consideriamo “rifiuto” la materia che ha esaurito la sua normale funzione mentre potrebbe essere  ripresa, riutilizzata come fonte di una nuova vita, ristrutturata per un nuovo scopo, per una nuova creazione. Secondo Schwitters, “la materia può essere trasformata, ma mai rimossa”. Tutto è rifiuto, per cui le cose devono essere costruite necessariamente utilizzando i frammenti delle cose trovate, non a caso possiamo parlare di “pensiero ecologico”.

Questa idea  verrà applicata a vari livelli e ad ogni aspetto del suo lavoro, dal collage alla grafica, dal testo poetico alla musica. L’opera d'arte rappresenta con lui  la visione essenzialmente ecologica e cosciente dell’arte e del mondo, con l’urgente bisogno verso il recupero dei materiali usati che gli altri considerano rifiuti. Alla base di questa insolita poetica nulla viene scartato ma riutilizzato e rimesso a nuovo uso.  L’opera, quindi, intesa come riuso di oggetti di rifiuto trovati diventa il fondamento di tutta l’attività dell’artista tedesco. 

Per usare la terminologia della cultura popolare e contadina – secondo noi – “Schwitters usa ogni parte del maiale”, perché del maiale si adopera  tutto e non si deve buttare nulla, neanche le ossa. Nel Merzbau di Hannover, l’artista  ha immesso le stesse idee sulle quali si fonda  tutta la produzione dei suoi collage, solo che diversamente dai collage di carta, lui stesso poteva vivere all'interno dello spazio, in una sorta di “collage tridimensionale” che conteneva i quartieri, le grotte e gli angoli nascosti dei ricordi e della memoria. Nel Merzbau del 1923, come per il territorio di una città, l’artista vi distingueva diversi quartieri e frazioni con una “cattedrale della miseria erotica”,  la cava dell’omicidio sessuale” in cui era presente una sorta di corpo femminile fratturato dipinto in rosso, una “grande grotta dell’amore” e  “una grotta di Goethe”. Praticamente un insolito labirinto ambientale, con una struttura costruita nel tempo a recuperare ossessioni oscure e  memorie autobiografiche.
Rimane l’opera omnia intesa come zona cupa della mente, di conseguenza, cresce a dismisura come una  grande città e le cavità, le valli, le grotte devono avere necessariamente una vita, una struttura propria e un carattere autonomo; una cavità ospita il tesoro scintillante dei Nibelunghi, mentre la grotta sex-crimine ha un orrendo cadavere mutilato di una ragazza sfortunata.  Lo stesso Schwitters descrive la costruzione del primo Merzbau:It grows the way a big city does…I run across something or other that looks to me as though it would be right for the KdeE, so I pick it up, take it home, and attach it and paint it, always keeping in mind the rhythm of the whole…As the structure grows bigger and bigger, valleys, hollows, caves appear, and these lead a life of their own within the over-all structure…Each of the caves or grottoes takes its character from some principle component. One holds the glittering treasure of the Nibelungs…and the Goethe grotto has one of his legs and a lot of pencils worn down to stubs…the sex-crime cave has one abominable mutilated corpse of an unfortunate girl…an exhibition of paintings and sculptures by Michelangelo and myself being viewed by one dog on a leash…a 10% disabled war veteran with his daughter, who has no head but is still well preserved…”(Schmalenbach, 132-33).
Ognuna delle grotte, quindi,  prende il suo carattere da qualche elemento principale; integrati all'interno della struttura vi erano i singoli santuari  dedicati a molti amici e autori dadaisti, con oggetti e frammenti del proprio corpo (una piccola bottiglia di urina, un’unghia,  interruttori rotti, bottoni, biglietti del tram, etichette colorate di formaggio Camembert, un mozzicone di sigaretta, bicchieri capovolti e persino una ciocca di capelli), utilizzati allo sviluppo e alla crescita progressiva dell’installazione ambientale. Con quest’opera non possiamo più parlare semplicemente di scultura, oppure di arredamento totale alla maniera delle ambientazioni del Bauhaus o di quelle futuriste. 

Ormai, l’opera  deve dilatarsi  oltre il quadro estendendosi in tutto lo spazio della stanza che lo ospita. Inizialmente l’artista di Hannover incominciò a occupare lo spazio del suo studio con una prima colonna centrale, aggiungendo poi anche le altre due costruite con una religiosità laica in maniera estensiva e casuale. In circa vent’anni di lavoro, questo particolare “environment” divenne una sorta di autoritratto autobiografico e speculare dei sui pensieri e dei  contatti sociali con gli altri. Un diario intimo fatto di immagini, di oggetti e di spazio con una costruzione  in corso  in fase di definizione. Luogo concreto e vivibile, dunque,  in cui l’artista depositava i pensieri e i propri oggetti più cari, le testimonianze più vere che  gli consentissero di colmare il vuoto e la distanza tra la vita di ogni giorno e l’arte. 

La struttura tridimensionale crebbe in maniera apparentemente disordinata e caotica  carica di particolari richiami  simbolici e affettivi divenendo, di fatto, “l’opera ecologica e globale di una intera vita” destinata a rappresentare simbolicamente un sistema olistico, ovvero, una  particolare concezione totale.  

Di certo, nel  Merzbau vi sono contenuti e accumulati  una  vasta e svariata gamma di  allusioni e di archetipi culturali addensati nello spazio a definire un procedere ciclico e temporale che emula e imita il procedere della vita cronologica nel suo farsi e disfarsi, con momenti passati sommersi e nascosti da quelli più recenti, come accade in una naturale crescita geologica o biologica. L’uso della ricercata funzione simbolica olistica da parte di Schwitters rende il Merzbau una occasione appropriata  per riflettere “in senso ecologico” su una particolare visione del mondo e sull’intero ecosistema del pensiero umano.          
Giovanni  Bonanno  13 aprile 2017.



Biografia
Kurt Schwitters  ‹švìtërs›,  - Pittore (Hannover 1887 - Ambleside 1948). Studiò all'accademia di Dresda (1909-14) e, dopo una fase espressionista e cubista, nel 1918 creò le sue prime opere astratte. 

Per la sua personalità e il carattere estroso, Schwitters. viene spesso accomunato al movimento dada, del quale tuttavia non fece mai parte effettiva, nonostante l'amicizia che lo legò prima a T. Tzara e H. Arp, poi a R. Hausmann e Hanna Höch, esponenti del dada berlinese. Ben presto abbando’ i tradizionali materiali pittorici, immettendo sulla tela, con la tecnica del collage, gli oggetti di scarto più disparati, da biglietti del tram a frammenti di giornali, stoffe, spugne, tappi, bottoni. Uno dei suoi collages porta il titolo di Das Merzbild (1919), dal frammento della parola (Com)merz che vi compare. 

Una composizione equilibrata con vari materiali: fili metallici, corde, maglia metallica, carta e cartone di vario genere, in cui in posizione pressappoco centrale compare la scritta “Merz”, ricavata da un’inserzione della Kommerz- und Privatebank. Il quadro è andato disperso dopo essere stato esposto in modo dispregiativo nella mostra nazista dell’arte degenerata.  

Nato casualmente, questo termine Merz accompagnò e caratterizzo’ tutta l'attività successiva di Schwitters. Pertanto, egli chiamò Merzplastiken i suoi rilievi, Merzdichtungen le composizioni in prosa o in poesia, formate da frammenti di frasi, parole, modi di dire, come An Anna Blume (pubblicato su Der Sturm) e ancora Die Blume Anna e Memoiren Anna Blumes in Bleie. Nel 1921 fece un ciclo di conferenze a Praga con Hausmann e H. Höch e sulla sua scia compose una Ursonaate, basata sullo stesso principio di sfruttamento della sonorità della voce umana. 

Nel 1922-23 fu in Olanda con T. van Doesburg. Nel gennaio 1923 uscì il primo numero della rivista Merz e nello stesso anno iniziò il primo Merzbau (distrutto da un bombardamento nel 1943), una costruzione che attraversava i varî piani della sua casa di Hannover, fatta di oggetti eterogenei, aggiunti di giorno in giorno. Sempre in contatto con i movimenti di avanguardia, Schwittars. fece parte dei gruppi "Cercle et Carré" e "Abstraction-Création". Nel 1937 lasciò la Germania per stabilirsi in Norvegia, dove a Lyvaker iniziò un secondo Merzbau, anche questo distrutto. 

Nel 1940, invasa la Norvegia dai nazisti, l’artista si rifugiò in Inghilterra e fino al 1945 rimase internato in un campo di prigionia. Dopo il 1945 si stabilì ad Ambleside e, grazie a un finanziamento del Museum of Modern art di New York, poté dedicarsi alla realizzazione del terzo Merzbau, tuttavia, rimase incompiuto nel 1948 per  l’improvvisa morte.


giovedì 21 aprile 2016

INTERNATIONAL COLLECTIVE / WHAT WOULD YOU PUT IN THE HAT OF JOSEPH BEUYS


SPAZIO OPHEN VIRTUAL ART GALLERY 2.0
Via S. Calenda, 105/D - Salerno

WHAT WOULD  YOU PUT IN THE HAT
OF JOSEPH  BEUYS

Collettiva Internazionale con la partecipazione
di 119 artisti  contemporanei di cinque continenti



a cura di Giovanni  Bonanno
Presentazione  critica di Marcello Francolini

Progetto in collaborazione con l’Archivio Ophen Virtual Art
e la Collezione Bongiani Ophen Art Museum di  Salerno.

Dal 29 aprile 2016  al  27 agosto 2016
Inaugurazione: venerdì  29 aprile 2016, ore 18.00
Salerno Tel/Fax 089 5648159    e-mail:  bongiani@alice.it      
Orario continuato tutti i giorni dalle 00.00 alle 24.00


                              
S’inaugura  venerdì  29 aprile 2016, alle ore 18.00, la mostra  collettiva internazionale a cura di Giovanni Bonanno dal titolo: “WHAT WOULD  YOU PUT IN THE HAT OF JOSEPH  BEUYS” che lo Spazio  Ophen Virtual Art Gallery di Salerno dedica all’artista tedesco Joseph Beuys in concomitanza con la ricorrenza dei 30 anni dalla scomparsa, (Dusseldorf, 23 gennaio 1986), proponendo una importante mostra collettiva  con  119 artisti di diversa nazionalità. Nella sua attività (oggetti, azioni, installazioni, interviste, multipli, ecc.)  lo ha visto protagonista indiscusso, sulla scena internazionale. Negli ultimi anni tra il Settanta e gli anni Ottanta, l'esigenza di dialogo, diventa prioritario, connotata spesso le performances come occasioni per esporre verbalmente la propria concezione politico-religiosa, fondata sulla coincidenza tra autodeterminazione, libertà individuale e creatività. Un’arte intesa come processo catartico e liberatorio svincolato dai tradizionali media che  fa affidamento sul  nesso tra arte-vita-politica alla ricerca di  una nuova possibilità creativa e organizzativa dell'uomo tra spiritualismo mistico e scientismo sperimentale.  


Scrive Marcello Francolini nella presentazione: “perché un cappello per ricordare Joseph Beuys? 

Non poteva che esserci immagine più fedele di quella di un cappello per essere sicuri di esprimere parole-immagini intorno alla figura di Joseph Beuys. Considerandolo come il cappello, e non tanto un cappello, allora si potrebbe convenire che è proprio quel cappello che indossava sempre e ora non più. È ciò che resta oggi, come l’ultimo è più vero luogo del suo corpo.  “Ricoprirono il mio corpo di grasso per rigenerare il calore e l’avvolsero nel feltro per conservarlo”. Fu così, che i Tartari lo raccolsero, accogliendolo nella loro natura medicinale, lo resuscitarono, rialzandolo a nuova vita, il 16 marzo del 1944.

Così scriveva l’artista nel suo Curriculum vitae/Curriculum delle opere, con il quale, in una sorta di mito delle origini, ricostruì una sua seconda vita, a partire dall’istante in cui tutto aveva avuto inizio. Portò da allora sempre con sé, feltro e grasso. Ora quello stesso feltro è materiale del suo cappello, protegge il capo come protesse il corpo. Lo stesso cappello che ora mantiene in caldo i pensieri, rilascia quello stesso odore di feltro che annusò in Crimea nascendo daccapo. È così che il cappello a Beuys servì per ricordarsi di sé ovunque, qualcosa come un peso sul capo per tenerlo radicato alla terra, la sua terra propria. La sua Heimat”.

Artisti presenti:  Joseph  Beuys, Ryosuke  Cohen, Dorian Ribas Marhino, Marcello Diotallevi, Nicolò D'Alessandro, Maya Lopez Muro,  John M. Bennett, Santini del Prete, Virginia Milici, Gino Gini, Mauro Molinari, Nicolas de La Casiniere, Antonio Sassu,  Domenico Ferrara Foria, Meral Agar, BuZ Blurr, Horst Tress, Tomaso Binga, Miguel Jimenez, Maria José Silva-Mizé, Leonor Arnao, Melahat Yagci, Sinasi Gunes, Turikan Elci, Atelier Stiliachus, Daniel de Cullà, Giancarlo Pucci, Angela Behrendt, Wolfgang Faller, Alexander Limarev, Rosanna Veronesi, Robert Lewis, Bruno Cassaglia, RCBz, Paolo Scirpa, Carmela  Corsitto, Oronzo Liuzzi, Rossana Bucci, Ernesto Terlizzi, Linda Paoli, Remy  Penard, Rolando Zucchini, Andre Pace, Giovanni Bonanno, Pascal Lenoir, Stathis  Chrissicopulos, Claudio Grandinetti, Alfonso  Caccavale, Fernanda Fedi, Daniel Daligand, Rosa Gravino, Pedro Bericat, Francesco Aprile, Lamberto Caravita, Simon Warren,  Fabiana Pereira, Ruggero Maggi, Otto D Sherman, Renata e Giovanni Stradada, C. Mehrl  Bennett, Picasso  Gaglione, Anna Boschi, Lorenzo Lome Menguzzato, Maria Credidio, Eugenio Giannì, Emilio Morandi, Maria Teresa Cazzaro, Gianfranco  Brambati, Monika  Mori, Fernando Andolcetti, Caranovic Predrag, Pier Roberto Bassi, Patrizio Rossi, Connie Jeans, David Drum, Giovanni Fontana, Vittore Baroni, Luc  Fierens, Mabi Col, Matthew Rose, Fulgor C. Silvi, John Held J.R., Dimitry Babenko, Lia Franza, Gian Paolo Roffi, Umberto Basso, Mirta Caccaro, Marina Salmaso, Lars Schumacher, Ludo Winkelman, Francesco  Mandrino, Oznur Kepce, Roland Halbritter, Serse Luigetti, Keichi Nakamura, Adriano Bonari, Alessio Guano, Carlo Iacomucci, Cinzia Farina, Domenico Severino, Maurizio Follin, Claudio Romeo, Lancillotto Bellini, Silvana Alliri, Angela Caporaso, Michel Della Vedova, Susanne Schumacher, Clemente Padin, Malte Sonnenfeld, Kateina  Nikeltsou , Claudia Garcia, Roberto Scala, Josè Luis Alcalde Soberanes, Julien Blaine, Judy Skolnick, Tricia Schriefer, Cernjul Viviana, Gianni Romizi, Ayse Sidika Ugur.



























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